Il prodigio mariano di Calanda del XVII secolo a cui è impossibile non credere
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.12.2023 – Vik van Brantegem] – È uscito in libreria il 13 novembre 2023 una nuova edizione – meritevole iniziativa di Ares – del libro-inchiesta che lo scrittore e giornalista Vittorio Messori ha dedicato in prima edizione nel 1998 a quello che è stato definito il più sorprendente miracolo compiuto per l’intercessione della Vergine, Nostra Signora del Pilar di Saragoza: Il miracolo. Spagna 1640. L’indagine sul più sorprendente prodigio mariano (Ares 2023, 248 pagine [QUI]). In questo libro, Messori ha fatto una breve ricostruzione della storia del più importante miracolo che la Cristianità ricordi, il “miracolo di Calanda” del XVII secolo, avvenuto in Spagna nello sperduto villaggio dell’Aragona.

Un giovane contadino di Calanda, Miguel Juian Pellicer, a cui era stata amputata una gamba appena sotto il ginocchio, avevo chiesto alla Vergine del Pilar di Saragozza il miracolo impossibile. La sua fede viene ricompensata: una mattina si risveglia con la gamba ricresciuta. La sua storia è avvallata da centinaia di testimoni del tempo, come si legge dai documenti del processo. Vittorio Messori racconta in queste pagine quello che considera il “miracolo dei miracoli”, in grado di superare le obiezioni e le negazioni dei razionalisti che considerano i prodigi fenomeni psicosomatici. Riportiamo in un Nota un “dettaglio” significativo spiegato da Messori [1].

Il prodigio per eccellenza, quel miracolo “impossibile” su cui così spesso si ironizza, è avvenuto: un arto tagliato è ricresciuto. Un evento sconvolgente di cui quasi si era persa la memoria. Difficile da credere? I Cristiani credono ai miracoli, certo. Ma sembra che Dio si sia sempre dato una specie di limitazione per rispettare la libertà dell’uomo. I prodigi, cioè, non sono mai così clamorosi da rendere automatico il credere. Per spiegarli si può sempre ricorrere a qualche causa scientifica che non è ancora stata scoperta.
Questo miracolo, invece, sembra del tutto “impossibile” e senz’altro è sconcertante. Questo prodigio va contro lo schema di Pascal: Dio non impone la fede, la propone. Sembra che Dio compiendo un “miracolo spettacolo”, facendo ricrescere un arto tagliato, annullerebbe la nostra libertà, mettendoci con le spalle al muro e dovendo arrenderci all’evidenza.
Ma, studiando i documenti, Messori ha riscontrato l’indubitabilità del fatto, Messori si è arreso, ha accettato il mistero, perché a questo gli costringeva l’evidenza. E “questo è il modo più ragionevole per usare la ragione” rispose a Stefano M. Paci nell’intervista per Tracce nel 1999.
Ovviamente sono consapevole, che i miracoli non sono indispensabili alla fede di un credente, che neanche è obbligato a crederci. Ma allo stesso tempo, un Cristiano sa che niente è impossibile a Dio e perciò non si meraviglierà di questi fatti sconvolgenti, oltretutto testimoniati da un atto notarile, da altri documenti incontestabili e da un rigoroso processo ecclesiastico.
In definitiva, per quanto riguarda la Verità, da povero uomo di poche certezze, me attengo a quanto – anagrammando la domanda di Pilato: «Quid est veritas?» – Sant’Agostino scrisse: «Vir qui adest». È l’uomo che ti sta davanti. L’Uomo figlio di Dio che fece miracoli sconvolgendo e risorse, dissi: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29b).
Ovviamente un non credente può trovare i fatti testimoniati e raccontati contestabili, come nel caso del CICAP [2], ma è anche vero che chi è aperto al Mistero non potrà che prendere atto di un fatto inspiegabile. Soprattutto se a dirlo è uno scienziato come Prof. Dott. Landino Cugola [3], che è stato Primario dell’Unità Operativa e Servizi Diagnostico Sanitari Chirurgia della Mano dell’Azienda Ospedaliera di Verona presso il Policlinico Universitario G.B. Rossi; e che il 2 marzo 1978 ha eseguito il primo reimpianto di mano in Italia, a seguito di una preparazione specifica con il Prof. S. Tamai del Giappone.
