Don Luigi Giussani raccontato dal portavoce di Comunione e Liberazione

Appuntamento questa sera alle 19.00 a Roma al Teatro Eliseo per la presentazione della più recente biografia del futuro beato Luigi Giussani edito da Rizzoli.
A otto anni dalla morte del fondatore di CL una biografia ricca di fatti inediti e foto esclusive, scritta da chi ha condiviso con don Giussani vent’anni di vita.
Il libro di Alberto Savorana sarà al centro di un evento al Teatro Eliseo. Dopo il saluto di Julián Carrón, interverranno il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; Ezio Mauro, direttore del quotidiano La Repubblica; Salvatore Abbruzzese, professore di sociologia all’Università di Trento. Modera Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di CL.
Vita di don Giussani è un primo tentativo di raccontare chi era e come ha vissuto don Luigi Giussani (1922−2005), sacerdote della diocesi ambrosiana.
Oltre a ricostruire la cronaca dei giorni del fondatore di Comunione e Liberazione, questa biografia offre ai lettori anche il segno della sua eredità. In questo libro – costruito sulla base delle fonti a oggi accessibili, delle testimonianze di persone che lo hanno conosciuto e di quanto ha detto e scritto egli stesso nel corso della sua lunga esistenza – emerge come don Giussani rilegga di continuo i fatti che gli sono capitati, li giudichi e li offra come suggerimenti per la strada che ciascuno deve percorrere.
Sono migliaia le pagine di inediti consultate dall’autore: trascrizioni di interventi e dialoghi, quaderni di appunti e carteggi con familiari (la prima testimonianza è una cartolina postale scritta al padre nel 1935, quando “Gigetto” aveva appena 12 anni), amici, vescovi e pontefici. Inoltre confluiscono in questa biografia le pagine dei libri di don Giussani ricche di eventi della sua vita. Infine, molti testimoni oculari aiutano a ricostruire momenti importanti, taluni dei quali finora sconosciuti o dai contorni sfocati.
Vita di don Giussani è un tentativo di prendere per mano i lettori in una sorta di viaggio nel tempo, quasi spettatori di ciò che accadeva tra le mura di casa a Desio, nei grandi spazi del Seminario di Venegono, nella Milano dei primi anni Cinquanta, nelle aule del Liceo Berchet, durante la crisi del Sessantotto cui segue la nascita di Comunione e Liberazione, passando attraverso vicende ecclesiali, sociali e politiche fino agli ultimi anni progressivamente segnati dalla malattia. L’invito è a immergersi nella vicenda di un uomo che ha attraversato quasi tutto il Novecento e l’inizio del nuovo millennio.
«La storia di don Giussani è così significativa − ha detto don Julián Carrón, dal 2005 suo successore alla guida di CL − perché ha vissuto le nostre stesse circostanze, e ha dovuto affrontare le stesse sfide e gli stessi rischi, ha dovuto fare lui stesso il cammino che descrive in tanti brani delle sue opere».
Le circostanze che ha attraversato e le persone incontrate sono state decisive per il delinearsi della vocazione di don Giussani: i suoi genitori, i professori e i compagni del Seminario, le sue letture, il sacerdozio, i primi giovani conosciuti in confessionale o in treno, l’insegnamento, le incomprensioni e i
riconoscimenti, la malattia. Don Giussani ha sempre considerato il cristianesimo come un fatto, un evento reale nella vita dell’uomo, che ha la forma di un incontro, invitando chiunque a verificarne la pertinenza alle esigenze della vita. Così è stato per i tanti ragazzi e adulti di tutto il mondo che hanno riconosciuto in quel prete dalla voce roca e attraente non solo un maestro dal quale imparare, ma soprattutto un uomo con il quale paragonarsi, un compagno di cammino affidabile per rispondere alla domanda: come si fa a vivere?
Scorrendo le pagine del volume emergono in modo sempre più chiaro i tratti inconfondibili della personalità di don Giussani: innanzitutto l’entusiasmo per la figura di Cristo che gli faceva scrivere all’età di 24 anni, da poco ordinato sacerdote: «La gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore. Il resto è veloce illusione o sterco». In secondo luogo, la vita offerta come «atto d’amore, per le tante anime dei miei fratelli uomini, per la cui felicità
il Signore Gesù morì, per la cui eterna felicità il Signore Gesù mi chiamò con sé a donare la mia vita… […] È da parecchi anni che io non piango più che per due motivi: il pensiero dell’infelicità eterna dei miei fratelli uomini – il pensiero dell’infelicità terrena degli uomini, simbolo di quella eterna. Noi Gesù ha scelto per gridare nel mondo il suo Amore e la felicità degli uomini: la grande e inenarrabile felicità che ci attende». Infine, la passione educativa, animato dalla consapevolezza del contesto storico in cui si è trovato a vivere: «In un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto […] mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi − questo “quindi” è importante per me −, dimostrare la razionalità della fede, […] che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo».
A livello di questi tratti salienti della figura di don Giussani si può collocare la radice del suo contributo alla vita della Chiesa: di fronte a una fede popolare che in molti casi sopravviveva come pura tradizione, sempre meno radicata in profondità nell’esistenza reale della gente ed esposta ai venti di una mentalità secolare ostile o almeno distante dalla vita cristiana, già negli anni Cinquanta egli si rese conto che la debolezza dell’esperienza cristiana dipende dal fatto che la fede diventa incomprensibile, se i bisogni dell’uomo non sono presi sul serio.
