Papa Francesco ai lavoratori sardi: “Anche la mia famiglia ha vissuto il dramma della disoccupazione. Vi devo dire coraggio! Ma non voglio sia una parola di passaggio”
“Signore Dio, guardaci, guarda questa città , questa isola, guarda le nostre famiglie. Signore, a te non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice… Signore, ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore non ci lasci soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi, che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il noi, noi popolo che vuole andare avanti. Signore Gesù, a te non mancò il lavoro. Dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!” Con questa preghiera in silenzio Papa Francesco conclude l’intervento davanti ai lavoratori sardi, il primo della sua giornata a Cagliari. Un discorso completamente a braccio, lasciando da parte le due cartelle che erano state preparate da lui, perché “guardandovi negli occhi ho preferito dire quello che mi è venuto spontaneo”.
“Sias ben’ennidu Frantzisku”. È con un benvenuto in lingua sarda che Cagliari accoglie Papa Francesco. L’ex arcivescovo di Buenos Aires arriva a Cagliari, la città italiana che più di tutte è legata alla capitale argentina. Perché Buenos Aires deve il suo nome alla Madonna di Bonaria, venerata in un santuario di Cagliari, che arrivò miracolosamente sulle coste della Sardegna dopo aver fatto placare una tempesta. Papa Francesco va sull’isola della Sardegna, dove una tempesta ancora c’è, ed è quella che riguarda il mondo del lavoro. Gli ultimi dati Istat sottolineano che nell’ultimo anno la Sardegna ha perso 54 mila posti di lavoro. E i lavoratori sardi (gli operai dello stabilimento multinazionale Usa dell’alluminio Alcoa Portovesme, i minatori e i sindaci del Sulcis) più volte sono stati in piazza San Pietro, e il loro grido di dolore era stato accolto da Benedetto XVI. Logico che il primo incontro di Papa Francesco sia quello con il mondo del lavoro, in largo Carlo Felice.
A loro, Papa Francesco esprime la vicinanza, “specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione e precarie, agli imprenditori e commercianti”.
E poi comincia a parlare a braccio: “Anche io ho conosciuto l’esperienza della disoccupazione, mio papà è andato in Argentina, ha sofferto la crisi del ’30, ha sofferto tutto, non c’era lavoro e io ho sentito nella mia infanzia parlare di questo tempo. Io non l’ho vissuto, non ero nato. Ma ho sentito dentro di casa parlare di questa sofferenza. Conosco bene questo. Devo dirvi coraggio. Ma devo anche fare tutto perché coraggio non sia una bella parola di passaggio, non sia un sorriso di un impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio! Vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di più come pastore, come uomo. Dobbiamo affrontare con solidarietà tra voi, e tra noi, con solidarietà e intelligenza questa sfida storica! Questa è la seconda città che visito in Italia”.
L’altra è Lampedusa. “Tutte due sono isole”, dice il Papa. Nella prima dice “ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca rischiando la vita, dignità, pane, salute. Il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città, che essendo isola non ha voluto isolarsi”. Sottolinea che a Lampedusa c’è “sofferenza e risposta positiva”. Qui c’è “una sofferenza che indebolisce ancora la speranza. È una sofferenza la mancanza di lavoro che ti porta a sentirti senza dignità (sono un po’ forte ma dico la verità). Dove non c’è lavoro manca la dignità!” E questo non è – dice il Papa – “un problema dell’Italia, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, che ha al centro un idolo che si chiama denaro! Dio ha voluto che al centro del mondo non ci sia un idolo, ma ci sia l’uomo e la donna, che portino avanti con il loro lavoro il mondo. Ma in questo sistema senza etica al centro c’è un idolo, e il mondo è diventato idolatra di questo dio denaro. Comandano i soldi, comanda il denaro, comandano tutte queste cose che servono a lui. E cosa succede per difendere questo idolo? Si ammucchiano tutti al centro e cadono gli estremi! Cadono gli anziani, perché in questo mondo non c’è posto per loro. Anche alcuni parlano di questa abitudine di eutanasia nascosta, di non curarli, non averli incontro… e cadono i giovani che non trovano il lavoro e la sua dignità! Ma pensa, in un mondo in cui due generazioni di giovani non hanno lavoro, non ha futuro questo mondo, perché i giovani non hanno dignità! È difficile avere dignità senza lavorare! Questa è la vostra sofferenza qui! Questa deve essere la vostra preghiera: lavoro, lavoro, lavoro! Lavoro significa dignità, lavoro significa dignità… per difendere questo sistema idolatrico si installa la cultura dello scarto, si scartano i nonni e i giovani! E dobbiamo dire: vogliamo un sistema giusto, che ci faccia andare avanti tutti! Dobbiamo dire: noi non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male! Al centro deve esserci l’uomo e la donna, come Dio vuole! Non il denaro!”.