Nell’intervista con Stefano M. Paci per Tracce nel 1999, Vittori Messori disse: «Prima ancora che il libro uscisse sono bastati tre annunci dell’editore e Beniamino Placido su la Repubblica ha scritto un articolo dal titolo significativo: Un libro su un miracolo: non vedo l’ora di non leggerlo. Placido, a nome dell’intellighenzia laica, ha detto che si trattava certamente di una bufala, e non bisognava perdere tempo e soldi per leggere un libro così. Rifiuto previo. In realtà, è il credente il vero libero pensatore. Perché ha un concetto di ragione libera da gabbie ideologiche. Come diceva Gilbert Keith Chesterton: “Un credente è un signore che accetta il miracolo, se ve lo obbliga l’evidenza. Un non credente è, invece, un signore che non accetterà neppure di discutere di miracoli, perché a questo lo obbliga la dottrina che professa e che non può smentire”.
Appena il libro è uscito, un guru dell’intellighenzia cattolica, Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, cattolico aggiornato e teologicamente corretto, ne ha fatto una stroncatura feroce su Tuttolibri, l’inserto letterario di La Stampa. Anche lui senza confrontarsi con il libro. Ha detto che qualunque cosa ci fosse scritta era “inutile e dannosa”. Inutile, perché quelli come lui, che hanno una fede pura e dura, non hanno bisogno di miracoli; dannosa perché prodigi, madonne, santuari e pellegrini, sono cose alienanti per chi ha una fede “adulta”».
Nella sentenza del processo di Saragozza del 27 aprile 1641 si legge: «Affermiamo, pronunciamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda, di cui si è trattato in questo processo, fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza gli era stata amputata; e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile e miracolosa».
La veridicità del fatto accaduto al giovane contadino Pellicer, il “zoppo di Calanda”, è testimoniata dai numerosi documenti d’epoca citati da Messori. Sul tema, nel 1960 era stato pubblicato in Francia da André Deroo L’homme à la jambe coupée.
Vittorio Messori, dopo la laurea a Torino in Scienze politiche è stato giornalista a La Stampa, ad Avvenire, a Famiglia Cristiana e firma di punta del Corriere della Sera. I suoi 24 libri su temi religiosi sono stati tradotti in tutto il mondo. È stato il primo a scrivere un libro con Papa Giovanni Paolo II (Varcare la soglia della Speranza) e con il Cardinale Joseph Ratzinger (Rapporto sulla fede), poi divenuto Papa Benedetto XVI. Tra i molti premi, due Bancarella e il Premio Internazionale della Cultura Cattolica. Ares ospita in catalogo alcuni suoi grandi “classici” sulla storicità di Cristo e la ragionevolezza della fede: Ipotesi su Gesù, Patì sotto Ponzio Pilato?, Dicono che è risorto, Ipotesi su Maria, Scommessa sulla morte, Qualche ragione per credere (con Michele Brambilla), Inchiesta sul cristianesimo e Gli occhi di Maria (con Rino Cammilleri).

Alla fine di luglio del 1637 Miguel Juan Pellicer, ventenne nativo di Calanda in Aragona, si trova a Castellón, a circa 60 km da Valencia, dove lavora come contadino presso un suo zio. Mentre conduce un carro agricolo, cavalcando uno dei due muli che lo trainano, cade, probabilmente per un colpo di sonno, e la ruota del carro gli passa sulla gamba destra fratturandogli la tibia.
Dopo aver ricevuto le prime cure a Castellón, il 3 agosto 1637 è ricoverato all’ospedale di Valencia, dove rimane per cinque giorni; quindi decide di recarsi a Saragozza per farsi curare nell’ospedale dedicato alla Madonna del Pilar, alla quale è molto devoto. Il viaggio, lungo trecento chilometri, dura ben cinquanta giorni; al suo arrivo i medici constatano che la gamba è ormai in avanzato stato di gangrena e non resta altro da fare che amputarla. Alla metà di ottobre due maestri chirurghi, Juan de Estanga e Diego Millaruelo, eseguono l’intervento: la gamba viene tagliata quattro dita sotto il ginocchio e sepolta, secondo l’usanza del tempo, in un apposito settore del cimitero dell’ospedale. Il moncone viene cauterizzato a fuoco.

