La prassi comunicativa delle Assemblee del Sinodo e il cambio di paradigma
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.09.2023 – Vik van Brantegem] – Stimolato dall’interessante ed importante articolo dell’amico e collega Andrea Gagliarducci, pubblicato oggi in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI] (e che ho offerto nella mia traduzione italiana su questo Blog dell’Editore, e come Editoriale su Korazym.org: Papa Francesco, il segreto pontificio e il dibattito sul Sinodo [QUI]), ritorno sull’argomento della comunicazione assembleare sinodale pre-2013 – l’anno che segna il cambio di paradigma [*] – per sgombrare il campo di ogni equivoco dal punto di visto storico (quindi non per spirito di “indietrismo”). Faccio presente che non tratto della comunicazione della Segreteria Generale del Sinodo, ma soltanto del lavoro comunicativo della Sala Stampa della Santa Sede per conto delle Assemblee sinodali.
In occasione della presentazione in anteprima [QUI] del nuovo libro di Gagliarducci, in uscita il prossimo 29 settembre – La chiesa del futuro. Dieci sfide per i sinodi che verranno (Città Nuova 2023, 144 pagine [QUI]) – ho ricordato che i primi passi di Gagliarducci come “vaticanista” sono coincisi con la celebrazione di un’Assemblea sinodale (quella del 2005) e che mio servizio alla Santa Sede si è concluso nel primo anno di pontificato di Papa Francesco, «con cui è cambiato l’apparato comunicativo: gli interventi non venivano più distribuiti né le sintesi tradotte», come osserva Gagliarducci. Infatti, dalla prima Assemblea sinodale nel nuovo pontificato, del 2014, fu deciso di terminare l’esperienza dell’Ufficio Temporaneo “del Fungo” e seguire delle procedure comunicative come sono state descritte da Gagliarducci.
Il nome “del Fungo” è derivato dal luogo dove fu allestito per le Assemblee sinodali questo Ufficio ad hoc della Sala Stampa della Santa Sede per la pubblicazione e la traduzione delle informazioni sinodali (con più di 40 collaboratori, tutti esterni, tra traduttori, editori, responsabili di settore, aiutanti, tecnici). Questo luogo era la Sala degli Ambasciatori, sopra lo Studio pontificio presso l’Aula Paolo VI, di fronte ad un grande “ombrello” in cemento armato per proteggere il Papa quando esce dalla macchina per recarsi nel suo Studio, quando piove. Ha la forma di un fungo, da qui il nome con cui l’Ufficio fu chiamato ufficialmente (foto di copertina).
Trattando del campo della comunicazione sinodale, con il presente testo offro un mio contributo personale, visto che ho gestito – con delega del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, come ricorderà Gagliarducci nel suo libro, che ho potuto visionare in anteprima – l’apparato comunicativo di 17 Assemblee sinodali (tra Generali Ordinarie, Generali Straordinarie e Speciali) dal 1985 (Seconda Assemblea Generale Straordinaria – Il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II) fino al 2012 (Decimo Terza Assemblea Generale Ordinaria – La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana).
Quanto segue è in sostanza – adattato per questo articolo – il contenuto di una mia Nota Facebook del 5 ottobre 2018 Buongiorno dal #Synod2018. La questione spinosa della comunicazione sui lavori dell’Assemblea generale sinodale (le Note Facebook non sono sparite nel nulla, ma sono difficilmente rintracciabili, perché la relativa sezione “Note” è stata chiuso da Facebook tempo fa). Quanto scritto nel 2018 pare ancora valido e poco c’è da aggiungere dal punto di visto storico. Sul presente e per riflettere sul futuro, rimando al libro citato di Gagliarducci.