Un discorso che il Papa pronuncia quasi senza fiato. Poi si ferma. Dice: “Avevo scritto alcune cose per voi, ma guardandovi sono venute queste parole! Consegnerò al vescovo queste parole scritte, come se fossero state dette… ma ho preferito dirvi questo guardandovi in questo momento! È facile dire: ‘Non perdere la speranza’. Ma a tutti voi, tra quanti avete lavoro e quanti non lo avete, dico: non lasciatevi rubare la speranza! Forse la speranza è come la brace sotto la cenere! Aiutiamoci con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco venga un’altra volta! Ma la speranza ci porta avanti! Non è ottimismo, è un’altra cosa… la speranza non è di uno, la speranza la dobbiamo sostenere tra tutti! La speranza è una cosa vostra e nostra. Per questo vi dico non lasciatevi rubare la speranza! Ma, siamo furbi! Il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi, il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente, anche con la bontà della colomba. Abbiamo questa furbizia e diciamo le cose con il loro nome. In questo momento nel nostro sistema economico, al centro c’è un idolo. E questo non si può fare! Lottiamo tutti insieme perché al centro ci sia l’uomo e la donna, lottiamo tutti insieme perché la speranza possa andare avanti”.
E finisce pregando con loro, dicendo quello che gli viene dal cuore.
Le parole del Papa sono ascoltate con attenzione da Francesco Mattana, Maria Grazia Patrizi e Luciano Uselli Bachitta, i tre rappresentanti del mondo del lavoro che rivolgono un saluto al Papa.
Gli operai: “Papa Francesco, non lasciarci soli”
Mattana è un operaio della Sardinia Green Island, produttrice di energia di fonti rinnovabili. Lì, la cassa integrazione interessa 86 lavoratori da quattro anni e due di loro, Marcello Piscedda e Maurizio Fornari, non hanno retto a questa situazione e si sono tolti la vita, e Mattana li ricorda all’inizio del suo discorso, poi ricorda al Papa che “dal 2 febbraio 2009, ormai più di quattro anni, sono senza lavoro”. Sottolinea che “migliaia di cassintegrati, disoccupati e precari appartenenti ad ogni settore lavorativo sono qui a renderle omaggio”. Afferma che “la mancanza del lavoro rende lo spirito debole. Una debolezza che genera paura. E la paura, talvolta, affievolisce anche la nostra fede e la fiducia dell’avvenire”. E ricorda che “le conseguenze più dure della carenza di lavoro sono a carico delle famiglie”, che “la disgregazione tra i coniugi e le difficoltà di relazione con i figli” vengono dalla crisi dell’occupazione”. E per questo chiede al Papa di “farsi portavoce del nostro grido di dolore presso chi rappresenta le istituzioni, come Mosè portò innanzi a Dio le sofferenze del popolo di Israele”. E spera che, a partire dalla vertenza Sardinia Green Island, siano risolte tutte le vertenze in Sardegna (cita il Sulcis, l’Alcoa).
Gli imprenditori: “Papa Francesco, la sua presenza ci incoraggia a continuare il nostro lavoro con fiducia e determinazione”
Maria Grazia Patrizi è invece una imprenditrice, presidente della cooperativa “Primavera 83”, che si occupa di realizzare e mantenere il verde ornamentale e dà oggi lavoro 110 persone, tra i quali “un terzo di lavoratori vulnerabili, tra cui invalidi e sofferenti mentali, carcerati e tossiodipendenti. La coop è nata trent’anni fa su iniziativa dell’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Cagliari, e viene dall’idea di un gruppo di giovani che – dice Patrizi – “hanno creduto alla cooperazione per creare il posto di lavoro” . Patrizi racconta il difficile cammino della cooperativa, le difficoltà per ottenere il finanziamento, la scommessa (nel 1994) di valorizzare il quartiere Sant’Elia (“nel quale il disagio sociale aveva generato anche un degrado urbano”) con un giardino che “tutti pensavano sprecato” e che invece “ancora oggi è uno dei più belli per la città”. Patrizi chiede al Papa di “benedire tutte le realtà imprenditoriali della nostra isola”, perché “tanti imprenditori vivono la drammatica responsabilità di fare di tutto per non perdere posti di lavoro”, ma “l’attuale crisi economica ha messo tutti a dura prova, tanto d’avere impressione che nessuna impresa possa essere ormai sicura del proprio futuro”.
