Stupro di gruppo a Palermo. I cronisti della FIGEC: “Giusto pubblicare i nomi degli arrestati, non viola nessuna regola deontologica”

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 31.08.2023 – Vik van Brantegem] – «Il dovere più importante per un cronista è riportare i fatti in maniera il più completa e veritiera possibile, nel totale rispetto delle regole deontologiche. I giornalisti che hanno pubblicato i nomi dei 6 maggiorenni arrestati per lo stupro di gruppo ai danni di una diciannovenne, avvenuto al Foro Italico lo scorso 7 luglio, non hanno fatto altro che questo: cronaca».

Lo scrivono in una nota i cronisti della FIGEC (Federazione Italiana Giornalismo, Editoria e Comunicazione) Daniele Ditta, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Figliuolo, assieme al coordinatore del sindacato in Sicilia, Giulio Francese.

La nota dei cronisti della FIGEC è una risposta anche agli attacchi del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, Dario Greco, che ha definito “una barbarie” l’aver reso nota l’identità degli indagati “prima che potessero difendersi”, ma anche ad alcuni consiglieri comunali che, per lo stesso motivo, hanno paventato esposti alla Procura di Caltanissetta per presunte violazioni del segreto istruttorio e della Carta di Treviso.

«È bene ricordare a chi sbandiera il diritto alla privacy e la presunzione di innocenza a convenienza – affermano i cronisti della FIGEC – che la pubblicazione dei nomi di cittadini privati della libertà personale su provvedimento di un giudice terzo negli ordinamenti democratici rientra nel corretto esercizio del diritto-dovere di cronaca. Per di più nel caso dello stupro commesso a Palermo – prosegue la nota – è bene sottolineare che ci sono sei persone finite in carcere su disposizione di due diversi giudici per le indagini preliminari e che agli atti dell’inchiesta non c’è solo la denuncia della vittima, ma anche un video dello stupro di gruppo e delle intercettazioni in cui uno dei giovani fa chiaramente i nomi di chi sarebbe stato con lui quella sera. Prove ritenute solide dai Gip e poi pure dal Tribunale del Riesame. In relazione al settimo indagato, minorenne al momento dei fatti (ha compiuto 18 anni pochi giorni dopo), proprio in ossequio alla Carta di Treviso, la stampa locale non ne ha riportato il nome per esteso. Non solo: quando è stata diffusa la notizia degli arresti, tre degli indagati erano già in carcere da due settimane ed erano già stati interrogati».

«I giornalisti – proseguono gli esponenti del sindacato – non fanno processi, si limitano a raccontare la realtà, dopo un’accurata verifica dei fatti. In questo caso, come sempre in quelli legati ai reati a sfondo sessuale, il dovere deontologico primario è non rendere identificabile la vittima, circostanza che se avvenuta in un unico caso, sarà oggetto della valutazione disciplinare dell’Ordine dei Giornalisti. Ma chi li ha attaccati confonde evidentemente l’informazione con quanto accade sui social network, dove le notizie e i dati riportati correttamente dai cronisti sono stati invece utilizzati per avviare un’esecrabile campagna d’odio contro gli arrestati e i loro famigliari, diffondendo le loro foto accompagnate da minacce e frasi violente e arrivando – cosa ancor più grave – a divulgare il nome della vittima. Ma – e deve essere chiaro – se un cronista dovesse stabilire cosa scrivere in funzione della pancia dei social semplicemente non potrebbe scrivere più nulla».

Rivolgendosi al Presidente dell’Ordine degli Avvocati, i cronisti «fanno notare che non esiste alcuna regola deontologica della professione giornalistica che imponga di rendere nota l’identità di persone che finiscono in carcere per reati gravissimi “prima che si siano difese”: il dovere semmai è di riportare questa difesa quando avviene, per esempio al momento degli interrogatori. Com’è stato fatto».

Tuttavia – conclude Ditta, che ricopre anche la carica di Segretario dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia – «nell’ottica di un confronto costruttivo con gli avvocati, categoria che al pari dei giornalisti tutela diritti sanciti dalla Costituzione, inviteremo il Presidente Greco a partecipare ad un corso di formazione sul tema, di cui ci faremo promotori, con l’unico scopo di salvaguardare il diritto-dovere di cronaca a garanzia di tutti: giornalisti e avvocati. Non è infatti con la censura imposta da un’estensione abnorme del diritto alla privacy e alla presunzione d’innocenza che si risolvono gravi emergenze sociali, culturali ma anche legate allo stato della giustizia in questo Paese come quelle messe nitidamente in evidenza da un episodio di violenza come lo stupro di gruppo al Foro Italico».