Era appena iniziata la Decima Quinta Assemblea Generale Ordinaria – I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, che è stata celebrata dal 3 al 28 ottobre 2018. Ero stato stimolato di uscire dalla mia proverbiale riservatezza, da due interventi (extra sinodali) tra il 4 e il 5 ottobre 2018, perché toccavano un argomento che è stato il filo rosso della mia vita: la comunicazione. Questo mio legame con la comunicazione era iniziato negli anni ‘60 quando collaboravo al giornale della scuola, il Sint-Victorsinstituut dei Fratelli della Carità a Turnhout in Belgio, sotto l’impulso delll’insegnante di lingua neerlandese, che mi ha stimolato (e insegnato) a scrivere. Quindi il mio legame con la comunicazione è proseguito come studente alla Rijksuniversiteit Gent con le storiche riviste Het Steen e Het Steentje della VNSU-Vlaams Nazionale Studenten Unie (Unione dei Studenti Nazional Fiamminghi) e Ons Verbond di KVHV-Katholiek Vlaams Hoogstudenten Verbond (Unione dei Studenti Cattolici Fiamminghi); con il mensile per giovani che ho fondato Alternatief; nel mio lavoro come Direttore del Servizio di informazione internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre a Königstein in Germania e Westerlo in Belgio; e alla fine, per 30 anni come Assistente della Sala Stampa della Santa Sede.
Con quanto segue, allora non intendevo violare, non ho violato e non violerò il Segreto d’Ufficio e il Segreto Pontificio (secondo i due giuramenti fatti quando sono entrato in servizio alla Santa Sede nel 1985).
Il primo intervento era un post sul diario Facebook dell’amico e collega Giorgio Bernardelli del 4 ottobre 2018, a cui sono proseguiti commenti e risposte il giorno successivo: «Il fatto che ai briefing del #Synod2018 non verranno indicati i nomi degli intervenuti né verrà specificato chi ha detto cosa mi pare pessimo segnale sulla comunicazione nella Chiesa. Le sintesi degli interventi erano un’occasione per conoscere i vescovi del mondo, che altrimenti per chi osserva sono solo un elenco di nomi. Paura di polemiche piccole rischia di soffocare la possibilità di vivere davvero l’universalità della Chiesa».
Nel primo Briefing dopo l’apertura dei lavori sinodali, una richiesta in tal senso era stata fatta anche da un collega. In passato, però, i Vaticanisti più quotati e più in vista – insieme all’AIGAV-Associazione Internazionale dei Giornalisti Accreditati in Vaticano, in modo formale – tuonavano sulle loro agenzie e sui loro giornali contro la “segretezza” nei lavori sinodali. Peraltro, era una protesta largamente ingiustificata, vista la massa di informazioni che uscivano dall’Aula del Sinodo (a voce, in forma cartacea, in forma elettronica in Rete). La categoria si era così mostrata afflitta da disfonia ed artrosi delle dita. Così sembrava.
Il secondo intervento era un articolo dell’amico Guido Mocellin su Avvenire del 5 ottobre 2018, Sinodi e voce del popolo di Dio: dall’informatica arriva una risorsa, che parlava dei «100mila ragazze e ragazzi che hanno risposto per intero al questionario messo online dalla Santa Sede a metà del 2017 e rimasto aperto per sei mesi. (…) Percorrendo l’intero questionario, al momento della sua uscita, mi sembrò che il suo obiettivo fosse quello di «creare confidenza tra Sinodo e giovani». (…) il Cardinal Baldisseri (…) ha valutato “questa iniziativa informatica”: la considera “un’esperienza vincente che permette di poterla utilizzare con modalità differenti – conservata la confidenzialità – anche nei prossimi lavori sinodali”. Tra gli indirizzi della riforma del Sinodo dei Vescovi che la recentissima Costituzione apostolica Episcopalis communio ha indicato c’è una maggiore centralità della fase preparatoria, lungo la quale dare maggiormente voce a tutto il popolo di Dio. Mi piace che la Rete sia vista in ciò come una risorsa».