Per questo don Giussani ha trovato corrispondenza − ancora giovane seminarista − nell’incontro con Giacomo Leopardi, nelle cui infinite attese rintracciava l’espressione di una religiosità profonda: «A tredici anni studiai a memoria l’intera produzione poetica di Leopardi, perché la problematica sollevata mi sembrava oscurare tutte le altre. Per un mese intero studiai soltanto Leopardi, […] il compagno più suggestivo del mio itinerario religioso».
Tutta la storia raccontata in questo libro ha la sua sorgente in quello che don Giussani chiamava il «bel giorno», da lui vissuto quando il suo professore di prima liceo, don Gaetano Corti, lesse e commentò il Prologo del Vangelo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne…». «L’istante, da allora – diceva don Giussani −, non fu più banalità per me». E l’istante comprende ogni flessione del vivere. Per questo nel 1965 poteva scrivere: «Misuro i pensieri e le azioni, gli stati d’animo e le reazioni, i giorni e le notti. Ma è un’Altra Presenza la compagnia profonda e il Testimone completo. Questo è il viaggio lungo che dobbiamo compiere insieme, questa è l’avventura reale: la scoperta di quella Presenza nelle nostre carni e nelle nostre ossa, l’immergersi del nostro essere in quella Presenza, – cioè la Santità».
L’esperienza continua di tale scoperta gli ha permesso di entrare in rapporto con tutto e con tutti, in una tensione piena di curiosità e di apertura valorizzatrice verso la vasta gamma dell’espressività umana, religiosa, artistica e culturale. È una partenza positiva, senza ombra di reattività: «Noi siamo nati non per rispondere alle emergenze: siamo nati per dire che è venuto Cristo. Pensavo a questo andando al Berchet la prima mattina», nel lontano 1954.
Proprio questo gli ha consentito di dare vita alla realtà di Comunione e Liberazione, non come progetto concepito nella mente, ma come progressiva dilatazione della sua vita e comunicazione della sua esperienza a chiunque incontrasse: «Il movimento ho incominciato a sentirlo, quando iniziavo a parlare: non era una cosa difficile, era una cosa imponente». E ancora: «Ho visto così succedere il formarsi di un popolo, in nome di Cristo. Tutto in me è diventato veramente più religioso, fino alla coscienza tesa a scoprire che “Dio è tutto in tutto”. […] Quello che poteva sembrare, al massimo, un’esperienza singolare diventava un protagonista nella storia, perciò strumento della missione dell’unico Popolo di Dio». In una lettera del 2004 a Giovanni Paolo II scriveva, quasi a bilancio di un’intera esistenza: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».
A chi avrà la pazienza di scorrere le pagine di questo libro non potrà suonare strano leggere, in una delle ultime interviste − quella per i suoi ottant’anni − questa affermazione di don Giussani: «Tutto per me si è svolto nella più assoluta normalità e solo le cose che accadevano, mentre accadevano, suscitavano stupore,
tanto era Dio a operarle facendo di esse la trama di una storia che mi accadeva – e mi accade – davanti agli occhi». Non era una battuta, la sua. Egli era talmente convinto che la sua vita era nelle mani di un Altro che poteva affermare in tutta tranquillità: «L’ultimo pensiero era che la settimana dopo si potesse vivere ancora, ci fossimo ancora. Siamo nati con questa, non dico umiltà, ma senso realistico della nostra pochezza».
Don Giussani si è speso senza riserve per testimoniare che Cristo è il Signore della vita e della storia, che è la Sua iniziativa a generare quella realtà nuova nel mondo che si chiama Chiesa. «Quando si dimentica che Cristo è la chiave di tutto» dirà alla vigilia della rivoluzione del Sessantotto «il cristianesimo diventa zero».
Per questo ha sempre lottato contro la riduzione intellettualistica, associazionistica e moralistica dell’esperienza cristiana – innanzitutto della realtà del movimento, GS prima e CL poi – a una forma cristallizzata e statica, a un insieme di definizioni astratte o a un prodotto dello sforzo umano. Perciò affermava: «Di tutta la mia esperienza io credo di poter testimoniare di fronte al Signore: l’unica cosa pura è stato l’inizio, e l’inizio continuo, ogni giorno, di quello che il Signore mi ha suggerito di fare. Che cosa il Signore mi suggeriva di fare è una tentativa e umile interpretazione, lieta soltanto di poter dar gloria al Signore, di tutto quel che si è fatto e che è avvenuto».
Non è intendimento dell’autore «racchiudere» la vita di don Giussani nelle pagine di questo volume, quanto piuttosto suscitare in chi lo leggerà o lo sfoglierà il desiderio di conoscerlo di più, attraverso ciò che lui stesso ha consegnato a tutti come sua eredità: «I testi lasciati e il seguito ininterrotto – se Dio vorrà – delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo».
ALBERTO SAVORANA, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato presso Rai Usa a New York. Dal 1994 al 2008 è stato direttore di “Tracce”, mensile internazionale di Comunione e Liberazione. Attualmente è responsabile dell’ufficio stampa e pubbliche relazioni di CL e delle attività editoriali del movimento.