Aumentano gli affidi condivisi per separazioni e divorzi
Il documento preparatorio alla Settimana Sociale, che si è aperta oggi a Torino, così recita al n^ 6: “Se l’ospitalità è indispensabile per generare un soggetto maturo e responsabile, essa non è sufficiente se non si apre all’idea più dinamica e complessiva della generatività. In questo contesto, per generazione non intendiamo il semplice processo fisico riproduttivo, ma ci riferiamo a una cifra antropologica centrale, connessa all’identità, al principio e al senso della soggettività.
La soggettività umana è generativa sia in quanto è essenzialmente bisognosa di essere generata per giungere a se stessa, sia perché, matura e riconciliata con se stessa, è divenuta capace di generare a sua volta, di ricevere il bene da altri e di donarlo a propria volta. Se si assume una prospettiva nuova sull’amore che parta dal riconoscimento e dall’ospitalità dell’altro come soggetto, si può riconoscere nella generatività il centro dell’affettività umana. In tal senso la famiglia non è chiamata solo o prima di tutto a generare figli, ma deve esprimere in primo luogo il legame generativo che la costituisce. La famiglia, quindi, non è generativa per il fatto di dare alla luce dei figli, ma dà alla luce dei figli in quanto è in se stessa generativa. Anche per la famiglia, perciò, la questione capitale è la dinamica generativa, che trova il suo luogo proprio nell’alleanza matrimoniale”.
Se non è generativa la famiglia entra in crisi, come è stato dimostrato nel corso del meeting internazionale sull’affido in Europa, conclusosi ieri a Padova sul tema ‘Le forme dell’affido in Europa: cosa sappiamo degli esiti e delle condizioni di efficacia?’, organizzato dalla Fondazione Zancan: nel 2010 la metà delle separazioni (49,4%) e un terzo dei divorzi (33,1%) ha riguardato matrimoni con almeno un figlio minorenne; i ragazzi accolti fuori della famiglia erano 29309 (il 2,9 per mille della popolazione minorile complessiva). Il numero di figli minori che sono stati affidati nel 2010 è stato pari a 65.427 nelle separazioni e a 23.545 nei divorzi. Nelle separazioni, il 56,7% dei figli affidati aveva meno di 11 anni.
In Europa Lituania, Portogallo e Croazia muovono i primi passi; Italia, Germania e Francia possono già tracciare un primo bilancio; Paesi Bassi, Svezia e Inghilterra hanno investito molto in questo strumento. In questi Paesi sembra che l’affido non sia una soluzione né per i minori né per i bilanci degli enti pubblici. Infatti, secondo il direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato, l’affido è “un mezzo da usare con responsabilità, verificando i suoi esiti anche nel breve periodo e non solo dopo molti anni… E’ evidente che se l’allontanamento necessario è rimandato (anche per incapacità e paura di decidere) il problema cresce, si cronicizza, rendendo necessari gli interventi dei magistrati. Molti affidi familiari tardivi falliscono”.
Nella situazione italiana, l’affido disegna una mappa dalle profonde diseguaglianze geografiche; nel 76% dei casi, i servizi sociali intervengono tardi, allontanando i minori dalle famiglie su indicazione dei giudici minorili. Una volta inserito il minore all’ interno di una famiglia, l’esperienza di accoglienza viene interrotta, costringendo i ragazzi a ‘una triste carriera’ di bambini affidati. Il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza riporta dati esemplari: quasi il 53% dei bambini in affido proviene già da un’altra esperienza: (famiglia affidataria, piuttosto che una struttura residenziale, oppure una struttura residenziale sanitaria o addirittura carcere minorile).
Per quanto riguarda le regioni l’Abruzzo è la regione con il minor numero di affido (1,6 per ogni mille bambini), la Liguria è quella con la percentuale più alta (4,7 per mille). I dati medi sono del 3,1 per mille a Nord-Ovest, del 2,9 per mille a Nordest, del 3 per mille al Centro, del 1,6 per mille al Sud e del 3,5 per mille nelle Isole. Per i bambini tra 0 e 2 anni l’affido è la soluzione nel 73% dei casi, quota che scende al 35% per i minori tra gli 11 e i 13 anni e arriva al 18% per gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni. Inoltre, l’incidenza media delle famiglie in povertà relativa passa dall’11,1% al 15,6% quando in famiglia vi sono minori, mentre la povertà assoluta sale dal 5,2% al 6,1%.
La povertà assoluta tra i minori di 18 anni è un fenomeno in crescita: erano il 4,7% nel 2005, nel 2011 sono saliti al 7% della popolazione minorile. La fascia d’età più colpita è quella da 4 a 6 anni: in questa età i bambini poveri risultano il 7,8% del totale. Nel contempo diminuisce la spesa dei Comuni per la protezione sociale destinata a bambini e famiglia, che in Italia è inferiore alla media Ue. Nel 2010 era mediamente all’8% nell’Europa a 15 e a 27 Paesi, mentre in Italia era pari al 4,6%. In percentuale rispetto al Pil, la spesa per trasferimenti e servizi a bambini e famiglie in Italia era l’1,3% (0,7% trasferimenti e 0,6% servizi), rispetto al 2,3% del Pil (1,5% trasferimenti e 0,8% servizi) medio in Europa.