Anch’io sono da sempre felicissimo che la Rete venga vista – fino ai più alti piani della gerarchia della Chiesa Cattolica Romana – come una risorsa, perché non era cosi agli esordi dell’era elettronica e ci è costato del lavoro duro ma entusiasmante, svolto con tenacia e costanza. È un lavoro che ha anche prodotto grandi soddisfazioni, non solo potendone verificare nell’immediato i risultati (attraverso reazioni ed attestazioni ricevute da tutto il mondo e dagli ambienti più svariati), ma anche nel corso del tempo (per esempio, studiosi che accedevano ai lavori sinodali attraverso le pubblicazioni fatte). Il lavoro mi diede soddisfazione anche dal punto di vista personale. Il mio compianto Direttore Joaquín Navarro-Valls mi disse sempre: il Fungo è come un laboratorio, dove sperimenti dei sistemi e delle procedure che possono essere utili per la Sala Stampa nel suo insieme (infatti, ancora oggi [lo scrissi nel 2018 ma vale ancora per oggi], il Bollettino quotidiano della Sala Stampa della Santa Sede viene prodotto sostanzialmente con il sistema sviluppato all’Ufficio temporaneo “del Fungo” in occasione della celebrazione delle Assemblee sinodali).
Però, non basta solo servirsi della Rete per la fase consultativa del processo sinodale che porta alle Assemblee. Anzi, non serve a nulla se contemporaneamente è stata rottamata ed asfaltata la prassi comunicativa seguita e sviluppata a partire dagli esordi del cammino sinodale (come già sperimentato per la comunicazione sui lavori conciliari).
Avevo ereditato questa esperienza dal mio predecessore come incaricato della pubblicazione e della traduzione delle informazioni sinodali, il compianto Vescovo Pierfranco Pastore, che era stato il Vice Direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Essendo nel frattempo diventato Segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, questi fu interpellato per avere informazioni concrete sul funzionamento della “macchina comunicativa” sinodale. In quell’occasione, mi disse: “Guarda negli archivi quanto e come abbiamo fatto in precedenza. Richiami i collaboratori che hanno già esperienza e ne cerchi degli altri. Imparerai strada facendo e con il tempo ci metterai del tuo”.
Questo consiglio ho seguito, non rottamando o asfaltando niente, portando il lavoro dalle macchine da scrivere e la duplicatrice con gli stencil (prima a macchina e successivamente con lo scanner) per la stampa e i fascicolatori per la pubblicazione del Bollettino Synodus Episcoporum su carta, fino all’uso dei mezzi elettronici (il primo LAN nella Città del Vaticano fu installato in modo volante proprio nell’Ufficio temporaneo “del Fungo”) e la diffusione in tempo reale del Bollettini Synodus Episcoporum in forma elettronica attraverso la Rete (per accennare soltanto a questo). Anche coloro che stavano a casa – non solo giornalisti, ma anche Nunzi Apostolici, vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli semplici – potevano in questo modo non soltanto seguire i lavori sinodali, ma anche leggere quanto detto dai Partecipanti in Aula. E questo vi sembra poco? Valeva la pena abbandonare questa prassi seguita in 25 Assemblee sinodali? Per sostituirlo con dei Briefing in cui non si possono neanche dare i nominativi di coloro che sono intervenuti, senza contare quanto hanno detto.
Oggi sappiamo, con cronaca scrupolosa e tanto di fotografia, che Papa Francesco partecipa ai lavori sinodali (come facevano i suoi predecessori) e che partecipa alle pause caffè, parlando con i partecipanti (i suoi predecessori in quei momenti ricevevano tutti i partecipanti a gruppi e parlavano con loro, di cui ho la testimonianza diretta dal mio amico Mons. Giorgio Costantino, per tanti anni Addetto stampa di lingua italiana in occasione delle Assemblee sinodali). Sappiamo anche che i Partecipanti parlano e rispettano i momenti di silenzio come richiesto dal Santo Padre, ma non sappiamo cosa dicono, neanche chi ha detto qualcosa. Questo vi sembra essere un modo di comunicare trasparente e utile? In fondo, si esclude di usare le possibilità – usufruite in passato – offerte dalle nuove tecnologie e dalla Rete con le sue potenzialità di raggiungere ognuno fino ai più remoti angoli della Terra (“fino alla Patagonia”, mi disse una volta il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Cardinale Pieter Jan Schotte, CICM).