Miguel Juan Pellicer rimane ricoverato per alcuni mesi, finché nella primavera del 1638 viene dimesso, provvisto di gamba di legno e stampelle. Per i due anni successivi si mantiene mendicando, provvisto di regolare permesso, presso il santuario del Pilar. Durante questo periodo, certamente lo vedono regolarmente un gran numero di cittadini di Saragozza. Periodicamente ritorna all’ospedale per farsi controllare e medicare dal Dott. Estanga. Ogni sera chiede agli inservienti del santuario un po’ dell’olio che arde nelle lampade sacre, e lo usa per ungere il moncone della gamba, nella convinzione di attirare così su di sé l’aiuto della Vergine.
Nei primi mesi del 1640 Pellicer, ora ventitreenne, decide di ritornare a Calanda presso i genitori, e dopo un viaggio di circa una settimana vi giunge nella seconda settimana di Quaresima (tra il 4 e l’11 marzo). Non potendo aiutare nel lavoro dei campi, riprende il “mestiere” di mendicante, girando ogni giorno per i paesi circonvicini a cavallo di un asino. Molte altre persone così possono constatare la sua mutilazione.

La sera del 29 marzo 1940, alle ore 10.00 circa, Pellicer va a dormire. Poiché il suo letto è occupato da un soldato di una guarnigione, che quella notte sosta a Calanda, si corica su un giaciglio provvisorio allestito nella stanza dei suoi genitori. Tra le ore 22.30 e le 23.00, sua madre entra nella stanza e vede due piedi spuntare dal mantello. Inizialmente pensa che il soldato e il figlio si siano scambiati di posto. Ma, scostando il mantello, insieme al suo marito esterrefatti constatano che si tratta proprio del loro figlio. Subito lo scuotono e gli urlano di svegliarsi: occorrono alcuni minuti perché Pellicer si risvegli da un sonno molto profondo e racconti di aver sognato che si trovava nel santuario del Pilar e stava ungendosi la gamba con l’olio benedetto, come molte volte aveva fatto. Tutti e tre sono subito concordi che la ricomparsa della gamba si deve certamente all’intercessione della Vergine del Pilar.
La notizia del fatto si sparge immediatamente per Calanda. La mattina seguente il giudice del paese, assistito da due chirurghi, esamina Pellicer e stende un rapporto che invia subito ai suoi superiori. Il 1º aprile 1640, Domenica delle Palme, si reca sul posto Don Marco Seguer, Parroco di Mazaleón, paese distante una cinquantina di chilometri, accompagnato dal notaio reale Miguel Andréu, che stende un rogito, nel quale verbalizza la testimonianza giurata di dieci persone.

Il 25 aprile 1640 Pellicer e i suoi genitori si recano in pellegrinaggio a Saragozza, per ringraziare la Madonna del Pilar, e anche qui il giovane viene visto da numerosissime persone, che lo avevano conosciuto prima con una gamba sola.
Su richiesta delle autorità comunali, si apre quindi un’inchiesta formale per accertare la veridicità del fatto. Il processo, presieduto dall’Arcivescovo di Saragozza, si apre il 5 giugno 1640 e dura quasi un anno. Tutte le Udienze sono pubbliche e non si registra alcuna voce di dissenso. Vengono verbalizzati ventiquattro testimoni, scelti come i più attendibili tra i moltissimi che hanno conosciuto Pellicer, sia a Calanda che a Saragozza.
Il 27 aprile 1641, l’Arcivescovo di Saragozza emana la sentenza, con la quale riconosce ufficialmente l’autenticità del miracolo.

Alla fine del 1641 Pellicer viene invitato anche alla corte di Madrid. Il Re Filippo IV si inginocchia davanti a lui e bacia la gamba miracolata.
Una circostanza singolare che emerge dai resoconti è che la gamba ricomparsa appariva essere la stessa gamba che era stata amputata due anni e mezzo prima. La si riconosceva infatti da alcuni graffi e cicatrici preesistenti. Inoltre, all’ospedale di Saragozza si scavò la fossa in cui la gamba tagliata era stata sepolta e la si trovò vuota.
