Torino: la famiglia è patrimonio economico e valoriale

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Sono arrivati da tutta Italia per partecipare ai lavori della 47^ Settimana Sociale dei cattolici italiani, in svolgimento a Torino: oltre 1300 iscritti, dei quali più di 900 laici. Tra loro, insieme ad 80 vescovi e 220 sacerdoti, ci sono rappresentanti delle associazioni, dei movimenti e delle aggregazioni laicali, persone impegnate nella pastorale sociale e familiare, delegati delle diocesi.

 Dopo la giornata inaugurale  venerdì 13 settembre è intervenuto il presidente del Consiglio, on. Enrico Letta, che ha detto: “Bisogna essere seri, non dare l’idea di essere ogni giorno un vulcano in ebollizione… Il primo costo di un Paese finisce per essere sul bilancio del welfare, quindi tutto ciò ricade sulla vita delle nostre famiglie”. Quindi il premier ha ricordato  che il governo ha presentato un piano nazionale per le famiglie e la riforma dell’Isee: “E’ un primo passo, assolutamente necessario ci saranno altri passi per alleggerire pesi che oggi sono squilibrati”.

 Nella sessione plenaria il prof. Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Scienze statistiche dell’Università di Milano-Bicocca, ha prospettato gli scenari e gli obiettivi della famiglia: “Al Censimento 2011 la popolazione italiana si è attestata a poco meno di 60.000.000 di abitanti, distribuiti in circa 25.000.000 di famiglie. In 60 anni, il totale dei residenti si è accresciuto meno intensamente delle corrispondenti unità familiari: in particolare, negli ultimi due decenni del secolo scorso, la popolazione ha accusato un rallentamento della crescita, mentre il numero di famiglie, intese secondo la definizione anagrafica, è aumentato a un ritmo sempre più elevato nei tre intervalli intercensuari che si sono succeduti a partire dal 1981”.  

Dopo un excursus demografico ha analizzato le prospettive: “Si valuta che la popolazione italiana supererà la soglia dei 62.000.000 di residenti nel corso del 2036 raggiungendo nel 2040 il suo massimo, con un valore di poco superiore. Da allora in poi avrà inizio una fase di decremento che la riporterà sotto i 60.000.000 nel corso del 2062: nell’arco di 50 anni la parabola demografica potrà così dirsi completata”. Comunque l’immigrazione straniera non sarà sufficiente per colmare il gap della denatalità: “I residenti stranieri, già oggi più di 4.000.000, sono infatti destinati a salire a quasi 13.000.000 nei prossimi 50 anni, mentre i cittadini italiani scenderebbero, nello stesso arco temporale, di 9.000.000: da 55,4 nel 2011 a 46,5 nel 2065. Tuttavia il contributo dell’immigrazione straniera non sarà sufficiente anche a garantire stabilità rispetto alla frequenza di nascite…

Si stima che nel 2064 le nascite in Italia saranno inferiori del 9% rispetto a oggi e che la crescita dei nati stranieri, per quanto destinata a raddoppiarsi rispetto al dato attuale, non sarà sufficiente a compensare il forte calo delle nascite italiane: -127.000 tra il 2012 e il 2064 (-27%)”.  Quindi, ha concluso, prospettando un futuro non roseo:

 “Avremo, in particolare, un aumento (quasi lineare) del numero di persone sole, che entro il 2031 arriveranno a superare gli 8,2 milioni di famiglie (un milione in più rispetto ad oggi); anche le coppie senza figli aumenteranno, pur se meno velocemente delle persone sole, fino a 6.400.000; le coppie con figli, dopo un decennio di leggero incremento (supereranno le 10 milioni di unità nel 2019), imboccheranno il sentiero della decrescita che le porterà, nell’arco dei 10 anni successivi, ad una perdita di circa 400.000 unità; anche il numero dei nuclei monogenitore (sia con genitore maschio che femmina) tenderà ad aumentare, raggiungendo complessivamente nel 2031 circa 2.500.000 unità”.