L’ha riassunto uno studioso sul suo diario Facebook: «Spiace che per aver una sintesi dei lavori bisogna leggere un giornalista che riassume quello che è stato sintetizzato al “briefing”».
Rispondendo al citato post di Giorgio Bernardelli, nella mia Nota del 5 ottobre 2018 ho osservato «che si tratta della stessa impostazione come per la III Assemblea Generale Straordinaria – Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione del 2014 e per la XIV Assemblea Generale Ordinaria – La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo del 2015, i primi due del Pontificato di Papa Francesco [aggiungo: che sono entrati nella storia sinodale come i peggiori in assoluto
dal punto di visto comunicativa]. Non si è più ripristinato l’Ufficio temporaneo “del Fungo” incaricato della pubblicazione e della traduzione delle informazioni sinodali (che avevo diretto per 17 Assemblee generali prima di andare in pensione il 31 dicembre 2013). Non credo che verrà ristabilito la pubblicazione esaustiva come in passato, almeno non per questa Assemblea generale, anche perché logisticamente mi risulta impossibile ad organizzare ancora». Questo scrissi, lo ricordo, il 5 ottobre 2018. Ovviamente, non era necessario farlo, solo perché “si è sempre fatto così”.
L’ultimo Bollettino informativo della Commissione per l’informazione dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal titolo Synodus Episcoporum, fu pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede in occasione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (7-28 ottobre 2012) [QUI].
Al compianto amico e collega Salvatore Mazza, che osservò che «in passato è già successo diverse volte, quando i vescovi provenienti da paesi o zone “calde” chiedevano riservatezza sul contenuto dei loro interventi per sentirsi in grado di poter parlare liberamente», ho risposto che nelle 17 Assemblee sinodali a cui ho partecipato e di cui posso quindi parlare ex professo, questi casi possono essere contati su due mani. Poi, Daniele Rocchi ricordava «qualcosa di simile al Sinodo per il Medio Oriente.
Mentre Giorgio Bernardelli osservava che i riassunti venivano pubblicati, secondo Daniele Rocchi «le cose migliori, però, uscirono dai briefing divisi per lingue», a cui risposi: «Posso testimoniare che questo non è vero. Nei Briefing venivano sostanzialmente date le (già abbondanti) informazioni pubblicate nel bollettino (2 volte al giorno in 5 lingue e una versione plurilingue). Inoltre, nei Briefing veniva dato “colore” e ulteriori informazioni in certi casi per capire meglio il “contesto” dei testi pubblicati.
Lo ricorderà anche Gagliarducci in modo storicamente corretto, come si potrà leggere nella Premessa al suo libro in uscita, La chiesa del futuro. Dieci sfide per i sinodi che verranno, che ho potuto visionare in anteprima: «Nella Sala Stampa, poi, ogni giorno, a metà giornata, in briefing divisi per gruppi linguistici si raccontava informalmente come fosse andata la discussione sinodale, di cosa si fosse parlato, quali fossero i temi di importanza. Non di rado, i relatori del briefing portavano ospiti dall’assise sinodale, vescovi o cardinali che poi si mettevano a disposizione per le interviste. Per l’Italia, c’era don Giorgio Costantino, che relazionava da anni sui Sinodi e che dunque si poteva permettere di aggiungere una quarta dimensione, oltre a spazio, tempo e notizia: quella della profondità. «Se ricordate, di questo tema si era già parlato due Sinodi fa…»; «È un punto di discussione che persino Giovanni Paolo II aveva notato nell’esortazione…»: don Giorgio aiutava a tenere viva la curiosità, a rendere interessante anche qualcosa di potenzialmente “non notiziabile” come una discussione tra presuli su temi apparentemente astratti».
I testi per la stampa (talvolta erano più lunghi di quanto pronunciato in Aula) e i testi integrali delle Relazioni, Propositiones, ecc. venivano pubblicati (in 5 lingue e una versione linguistica) 2 volte al giorno, fino alla XIII assemblea generale ordinaria – La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana del 2012 (che fu l’ultima del Pontificato di Papa Benedetto XVI)».
