I Post classici al Foro Romano
Ancora per qualche giorno – fino al 29 settembre 2013 – si potrà visitare a Roma la mostra i Post Classici, a cura di Vincenzo Trione, ospitata nel Foro Romano in via dei Fori Imperiali. Diciamo subito che non è una mostra d’arte contemporanea facile da vedere: si tratta quasi di una caccia al tesoro. Certamente le arti visive hanno sin qui addestrato il pubblico ad ogni sorta di arditezza estetica, ma in questo caso la cosa si fa difficile anche sul piano fisico. Il luogo è vasto e impervio: non è che non vi siano dei cartelli, ma la segnaletica è generica, imprecisa e comunque molto scarsa. In sintesi: non vi è una mappa per orientarsi e il visitatore si imbatte casualmente e dopo lunghe e penose ricerche in opere d’arte contemporanee che si distinguono con fatica dalle transenne, dalle varie installazioni e dai cantieri aperti qui e lì per il Foro. Le rovine sono enormi e imponenti, fiumi di turisti le esplorano sotto il sole e lungo cammini non sempre agevoli: per i Postclassici esposti nell’immensità del Foro si ha quindi la sensazione di assistere ad una battaglia di nani contro giganti. La mostra intende documentare ed esibire – nelle vedute del curatore Trione – la ripresa dell’antico nell’arte contemporanea: 17 artisti – quasi tutti italiani – hanno tratto ispirazione dai luoghi eminenti della classicità per mettere in opera il richiamo dell’arte classica nei confronti dei moderni. In ogni caso, i valori aulici di bellezza, armonia, perfezione, misura ecc. vengono reinterpretati in chiave del tutto e volutamente anacronistica: arte contro storia dell’arte. Va detto che non è frequente che l’arte del nostro tempo si misuri con l’archeologia (anche se si ricordano diverse esperienze, soprattutto di fotografi, in tal senso), ma è la prima volta che gli artisti provino ad entrare nel Foro romano e a confrontarsi – lotta impari, va detto – con luoghi e monumenti diversi, presentando opere quasi tutte realizzate per l’occasione.
L’intuizione estetica di Trione vorrebbe evidenziare l’attività di artisti italiani impegnati a sottrarsi ad ogni internazionalismo stilistico e ad assecondare il bisogno di una identità nazionale per riaffermarne con forza il proprio stile “nel segno di uno stringente e spesso conflittuale rapporto con la memoria, ma anche nell’orizzonte di una nuova riflessione tra contemporaneità e patrimonio storico”. Siamo quindi nel solco del postmodernismo e del transavanguardismo di Bonito Oliva. Trione ha invitato a partecipare artisti di diverse generazioni: dai maestri dell’arte povera – Kounellis, Pistoletto, Paolini ‐ a protagonisti della transavanguardia come Paladino.
Vi sono anche figure isolate ‐ come Parmiggiani, Longobardi, Albanese, Beecroft ‐ e fotografi di valore come Mimmo Jodice e Antonio Biasiucci e poi Botta, Pietrosanti e personalità lontane da gruppi e da tendenze come Aquilanti o autori post‐informali come Colin e poi ZimmerFrei, Alis/Filliol e Barocco. Le opere sono – diciamo così – concentrate nel Tempio di Romolo e nel Tempio di Venere e Roma, sul Palatino alla Vigna Barberini e allo Stadio di Domiziano che riapre al pubblico dopo molti anni di restauro, al criptoportico neroniano e al Museo Palatino. Ad un primo esame i fotografi sembrano a loro agio tra le vestigia dell’antico più degli altri artisti: la fotografia in qualche modo si sottomette al classico e si propone in forme fruitive abbastanza tradizionali. Gli altri artisti si servono di media diversi che non pare tendano a collocarli in un territorio comune. Ad accomunarli piuttosto è il bisogno di appropriarsi dei temi artistici e religiosi fondamentali della classicità per renderli astratti e quasi irriconoscibili. Per questo si muovono con citazioni e trasposizioni, restando in bilico tra rispetto e trasgressione, in cerca di un effetto di straniamento che dovrebbe scostare il pubblico da una adesione superficiale all’antico per invogliarlo a quella fruizione problematica dell’estetico che è tipica del mondo contemporaneo. Gli artisti postclassici cercano di creare discontinuità, scarti, e decontestualizzazioni che non pongano la cultura del passato sopra un piedistallo – come accadeva per i classicisti del Rinascimento e dell’800. Ne sortiscono esiti ed effetti che, a volte, paiono allegorici, altre volte semplicemente buffi e irriverenti. Accompagna la mostra il volume Post‐classici.
La ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana edito da Electa. Nel libro, oltre alla documentazione delle opere esposte, è analizzato il rapporto tra classicità e contemporaneità in diversi ambiti: arte (Vincenzo Trione), archeologia (Marcello Barbanera), letteratura (Alessandro Piperno), mitologia (Maurizio Bettini), cinema (Gianni Canova), fino a delineare un viaggio “ideale” tra passato e presente ai Fori e al Palatino (Emanuele Trevi). Un vario programma di incontri e letture di e con critici, letterati e artisti accompagna la mostra. Il segno dominante è stato, però, un accanito nichilismo, una esibita ignoranza postmoderna intesa come aurora di un incerto futuro, un neoavanguardismo antiaccademico che è diventato ostensione della tragedia dell’arte contemporanea, schiacciata dalle proprie strutturali debolezze.
Ci chiediamo: di fronte al grande e convincente lavoro di ristrutturazione e riorganizzazione degli spazi espositivi dell’antico – museali ed archeologici – in atto in diversi siti italiani (valga per tutti, a Roma, il grande esempio di Palazzo Massimo o della Crypta Balbi) la via da seguire sarà quella di riordinare la fruizione del pubblico secondo nuove linee e nuove tecnologie o quella di far impattare senza alcuna mediazione antichi e contemporanei?