In appendice al libro, Messori riporta il parere del Dott. Landino Cugola, primario di chirurgia del Policlinico dell’Università di Verona e specialista in reimpianti d’arto [2]. Dott. Cugola ha esaminato attentamente le testimonianze riportate nei verbali del processo, dalle quali risulta che la gamba appena ricomparsa era fredda e dura, le dita del piede contratte, il colorito livido. Pellicer non vi si poteva ancora appoggiare e doveva camminare con le stampelle. Nel giro di alcuni giorni la gamba riprese forza e calore e le dita si distesero. Inoltre la gamba era di alcuni centimetri più corta per la perdita di tessuto osseo causata dalla frattura, ma in circa tre mesi si riallungò fino a riacquistare la lunghezza originaria. Secondo Cugola, tutti questi fatti corrispondono perfettamente al normale decorso post-operatorio di una gamba reimpiantata. La ricrescita dell’osso normalmente viene aiutata mettendo l’arto in trazione; nel caso di Pellicer avvenne spontaneamente.
Nel libro, Messori elenca e dettaglia i documenti dell’epoca che a suo giudizio attestano il “miracolo di Calanda”. I principali:
- Il rogito steso dal notaio Andréu. Il documento originale, sfuggito fortunosamente alle distruzioni della guerra civile spagnola, dal 1972 è esposto in una vetrina nell’ufficio del Sindaco di Saragozza.
- Il verbale del processo di Saragozza. Il documento originale, custodito per quasi tre secoli negli archivi del Capitolo di Saragozza, verso il 1930 fu prestato a un monaco benedettino francese, Padre Lambert, che lo portò in Francia. Malauguratamente, Padre Lambert fu ucciso dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale e non si sa che sorte abbia avuto il manoscritto. Prima della sua scomparsa, comunque, ne erano state pubblicate ben quattro edizioni a stampa, la prima delle quali, nel 1829, fu autenticata da due notai che ne certificarono l’esatta corrispondenza con il testo originale.
- Due copie autenticate del verbale del processo, stese lo stesso giorno dell’originale e firmate e bollate dagli stessi notai (in terminologia giuridica, due transunti notariali): una, conservata negli archivi del Comune di Saragozza, bruciò in un incendio nel 1808, durante le guerre napoleoniche. L’altra invece, conservata negli archivi della Cattedrale del Pilar, è tuttora esistente.
- Il rapporto del giudice di Calanda, steso la mattina immediatamente dopo il fatto. Non ci è pervenuto, ma esistono tracce documentali della sua esistenza.
Altri documenti di minore rilevanza:
- L’atto di battesimo di Miguel Juan Pellicer, il 25 marzo 1617.
- La registrazione del suo ricovero all’ospedale di Valencia.
- Un opuscolo commissionato dal Capitolo del Pilar a un frate carmelitano, pubblicato in quello stesso anno 1641.
- Un altro libro pubblicato da un medico tedesco nel 1642. Il padre gesuita che firmò l’imprimatur vi aggiunse una dichiarazione nella quale affermava di avere personalmente conosciuto Pellicer prima con una gamba e poi con due.
- Il resoconto dell’udienza di Miguel Juan Pellicer alla corte di Madrid.
- Numerosi documenti che comprovano l’effettiva esistenza storica di molti dei personaggi della vicenda.
Messori commenta: «La stragrande maggioranza dei fatti del passato (anche fra i maggiori) è attestata con assai minori certezze documentarie e garanzie ufficiali. È una constatazione oggettiva, non una rassicurazione apologetica».
[1] Nota di Vittorio Messori
Ci troviamo di fronte, qui, a quello che può apparire solo un dettaglio pittoresco, mentre — se guardiamo con un po’ di attenzione — si rivela un elemento folgorante di verità, sepolto nelle pieghe dell’interrogatorio processuale. Vediamo, allora, questo lampo chiarificatore che non ci sembra essere stato colto in tutta la sua importanza dagli storici del Gran Milagro.