L’amico e collega Fabio Colagrande intervenne per aggiungere: «È successo anche per i primi due Sinodi di questo Pontificato. Ma oramai i tempi suggeriscono secondo me una maggiore apertura. Gran parte del mondo non sa nemmeno che si stia svolgendo un Sinodo in Vaticano, perciò la Chiesa dovrebbe fare tutto ciò che è possibile per facilitare l’informazione e renderla attraente e interessante. Indicare almeno la nazionalità o il continente di chi parla già aiuterebbe a capire la varietà delle problematiche pastorali in gioco». Seguito da Giorgio Bernardelli: «C’è anche un altro aspetto: questo Sinodo fin dall’inizio è stato detto che era in dialogo con i giovani. Ma nel dialogo l’ascolto è reciproco: perché i giovani non dovrebbero poter ascoltare che cosa i padri sinodali dicono su di loro? Nessuno pretende le dirette streaming, ma almeno sapere qual è l’aspetto più importante secondo ciascuno dei padri sinodali. Invece con questo metodo ascolteremo solo la voce dei più sgamati o quelli che hanno a disposizione un ufficio stampa. Degli interventi della prima giornata circolano quello di Chaput e quello dell’Arcivescovo di Sidney Fisher. Come al solito sarà la voce delle Chiese del sud del mondo quella che sentiremo di meno».
Ho risposto: «E qui c’è da aggiungere che – e non se ne capisce né il motivo, né la logica del perché questo intervento sì e non gli altri – che sia sul sito ufficiale del Sinodo dei Vescovi www.synod2018.va (sezione Attualità) sia sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede (N. 726 di ieri), viene pubblicato l’intervento della laica consacrata Briana Santiago, Uditrice dal Texas».
Quindi, ho fatto una breve ricostruzione storica, con qualche valutazione sul presente e un augurio per il futuro.
In passato, fino al 2012 venivano pubblicati in tempo reale 2 edizioni al giorno del Bollettino Synodus episcoporum (a conclusione dei lavori del mattino e del pomeriggio) in 5 lingue e 1 edizione plurilingue, a cura dell’Ufficio temporaneo “del Fungo” della Sala Stampa della Santa Sede, incaricato della pubblicazione e traduzione delle informazioni delle Assemblee sinodali, con i testi integrali delle relazioni, delle Propositiones, ecc. e con i riassunti degli interventi in Aula preparati dai Partecipanti stessi (con nome, cognome, funzione e Paese, nelle lingue originali e nelle traduzioni, molte volte più lunghi di quanto pronunciato in Aula). Tutto veniva ripreso da qui su L’Osservatore Romano e Radio Vaticana, che inoltre seguivano i lavori sinodali con propri giornalisti. Da quando le nuove tecnologie lo permettevano tutto veniva digitalizzato e messo on line (quindi ognuno volendo poteva sapere passo per passo cosa succedeva al Sinodo, dal Polo nord fino alla Patagonia, basta avere un PC e connessione Internet a disposizione). I Briefing e le Conferenze Stampa, la copertura di Vatican Information Service (della Sala Stampa della Santa Sede, poi soppresso), Radio Vaticana e L’Osservatore Romano completavano il tutto.
C’era abbondanza di materiale, informazione e aiuto da parte degli Addetti stampa linguistici, i quali se autorizzati dai singoli Partecipanti potevano anche citare ampiamente i testi integrali non pubblicati).
Il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi dal 24 aprile 1985 all’11 febbraio 2004, il primo con cui ho collaborato, e mio compatriota fiammingo nato a Beveren-Leie, il compianto Cardinale Jan Pieter Schotte, C.I.C.M. mi disse una volta, quando parlavamo dell’accusa da parte di certi giornalisti, che stavamo nascondendo delle informazioni: «Niente che viene dette al Sinodo è degno di essere tenuto segreto e quelle rare volte che qualcosa non viene pubblicato lo è su richiesta dei Padri sinodali [venendo da Paesi con regimi oppressivi, da contare sulle dita di due mani]».
