La sentenza di Rinascita Scott per i 338 imputati con oltre 200 condanne decapita i vertici della ‘Ndrangheta vibonese

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.11.2022 – Ivo Pincara] – Dopo oltre un mese di camera di consiglio, nell’aula bunker appositamente costruita a Lamezia Terme, è arrivata la conclusione di primo grado del maxi processo Rinascita Scott contro la ‘Ndrangheta vibonese e i suoi sodali, con la lettura del dispositivo della sentenza per i 338 imputati durata 1 ora e 40 minuti. Di fatto, il collegio giudicante del Tribunale di Vibo Valentia, presieduto da Brigida Cavasino con i giudici a latere Claudia Caputo e Germana Radice, ha sposato l’impianto accusatorio a carico delle cosche della ’Ndrangheta vibonese presentato dalla procura antimafia di Catanzaro, targata ancora Nicola Gratteri che si è insediato come procuratore capo di Napoli, proprio nelle settimane scorse.

Decapitati i vertici della ‘ndrangheta vibonese con le condanne più pesanti – 30 anni – che i giudici hanno inflitto a Saverio Razionale (il boss di San Gregorio d’Ippona), a Domenico Bonavota (il boss di Sant’Onofrio). Anche 30 anni Paolino Lo Bianco e Antonio Vacatello. La pena di 11 anni per concorso esterno in associazione mafiosa all’ex coordinatore regionale di Forza Italia poi Fratelli d’Italia, già deputato e senatore, Avv. Giancarlo Pittelli, non è quella tra le più alte che siano state inflitte, ma di certo è quella che ha fatto più rumore. La procura antimafia di Catanzaro lo ha accusato di aver messo a disposizione del capo del clan Mancuso “il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni”. Ne sono nate polemiche, persino comitati in difesa del senatore che si è sempre detto vittima di un complotto o un equivoco, a dispetto delle inchieste che – una dopo l’altra – hanno iniziato a mettere in fila i suoi contatti e rapporti nel mondo dei clan.

Su Pittelli, i giudici sono stati cristallini: l’impianto accusatorio è solido, l’ex senatore – hanno stabilito – era l’eminenza grigia nell’entourage strettissimo di Luigi Mancuso. Massone di alto rango, è stato uomo di punta di Forza Italia, di cui conosceva mosse e segreti fin dalle origini se è vero che – intercettato – ha svelato: “Dell’Utri, la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia, fu Piromalli a Gioia Tauro”. Quando in polemica con il partito fondato da Berlusconi è passato a Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni in persona commentava contenta: “Sarà un valore aggiunto”.

“Il tempo è galantuomo, ma le ingiustizie subite dalla criminalità istituzionale non saranno mai riparate”, ha affermato in una nota Luigi de Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli. “Questa mattina il Tribunale di Vibo Valentia – ha aggiunto de Magistris – ha condannato nel processo Rinascita Scott ad 11 anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa l’avvocato Giancarlo Pittelli. Quando da pm a Catanzaro indagai nel 2006/2007 Pittelli per associazione a delinquere, riciclaggio e partecipazione a logge occulte nell’ambito dell’indagine Poseidone su gravissimi crimini nel settore ambientale, il Procuratore della Repubblica Lombardi, di cui Pittelli era avvocato ed amico caro, mi revocò l’indagine. Sei mesi prima il figlio della moglie del Procuratore era stato anche assunto nella società dell’Avvocato Pittelli e il Procuratore diede pure fideiussione. Lo stesso figlio recentemente è stato arrestato in flagranza per una concussione di 50 mila euro”. “Il Consiglio superiore della magistratura, su richiesta del Ministro della Giustizia – ha detto ancora de Magistris – mi trasferì per incompatibilità ambientale e funzionale. Cacciò me che indagavo su corruzione e mafie obbligandomi a non fare più il Pm in nessuna sede perché non avevo avvisato il Procuratore che stavo indagando sul suo amico ed avvocato. Non gli dissi nulla anche perché un anno prima lo avevo avvisato della perquisizione, sempre nella stessa indagine, al Presidente della regione Giuseppe Chiaravalloti, già procuratore generale a Catanzaro e Reggio Calabria, e dopo averlo informato ci fu una grave fuga di notizia che scoprimmo grazie alle intercettazioni”.

“L’avvocato Giancarlo Pittelli viene condannato per quello stesso reato rispetto al quale solo pochi mesi fa la Corte di Cassazione prima, ed il Tribunale per il Riesame subito dopo, avevano escluso la sussistenza anche solo di indizi gravi di colpevolezza. Tanto basta a far comprendere, a tutti coloro che abbiano la onestà intellettuale di volerlo fare, quanto questa condanna fosse ad ogni costo indispensabile per salvare la credibilità della intera operazione investigativa Rinascita Scott”, hanno sostenuto in una nota i legali di Pittelli, gli Avvocati Giandomenico Caiazza, Salvatore Staiano e Guido Contestabile. “Sono dinamiche – hanno proseguito – che abbiamo drammaticamente imparato a conoscere in altri clamorosi casi giudiziari, a cominciare da quello di Enzo Tortora; e da quei casi giudiziari abbiamo anche imparato che, alla fine, l’innocenza dell’imputato verrà riconosciuta, seppure con imperdonabile ritardo, e dopo aver causato danni incommensurabili. Questo sarà, da subito, il nostro ancora più determinato impegno, questa la nostra certezza”.