La moglie di Miguel Barrachina si chiamava Ursula Means, coetanea del marito: dunque di “cinquant’anni di età, poco più o poco meno”, secondo la formula approssimativa di quei tempi in cui la gente era sprovvista di calendari. Stando alla sua deposizione, alla pari del marito conosceva benissimo il miracolato, suo vicino di casa, e testimonia di averlo visto abitualmente togliersi la gamba di legno e di non avere soltanto constatato più volte lo stato del moncherino, ma di averglielo anche toccato. Sempre sotto giuramento, conferma di avere sentito Miguel che quella sera del 29 marzo si lamentava perché “gli doleva molto la gamba”; lo vide poi togliersi la protesi di legno e, arrastrando, trascinandosi, gettarsi sulla cama, il letto, che la madre gli aveva preparato ai piedi del matrimoniale.
E, qui, diamo la trascrizione completa e letterale della parte che più ci interessa della testimonianza di Ursula Means: «Di lì a poco la deponente e il marito andarono a casa loro. E questo disse essere verità, sotto giuramento. All’articolo 22, rispose e disse la deponente che, essendosi coricata con suo marito, dopo mezz’ora, poco più o poco meno, sentì chiamare alla porta e suo marito rispose e udì la deponente che lo chiamavano nella casa dei genitori di Miguel Juan Pellicer e lui andò ed essendo ritornato a casa sua dopo poco, subito le disse che il ragazzo (el mucbacho) di Pellicer tiene àos piernas o camas e la deponente rispose mira si las tendra, dicendo questo per scherzo (por risas) e il marito le replicò vieni e lo vedrai e la deponente andò e vide che la madre faceva grandi convulsioni e desiderando sapere perché, entrò nella camera dove dormiva Miguel Juan e vide che teneva due gambe, avendo visto prima, come deposto, che ne teneva una sola…».
Per capire, occorre ricordare che Calanda non è lontana dalle regioni (Catalogna e Valencia) in cui si parla il catalano: e proprio da questa lingua viene un dialetto che ancora oggi è diffuso nella zona. Il cognome di Ursula (Means), ancor più che quello del marito (Barrachina) indica l’origine catalana o valenciana. Quanto al nome di battesimo, c’è un ulteriore indizio nel fatto che il culto di Sant’Orsola è particolarmente diffuso nella zona di Lleida (Lérida), la più vicina tra le grandi città catalane. Non si dimentichi che, per riempire i vuoti lasciati dalla deportazione dei moriscos, la popolazione di Calanda, come quella di tutta la regione, era composta in gran parte da immigrati, attirati qui da privilegi reali. I coniugi Barrachina dovevano alternare catalano e castigliano, lingua prevalente e ufficiale in Aragona, a seconda che fossero tra loro o con altri.
Ebbene, mentre in castigliano cama significa “letto”, la stessa parola in catalano significa “gamba”. Torniamo, allora alla deposizione: il marito della donna, in stato di grande agitazione, le grida, assai probabilmente dalla strada, che il figlio dei Pellicer ha di nuovo dos camas, due gambe. Lo dice in dialetto catalano, perché questo è il linguaggio che usano tra loro, in famiglia. Essendo quella, però, un’occasione pubblica (era sulla strada, doveva esserci altra gente con lui) Ursula crede che parli in castigliano, come di solito in quelle occasioni, e che il marito le comunichi che, avendo dos camas, il giovane abbia “due letti”. Da qui la risposta scherzosa, se non beffarda (por risas) della donna, con un’espressione idiomatica non facilmente traducibile: Mira si las tendra! In italiano potrebbe suonare come un ironico, divertito “Ma davvero?” o “Ma guarda un po’.'” Secondo Don Tomàs Domingo, buon conoscitore della nostra lingua avendo conseguito a Roma una delle sue lauree, potrebbe tradursi: “Mi sembra giusto che li abbia”. In ogni caso, è una presa in giro — da contadina rustica e arguta — dell’uomo che, a quell’ora avanzata, quando già si erano coricati, le da’, strillando con voce strozzata, questa pseudo notizia, che sembra del tutto assurda. Solo dopo essersi recata lei stessa a vedere che cosa è successo, Ursula si rende conto che non si trattava di “letti” ma di gambe, piernas.