Mi permetto di parlare di questo argomento (con fatti non opinioni, sempre sperando di non abusare della pazienza degli attenti lettori), come “persona informata dei fatti”, visto che ho fatto 17 Assemblee generali del Sinodo dei Vescovi come Responsabile dell’Ufficio temporaneo “del Fungo”, come ho ricordato in precedenza. Inoltre, avevo già seguito un’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi prima di entrare in servizio, come corrispondente, la VI Assemblea Generale Ordinaria – La penitenza e la riconciliazione nella missione della Chiesa del 1983 (che era l’ottava Assemblea sinodale).
La prassi seguita nelle 25 Assemblee sinodali fino al 2012 – e il metodo comunicativo ad esse connesso – fu abolita seccamente a conclusone del precedente pontificato. Non tradisco il Segreto d’Ufficio e il Segreto Pontificio a cui sono tenuto (ancora), nel dire – con un understatement – che questo abbandono è stato un errore e per forza delle cose una scelta fallimentare.
«Indicare almeno la nazionalità o il continente di chi parla», non solo non aiuterebbe a capire un bel niente, ma sarebbe una toppa peggio del buco. L’unica soluzione che vedo – scrissi il 5 ottobre 2018 (e non era perché avevo voglia di rientrare in servizio) – è ritornare alla prassi “del Fungo”.
Aggiungo per completezza, che si può consultare sul sito istituzionale della Santa Sede per avere un’idea di quanto fatto in passato (dal momento in cui l’elettronica lo permetteva, anche se le prime esperienze furono cancellate a suo tempo dalla Responsabile dell’Ufficio Internet della Santa Sede, «per creare spazio sui server» (mi sono dovuto trattenere a non dire improperi e fare peccato) e non c’era stato dato il tempo – e i fondi – per ricostruire quanto perduto e per digitalizzare e mettere online i Bollettini Synodus Episcoporum cartacei del passato).
Infine, sono stato stimolato e convinto a scrivere questa Nota, visto la reazione al mio intervento da parte di due affermati “addetti ai lavori”, gli amici e colleghi Fabio Colagrande («Grazie, Vik. Davvero interessante») e Giorgio Bernardelli stesso («È proprio perché ho ben in mente quel lavoro – da me utilizzato anche stando lontano da Roma – che ho sollevato la questione»), a cui ho risposto: «E hai fatto benissimo e ti ringrazio per questo, perché la verità storica non può essere negata e non tutto quello che è stato costruito in passato (con grande fatica e senso di servizio) non può essere rottamato e asfaltato con un colpo secco, come non ci fosse stato niente di utile, anzi come tu stesso (e tutti i colleghi che hanno mai seguito almeno un’Assemblea generale sinodale prima del 2013 possono testimoniare con onestà intellettuale e professionale). Mi sono permesso di intervenire – che faccio sempre con prudenza entrando in casa altrui – solo ed esclusivamente per sostenerti in quanto affermato. Perché so di sapere di cosa parlo e credo che queste cose vanno detto ad alta voce per il bene della Chiesa. Con la speranza – che è sempre l’ultima a morire – che i vertici della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ritornino sui loro passi e ritornano sulla strada maestra della comunicazione trasparente e “socialmente ed ecclesialmente utile”».
«Non c’è niente di perfetto»
Aggiungo alle reazioni, il commento a questa Nota di Guido Mocellin, a mia volta accolto con interesse (storico) e gratitudine: «Grazie a Vik van Brantegem non solo per la citazione, ma anche per questo pezzo di storia del Sinodo dei vescovi raccontato da “dentro”. Come caporedattore di Il Regno Documenti io stavo “fuori”, e per me e per noi le sintesi degli interventi dei padri sinodali che il “Fungo” pubblicava erano solo la pista per inseguire i testi integrali, “braccando” i padri sinodali all’uscita dall’Aula del Sinodo. In quegli anni anche il fatto che essi dessero interviste o comunque avessero contatti con i giornalisti non era visto con simpatia dalla Segreteria del Sinodo. Oggi sappiamo che sono liberi di farlo, ma vorremmo anche sapere cosa dicono in aula, per poterli poi intervistare… Come dice la volpe nel Piccolo Principe, quando apprende che sul suo pianeta non ci sono cacciatori, ma neppure galline: “Non c’è niente di perfetto”».