 La prof.ssa Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale all’Università di Milano, ha ricordato i diritti di famiglia nella Costituzione Italiana. Infine il prof. Prof. Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’Università di Bologna, ha affermato che le politiche per la famiglia sono per il bene comune: “Come la Seconda Conferenza Nazionale delle Famiglie del novembre 2010 a Milano ha chiaramente posto in luce, non solamente la spesa pubblica italiana per i servizi alla famiglia sia immeritatamente bassa (contro una media UE dell’8% della spesa sociale, l’Italia destina alla famiglia il 4,1%). Ma, le modalità con cui vengono combinate le politiche che attribuiscono alla famiglia risorse di tempo (orari flessibili, part-time, congedi parentali, etc.), risorse monetarie (deduzioni e/o detrazioni; buoni per l’acquisto di beni e servizi, tariffe, etc.), risorse per la fornitura diretta di servizi di cura sono tali da determinare spesso effetti perversi”.

 Per il relatore è necessaria una ‘armonizzazione responsabile’ dei tempi del lavoro con i tempi della famiglia: “Nel greco antico, armonia era l’intercapedine che occorreva frapporre fra due corpi metallici perché, sfregandosi, non andassero a produrre attrito e quindi scintille pericolose. L’idea di armonia è dunque quella di concordia discors”. 

 Questa prospettiva esige una diversa politica della famiglia: “Si tratta di affermare il principio secondo cui la famiglia va vista come soggetto dotato di una sua propria identità e autonomia e non già come un mero aggregatore di preferenze individuali… Nei nostri sistemi di contabilità nazionale due sono gli operatori della sfera privata ivi contemplati: le imprese e le famiglie. Le prime sono deputate allo svolgimento dell’attività produttiva: le imprese non consumano, ma utilizzano, così si dice, i fattori produttivi per conseguire i loro scopi. Alle famiglie spetta invece l’attività di consumo, vale a dire l’acquisto di beni e servizi prodotti dalle imprese.

 Le famiglie non producono alcunché secondo la contabilità nazionale. E’ dunque chiara la divisione dei ruoli: la famiglia, in quanto luogo in cui si soddisfano i bisogni, è il soggetto cui si attribuisce la funzione del consumo; l’impresa, in quanto soggetto responsabile del processo di sviluppo, è il luogo in cui si realizza la funzione di produzione”.

 Quindi ha tracciato alcune proposte per le nuove politiche familiari: “E’ per questa ragione fondamentale che la proposta avanzata dal Forum delle Associazioni Familiari di accogliere nel nostro ordinamento il ‘fattore famiglia’, che prevede una no tax area familiare determinata in base al numero dei componenti del nucleo non può non essere accolta con favore. (Va ricordato che la laicissima Francia introdusse il quoziente familiare già nel 1945 e da allora nessuna maggioranza parlamentare ha mai pensato di cancellare tale provvedimento, anche durante l’attuale crisi economica).

 Certo, occorre prevedere una ragionevole gradualità nella sua applicazione, perché sono a tutti noti i vincoli di finanza pubblica. In tal senso, la defiscalizzazione dei redditi da lavoro, realizzata tenendo conto del numero dei figli, può essere vista come un primo passo verso l’introduzione del fattore famiglia. Del pari urgente e fattibile è l’eliminazione delle non poche incongruenze rintracciabili nei diversi capitoli del nostro sistema fiscale. Valgano un paio di esempi.

 Nella cosiddetta ‘delega fiscale’, all’art. 1 è prevista la riforma, da tempo attesa, del catasto. Ma non si specifica che, nella rivalutazione delle abitazioni, un appartamento, poniamo, di 90 mq. occupato da una sola persona non è la stessa ‘casa’ di un eguale appartamento abitato da quattro o cinque persone. Oppure, nella revisione della tassa sui rifiuti (TARES), il coefficiente per il terzo figlio è stato portato da 0,40 a 0,70, mentre nella riforma dell’ISEE, il terzo figlio ha visto passare il peso ad esso assegnato da 0,37 a 0,39”.

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