C’è qui, lo anticipavamo, un tocco straordinario di verità. Non si inventa (e perché, poi, lo si dovrebbe fare?) una simile celia, basata su un equivoco verbale, deponendo sotto giuramento davanti a un tribunale che, ben lungi dall’avere voglia di scherzare, cerca di stabilire se è avvenuto o no il più strepitoso dei miracoli. In quel mira si las tendras! gridato ironicamente dall’oscura contadina nella notte fatale, risuona una conferma tanto preziosa quanto inconsapevole della realtà di quanto testimoniato. Anche Dio — non solo il diavolo — può nascondersi nei particolari!
[2] Sergio de Santis, del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (CICAP), nella sua recensione al libro di Vittorio Messori, si domanda come mai, un caso così “clamoroso” di miracolo che pare rispondere così bene all’affermazione di Anatole France sugli ex voto: «Vedo tante stampelle, ma nessuna gamba di legno» sia stato completamente dimenticato dalla Chiesa per tre secoli e mezzo affermando che, forse, le prove “granitiche” presentate da Messori non sono poi così solide.
Luigi Garlaschelli, sempre del CICAP, ha avanzato l’ipotesi che Miguel Juan Pellicer fosse un “falso invalido” che nascondeva la gamba tenendola ripiegata dietro la coscia; scoperto dal soldato che dormiva in casa, avrebbe inscenato il miracolo per non dover ammettere l’inganno. A sostegno Garlaschelli riporta le prime parole di Pellicer “miracolato” che furono “Padre mio, perdonatemi” invece di un più spontaneo “Miracolo! Miracolo!”. La situazione poi sarebbe sfuggita di mano alla famiglia che, una volta diffusasi la voce del miracolo con l’arrivo di testimoni e di incaricati della Santa Inquisizione ha dovuto continuare sulla stessa linea per non essere a sua volta condannata per frode. Questa ipotesi richiede che i chirurghi e gli infermieri dell’ospedale di Saragozza che eseguirono l’amputazione e che testimoniarono al processo abbiano confuso Pellicer con qualcun altro: Garlaschelli sostiene che in un grande ospedale, con moltissimi pazienti ricoverati ogni giorno, è improbabile che i sanitari, dopo oltre due anni, si ricordassero di un paziente fra tanti. Inoltre fa notare come Pellicer non si sia mai fatto vedere a Calanda con la gamba fratturata, ma pur dovendosi spostare tra Valencia e Saragozza e trovandosi Calanda lungo la strada ha preferito passare per Teruel. A sostegno dice anche che la gamba “riattaccata”, nei primi giorni, appariva come “magra, contratta, bluastra” proprio come se atrofizzata per un lungo inutilizzo.
Un’altra ipotesi è quella dello scambio di persona, per cui Miguel Juan Pellicer sarebbe stato sostituito da una persona a lui somigliante: Garlaschelli suggerisce che potesse trattarsi di uno dei suoi fratelli anche se, come precisa Messori, nessuno era gemello. Negli atti del processo comunque non viene citato nessuno dei sette fratelli di Pellicer, ma solo una sorella.
Nell’intervisto con Stefano M. Paci per Tracce nel 1999, alla domanda: «E se si fosse trattato di un gemello, o di un sosia di Miguel Juan Pellicer?», Vittori Messori risponde: «Un gemello no, perché i registri parrocchiali di Calanda sono stati conservati, e Miguel Juan Pellicer non aveva alcun gemello. Nelle decine di pagine del processo viene esaminata tutta la situazione familiare e vengono fatte tutte le domande possibili, anche le più insidiose. Un sosia, invece… uscito da dove? E come si fa ad ingannare dei compaesani sospettosi? E, soprattutto, perché? Questo è un miracolo gratuito in cui nessuno ci guadagna nulla, nemmeno la famiglia. Filippo IV, il re di tutte le Spagne – c’era ancora l’impero su cui non tramontava mai il sole – dopo il processo s’inginocchiò a baciare la gamba risanata di questo contadino, ma a Miguel Juan non venne mai data una pensione: muore da mendicante come era vissuto.