Il caso Sarah, i tre setacci di Socrate e la parresia
Elenco dei Partecipanti della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
A. ELENCO DEI PADRI SINODALI SECONDO IL TITOLO DI PARTECIPAZIONE
VI. COMMISSIONE PER L’INFORMAZIONE
[Nominati dal Sommo Pontefice + Ex ufficio]
Dott. Paolo RUFFINI, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Presidente della Commissione (Città del Vaticano)
[Nominato dal Sommo Pontefice]
Rev. P. Antonio SPADARO, S.I., Direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”, Segretario della Commissione (Italia)
[Ex ufficio]
Cardinale Lorenzo BALDISSERI, Segretario Generale (Città del Vaticano)
Mons. Fabio FABENE, Vescovo titolare di Montefiascone, Sottosegretario (Città del Vaticano)
Rev. P. Giacomo COSTA, S.I., Direttore della Rivista “Aggiornamenti Sociali”, Presidente della Fondazione Culturale San Fedele, Vicepresidente della Fondazione Carlo Maria Martini, Segretario speciale (Italia)
Rev. Rossano SALA, S.D.B., Professore di Pastorale Giovanile presso la Pontificia Università Salesiana e Direttore della Rivista “Note di Pastorale Giovanile”, Segretario speciale (Italia)
Dott. Greg BURKE, Direttore della Sala Stampa della Sana Sede (Città del Vaticano) [1]
[Ex electione]
Cinque Membri eletti dall’Assemblea generale secondo il Regolamento dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi:
Cardinale Wilfried FOX NAPIER, Arcivescovo di Durban [2]
Cardinale Louis Antonio TAGLE, Arcivescovo di Manila
Cardinale Gérald Cyprien LACROIX, Arcivescovo di Quebec
Cardinale Christoph SCHÖNBORN, Arcivescovo di Vienna
Monsignor Anthony FISHER, Arcivescovo di Sydney
[1] Il Regolamento della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi prevedeva che il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede era Segretario della Commissione ex ufficio.
[2] Subentrato al Cardinale Robert SARAH, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha rinunciato. «La sua decisione è stata presa per ragioni personali. Nulla di strano», ha spiegato il Sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, il Vescovo Fabio Fabene, senza precisare quali siano state questi «ragioni personali».
C’era – nel mondo della comunicazione professionale (e ometto di citare dei nomi, per carità cristiana, anche se loro non sono per niente caritatevoli verso chi non la pensa come loro – che scrisse (nonostante le motivazione del Padre sinodale Sarah non fosse nota e la Segreteria Generale del Sinodo aveva osservato che c’era «nulla di strano»): «È nota la sua opposizione a Papa Francesco» e «È notoriamente tradizionalista».
«Si potrebbe invece affermare – scrisse l’amico Hermann Sta – che in varie occasioni il Pontefice ha opposto la sua opinione all’operato, in virtù del suo ministero e del suo servizio come Capo di un dicastero, al Cardinale Sarah, quindi per logica si potrebbe affermare che è nota l’opposizione di Papa Francesco al Prefetto della Congregazione per il Culto Divino».
Comunque si trattava di una fake news, in concreto l’ostinazione con la quale si applica l’etichetta di «opposizione a Papa Francesco». Non essere d’accordo con certi provvedimenti del Sommo Pontefice non vuol dire essere un «oppositore». Sono delle etichette che servono solo a fomentare la divisione e la confusione che regnano sovrane, così sembrerebbe, dando combustibile ad un processo di confusione, provocato e che ha pochi riscontri nella Storia della Chiesa.
Ed è fake news perché non passa i tre setacci di Socrate: È vero? È buono? È utile? [QUI].
I tre setacci di Socrate mi erano venuti in mente, leggendo il discorso di Papa Francesco in apertura della XV Assemblea Generale sinodale.