I pastori: “Papa Francesco, benedici il nostro lavoro, la nostra terra, le nostre speranze”
Il mondo agropastorale è rappresentato da Uselli Bachitta. Le aziende agricole sono crollate di poco più del 40 per cento negli ultimi dieci anni, i giovani tornano all’agricoltura per necessità, la pastorizia è l’unico settore che sembra reggere (anche se le aziende sono il 34 per cento), ma resta comunque ai margini del mercato. C’è crisi, fortissima, nonostante agricoltura e pastorizia siano sempre state il traino e il vanto della Sardegna. Uselli Bachitta ricorda al Papa che “il lavoro delle campagne un tempo era l’attività principale dei nostri territori, al punto che tutti gli abitanti sperimentano un naturale senso di appartenenza a questa categoria. Eravamo popolo di pastori e di agricoltori”. Ma oggi questo è un lavoro precario, considerato “arcaico e privo di futuro”, e inoltre “le malattie distruggono le nostre greggi, gli incendi bruciano i nostri raccolti, le intemperie mettono a dura prova noi e le nostre famiglie”. Eppure, gli agricoltori e i pastori, afferma Uselli Bachitta, “guardano al futuro con speranza e fiducia, consapevoli della nostra missione di dover consegnare la terra alle nuove generazioni, in uno stato tale che anch’essa possa degnamente abitarla, coltivarla e valorizzarla.
Il testo scritto del Papa: “Perché ci sia un’autentica promozione umana va garantito il lavoro”
Il cuore del discorso è nelle parole a braccio del Papa. Quello che aveva scritto era imperniato su tre punti semplici: rimettere al centro la persona e il lavoro, predicare il Vangelo della speranza, chiedere un lavoro dignitoso per tutti.
Il tema della dignità del lavoro, della custodia del creato, della speranza sono tutti toccati nel discorso preparato dal Papa. Il quale chiedeva prima di tutto di “togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune”. Affermava che “perché ci sia un’autentica promozione umana va garantito il lavoro”. E la cultura del lavoro “implica educazione al lavoro fin da giovani, accompagnamento al lavoro, dignità per ogni attività lavorativa, condivisione del lavoro, eliminazione di ogni lavoro nero. In questa fase, tutta la società, in tutte le sue componenti, faccia ogni sforzo possibile perché il lavoro, che è sorgente di dignità, sia preoccupazione centrale!”
Ma si deve prima di tutto partire dal Vangelo della speranza. Papa Francesco cita Benedetto XVI, che a Cagliari nel 2008 affermò: “Occorre evangelizzare il mondo del lavoro”. È un appello che lo stesso Papa Francesco fa suo, e chiede ai vescovi di indicare “la necessità di un discernimento serio, realistico”, ma anche di orientare “verso un cammino di speranza, come avete scritto nel Messaggio in preparazione a questa Visita. Questo è importante, questa è la risposta giusta! Guardare in faccia la realtà, conoscerla bene, capirla, e cercare insieme delle strade, con il metodo della collaborazione e del dialogo, vivendo la vicinanza per portare speranza. Mai offuscare la speranza!” E la speranza, afferma il Papa, non va confusa con l’ottimismo (solo un atteggiamento psicologico, come aveva già detto nell’intervista a Civiltà Cattolica). Perché “la speranza è creativa, è capace di guardare il futuro”, e “una società aperta alla speranza non si chiude in se stessa, nella difesa degli interessi di pochi, ma guarda avanti nella prospettiva del bene comune”.
Intanto, però, ci vuole un lavoro dignitoso, e il Papa ci tiene a sottolinearlo, perché purtroppo – dice – “specialmente quando c’è crisi e il bisogno è forte, aumenta il lavoro disumano, il lavoro-schiavo, il lavoro senza la giusta sicurezza, oppure senza il rispetto del creato, o senza rispetto del riposo, della festa e della famiglia, il lavorare di domenica quando non è necessario”.
Il lavoro deve essere anche collegato “con la custodia del creato, perché questo venga preservato con responsabilità per le generazioni future. Il creato non è merce da sfruttare, ma dono da custodire”. Spiega il Papa che “l’impegno ecologico stesso è occasione di nuova occupazione nei settori ad esso collegati, come l’energia, la prevenzione e l’abbattimento delle diverse forme di inquinamento, la vigilanza sugli incendi del patrimonio boschivo, e così via. Custodire il creato, custodire l’uomo con un lavoro dignitoso sia impegno di tutti! Ecologia… e anche ‘ecologia umana’!”
Sulla scorta di Giovanni Paolo II, Papa Francesco ricorda nel testo scritto che “Gesù ha lavorato con le sue proprie mani” e con il suo lavoro “fisico” è entrato “nell’opera della redenzione dell’uomo e del mondo”. E per questo, dice il Papa, “è importante dedicarsi al proprio lavoro con assiduità, dedizione e competenza, è importante avere l’abitudine al lavoro” . Il Papa quindi auspica che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possa uscire insieme da questa fase negativa, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile. Portate il mio saluto alle vostre famiglie, ai bambini, ai giovani, agli anziani. Anch’io vi porto con me, specialmente nella mia preghiera”.