“La prima impressione che si può dare del dispositivo è che l’impianto con riferimento all’articolazione e alla struttura dell’associazione ‘ndranghetistica che costituisce questa cappa in provincia di Vibo Valentia risulta sostanzialmente confermata”, ha detto il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, che insieme al procuratore capo Gratteri ha coordinato il pool di magistrati – Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso – che hanno lavorato all’inchiesta. La sentenza è ampia e andrà studiata, alcune accuse di associazione mafiosa sono state derubricate in concorso esterno e tutto – spiega – dovrà essere esaminato con attenzione anche in vista dell’appello. Ma il processo, che per anni è stato oggetto di critiche feroci, con la Dda accusata di “pesca a strascico” ha retto. E restituisce con la forza di una sentenza l’immagine dettagliata di un mosaico criminale esteso e variegato, in grado di tenere insieme picciotti e politici, broker della droga e professionisti, killer “con un cimitero sulle spalle” e divise infedeli. E per tutti o quasi le condanne sono state pesantissime.

Su boss, gregari, broker della droga, inclusi quelli che intercettati programmavano di diventare colletti bianchi, perché “puoi prendere milioni di euro ma rischi di farti arrestare, ci dobbiamo mettere giacca e cravatta, dobbiamo essere gente finanziaria”, piovono centinaia di anni di carcere. Il Tribunale di Vibo Valentia ha condannato anche Pasquale Bonavota (arrestato il 27 aprile scorso a Genova, dopo 4 anni di latitanza, perché ricercato per il processo Rinascita Scott, inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi) a 28 anni, Nicola Bonavota a 26 anni, Domenico Cugliari a 22 anni e 6 mesi, Antonio Larosa a 24 anni e 6 mesi, Antonio Macrì a 20 anni e 10 mesi, Salvatore Morelli a 28 anni e 4 mesi, Valerio Navarra a 23 anni, Agostino Papaianni a 20 anni e Rosario Pugliese a 28 anni.

Gli imprenditori Mario e Umberto Artusa sono condannati a rispettivamente 21 e 18 anni, Gianfranco Ferrante a 20 anni, Mario Lo Riggio a 17 anni e 2 mesi, l’avvocato di Vibo Valentia Francesco Stilo a 14 anni, l’ex finanziere della Dia passato ai servizi Michele Marinaro (accusato di concorso esterno e rivelazione di segreto d’ufficio, soffiando all’orecchio di Pittelli i segreti che il collaboratore Andrea Mantella stava rivelando ai magistrati) a 10 anni e 6 mesi, l’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci a 4 anni e l’ex tenente colonello dei carabinieri Giorgio Naselli (accusato di rivelazione di segreti d’ufficio) a 2 anni e 6 mesi.

Una condanna è arrivata anche per Pietro Giamborino, ex consigliere regionale, che per la procura antimafia di Catanzaro era stato costruito a tavolino dai clan di Piscopio, a cui si sarebbe venduto barattando voti in cambio di lavori e appalti. Per lui l’accusa avevano chiesto 20 anni di carcere, ma il tribunale ha stabilito una condanna a solo 1 anno e 6 mesi. Toccherà attendere le motivazioni per comprendere cosa non abbia convinto i giudici. Invece, hanno assolto l’ex sindaco di Pizzo ed ex presidente di Anci Calabria Gianluca Callipo. Per la Dda di Catanzaro era non solo imprenditore ma anche amministratore al servizio dei clan. Per questo, per lui era stata chiesta una condanna a 18 anni di carcere. Assolto anche l’ex assessore regionale, segretario regionale del Psi Calabria e componente la direzione nazionale del partito, Luigi Incarnato.

Fra gli imputati ci sono tre generazioni delle stesse famiglie – nonno, padre, nipote – tutti a vario titolo accusati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga. Una galassia criminale feroce, in grado di relazionarsi con mondi sulla carta diversi e lontani, dalla politica alle professioni, in realtà prezioso capitale sociale in grado di far moltiplicare potere e affari. Una cappa che per decenni ha soffocato il vibonese e inizia ad essere fatta a pezzi.

Fonti: ANSA [QUI], la Repubblica [QUI], Rai News [QUI], il Fatto Quotidiano [QUI], La Gazzetta del Sud [QUI].

La mafia non ha paura della verità. Non vuole che viene raccontata.

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