Aprendo il sinodo sui giovani il Papa indica nell’assemblea uno spazio di dialogo e di discernimento
Ascoltare e parlare con coraggio
L’Osservatore Romano, 5 ottobre 2018
Parlare con coraggio e ascoltare con umiltà. Aprendo mercoledì pomeriggio, 3 ottobre, i lavori del sinodo dedicato ai giovani, il Papa ha invitato i vescovi alla parresia, un atteggiamento nel quale si esprimono insieme «libertà, verità e carità». Prima degli interventi del Segretario Generale e del Relatore Generale, il Pontefice si è rivolto ai partecipanti alla prima congregazione per ribadire che il modo «è un momento di condivisione» e «un esercizio di dialogo», invitando i padri a «farsi voce» ei giovani del mondo e ricordando che «una critica onesta e trasparente è costruttiva e aiuta, mentre non lo fanno le chiacchiere inutili, le dicerie, le illazioni oppure i pregiudizi». In questo spirito, il Papa ha chiesto ai presenti di aprirsi alle novità e di sentirsi «liberi di accogliere e comprendere gli altri», anche attraverso la disponibilità a «cambiare le nostre convinzioni e posizioni: è segno — ha commentato — di grande maturità umana e spirituale». «Franchezza nel parlare» e «apertura nell’ascoltare» sono «fondamentali», secondo Francesco, per garantire che il sinodo divenga «un esercizio ecclesiale di discernimento». Per questo, ha esortato, «siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili». Ma, ha precisato, «l’atteggiamento di ascolto non può limitarsi alle parole che ci scambieremo nei lavori sinodali». Occorre infatti liberare anzitutto «le nostre menti e i nostri cuori da pregiudizi e stereotipi», evitando il pericolo di parlare ai giovani «a partire da categorie e schemi mentali superati». È necessario inoltre «superare con decisione la piaga del clericalismo» — alla radice di «tanti mali» di cui la Chiesa deve «chiedere umilmente perdono» — e, allo stesso tempo, «curare il virus dell’autosufficienza e delle affrettate conclusioni di molti giovani».
[*] Non pare inutile ricordare che l’espressione “cambio di paradigma” è un concetto molto abusato, correntemente ridotto a slogan privo di senso e consumato prima di concretizzarsi in qualche fatto compiuto davvero capace di trasformazione positiva. Quello che è successo dal 2013, non era un semplice “cambio di passo”, ma il rottamare ed asfaltare quello che era stato costruito fino ad allora, per inciso secondo le precise indicazioni pontificie. «Non è perché “si è sempre fatto così” che questo vada anche bene e dobbiamo cambiare il passo», ho avuto ancora il tempo di sentir sussurrare, prima di andare in pensione e di vedere poi lo tsunami che si è abbattuto sull’apparato comunicativo della Santa Sede, che ha spazzato via anche il sistema comunicativo, ereditato dai lavori conciliari, a partire dalla prima Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Quindi, “cambio di paradigma” è il cambiamento delle regole, delle prospettive e delle finalità, che si configura quindi come un insieme di principi e di pratiche, che alimentano e governano le scelte di varia natura che ne discendono. Le conseguenze sono davanti ai nostri occhi da allora.
Foto di copertina: un po’ di storia… Ordinando un po’ di vecchie fotografie, ho ritrovato quelle – tra cui un momento della preghiera prima della Benedizione (foto sopra) – scattate dall’amico fotografo de L’Osservatore Romano Simone Risoluti in occasione della Benedizione dell’Ufficio temporaneo “del Fungo”, martedì 5 ottobre 2010 da parte di Mons. Carlo Maria Viganò, Vescovo titolare di Ulpiana, Nunzio Apostolico, Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, come Ministro con gli Assistenti Padre Ciro Benedettini, C.P., Vice Direttore della Sala Stampa della Santa Sede e Mons. John Abruzzese, Ufficiale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
L’Ufficio temporaneo “del Fungo” fu da me programmato, organizzato e diretto per delega del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Padre Federico Lombardi, S.I. in occasione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, celebrata dal 10 al 24 ottobre 2010, dal tema: «La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32)».