Il ragazzo è stato riconosciuto da tutti, ed era stato operato dal più noto chirurgo di Saragozza, il professor Estanga, assistito da due ottimi medici e da tre infermieri: era presente anche un prete, amministratore dell’ospedale. Tutti testimoniarono al processo, parlando anche del luogo in cui era sepolta, secondo le usanze, la gamba tagliata. Coloro che gli facevano l’elemosina hanno ricordato che non solo Miguel Juan non nascondeva la gamba, ma che mostrava il moncone con la ferita cicatrizzata per esortare all’elemosina».
Nell’intervista per Tracci nel 1999, Stefano M. Paci osserva: «Insomma, secondo lei è impossibile non credere a questo miracolo» e alla domanda: «Ma se tutto è così evidente, così perfettamente documentato e incontrovertibile, perché un miracolo così clamoroso è stato dimenticato per tanto tempo?», Vittorio Messori risponde: «Il 1640 non è un anno come gli altri per la Spagna. Nei manuali di storia è indicato come il discrimine in cui inizia il rapido e rovinoso declino del dominio spagnolo e della sua influenza politica ed economica. Poche settimane dopo el gran milagro, scoppiano due insurrezioni terribili: il Portogallo si distacca dalla Spagna, e contemporaneamente insorge anche la Catalogna. In quell’anno cominciano le disfatte dei reggimenti spagnoli nelle Fiandre. Ci sono insurrezioni anche nell’Italia spagnola: Masaniello guida la rivolta nel Regno di Napoli. È l’anno in cui il conte-duca Gaspar de Olivares, quello citato nei Promessi sposi, scrive al re: “Non sappiamo se l’anno prossimo ci sarà ancora una Spagna”. E arrivarono la peste, la carestia: tutto congiurò perché questo miracolo fosse poco conosciuto al di fuori del Paese. Poi vennero i secoli dell’Illuminismo e dello scientismo, che fecero di tutto per nasconderlo, perché imbarazzante. Era l’esatta risposta a quello che veniva chiesto da tutti i Voltaire dell’epoca: poter vedere una gamba recuperata».
Stefano M. Paci: «Secondo le testimonianze, la gamba “miracolosa” di Miguel Juan Pellicer non è, se così si può dire, ricresciuta: è proprio la stessa gamba che era stata amputata più di due anni prima – e che, sepolta nella terra, era necessariamente imputridita – ad essere ricomparsa. Una specie di resurrezione della carne avvenuta prima della fine dei tempi. Questo sembra più difficile da credere…».
Vittorio Messori: «Sì, la gamba fu subito riconosciuta. Aveva tutti i segni, inconfondibili, che c’erano sull’arto amputato: la cicatrice causata dalla ruota del carro che aveva fratturato la tibia nell’incidente che aveva provocato l’amputazione, le tracce del morso di un cane sul polpaccio, i resti di una grossa cisti asportata, due profondi graffi lasciati da una pianta spinosa. Insomma, una gamba tagliata quando già era divorata dalla cancrena e sepolta per due anni e mezzo nel cimitero dell’ospedale di Saragozza, viene reimpiantata di colpo a Calanda, a cento chilometri di distanza. Quando andarono a controllare il posto in cui era stato sotterrato l’arto, trovarono la buca vuota. I primi giorni la gamba, secondo le testimonianze, aveva un aspetto come di carne morta: era fredda, bluastra. Col passare del tempo, e lo scorrere del sangue, tornò normale.
Forse, se questo miracolo è rimasto nascosto per tanto tempo, è perché ne avevamo bisogno proprio noi, uomini di oggi. Perché questo prodigio non è soltanto un segno dell’esistenza di Dio: è un segno di sano materialismo cristiano. E ciò che oggi minaccia il cattolicesimo non è certo il materialismo, ma lo spiritualismo, la gnosi: molta della nuova teologia cattolica è una teologia gnostica.
Questo è un miracolo “teologicamente scorretto” perché contrasta con il regno dello spiritualismo che ci minaccia. Basta un Platone qualunque per credere nell’immortalità dell’anima. I cristiani, invece, credono nella resurrezione dei corpi, proprio ciò che tanta teologia oggi non annuncia più».
[3] Il Miracolo di Calanda: osservazioni di ortopedico di Landino Cugola sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia (2000, 26 pp. 122-126) [QUI].



