Stupro di Palermo, l’orrore di quella notte
Le telecamere, i social e i telefonini hanno inchiodato i sette ragazzi, di cui uno minorenne al momento dei fatti, indagati per la violenza di gruppo contro la diciannovenne che ha denunciato il fatto avvenuto il 7 luglio scorso
Rai News, 25 agosto 2023


È la notte del 7 luglio, Palermo. Le immagini delle telecamere di sorveglianza riprendono un gruppo di ragazzi che sorreggono una giovane barcollante. Sono quelle immagini che, insieme alle chat su whatsapp e una foto recuperata dai telefonini, inchioderanno i sette denunciati di violenza di gruppo. Si tratta di giovanissimi tra i 18 e i 22 anni, tra loro anche un minorenne.

Secondo il racconto della ragazza, lo scorso 7 luglio si trovava alla Vucciria, con un’amica che poi è andata via. Quella sera ha bevuto diversi cocktail. E durante la serata ha incontrato un conoscente, Angelo Flores. Sarebbe lui a riprendere con il telefonino la scena.

Ma l’incubo inizia in un locale. “Falla ubriacare, poi ci pensiamo noi”. Si trovano in un locale nel quartiere della movida palermitana. La giovane con i ragazzi, che la prendono sottobraccio perché non era in condizioni di camminare, raggiungono il Foro Italico, sul mare, dove sarebbe avvenuto la violenza collettiva. “Io mi sono accasciata a terra perché non mi reggevo più in piedi, ma loro mi tenevano e continuavano.

“Non avevo idea di dove mi stessero conducendo – ha raccontato la vittima ai carabinieri -. Mi hanno risposto: “lo sappiamo noi'”. Durante il tragitto la ragazza ha cercato di attirare l’attenzione dei passanti: “Ho chiesto aiuto, ma nessuno ha compreso quello che stava succedendo”.

“Mi sono accasciata per tre volte. Io non volevo avere rapporti sessuali, non mi muovevo, ho gridato, sono caduta a terra battendo anche la testa, ma non si fermavano e Angelo rideva. Ho iniziato a ripetere ‘basta, basta’, ma i ragazzi hanno continuato, scambiandosi di posto”. Inizia così, tra le lacrime, il racconto dell’orrore.

Sono caduta una seconda volta e ho preso il mio telefono e ho chiamato il mio ragazzo perché chiamasse un’ambulanza. I ragazzi mi hanno preso il telefono e chiuso la chiamata. Poi mi hanno rivestita, mi hanno presa sottobraccio e accompagnato in strada e si sono allontanati”. Rimasta sola, si è distesa su un muretto quando due ragazze l’hanno avvicinata per chiederle se avesse bisogno di qualcosa e lei ha chiesto di chiamare il suo fidanzato. Da lì la denuncia, le visite mediche che confermano lo stupro, e poi gli arresti.

“Ieri sera niente, se ci penso un po’ mi viene lo schifo”, scrive all’indomani mattina uno degli indagati agli altri amici. Quindi finiscono in carcere: Angelo Flores, 22 anni, il giovane che ha realizzato il video, Gabriele Di Trapani, 19 anni, Christian Maronia, 19 anni, Cristian Barone, 18 anni, Samuele La Grassa, 20 anni, Elio Arnao, 20 anni, e il minorenne al momento dei fatti, anche se non a lungo, perché ha compiuto 18 anni pochi giorni dopo. È stato lui ad ammettere i fatti davanti al gip del tribunale dei minorenni di Palermo che inizialmente lo aveva scarcerato e trasferito in una comunità.

La vittima dello stupro di gruppo sui social: “Mi state portando alla morte”
“Non serve a nulla continuare, pensavo di farcela ma non è così!” lo sfogo della ragazza su Instagram
di Lara Sirignano
ANSA, 30 agosto 2023

La grande solidarietà che ha ricevuto anche in Rete non la mette al riparo dagli haters, che continuano a criticarla. E così la 19enne stuprata da un gruppo di ragazzi a luglio scorso a Palermo torna a sfogarsi sui social. Domenica scorsa aveva rivendicato il diritto di vivere la sua vita come meglio preferisce, oggi ammette di non avere più la forza di reagire. E intanto lascia Palermo per una comunità protetta fuori dalla città, trasferita in un centro in cui le verrà anche offerta la possibilità di lavorare.

“Sono stanca mi state portando alla morte. Io stessa anche senza questi commenti non ce la faccio più. Non ho voglia di lottare né per me né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così”, scrive su Instagram sopra un post in cui, con frasi molto volgari, qualcuno l’accusa di aver avuto con i sette ragazzi un rapporto consensuale. “Non serve a nulla continuare, pensavo di farcela ma non è così”, aggiunge. E ancora: “Se riesco a farla finita porterò tutti quelli che volevano aiutarmi sempre nel mio cuore”.

Parole molto dure che tradiscono una grande fragilità. Dietro la forza esibita nei giorni scorsi, quando rispondeva decisa a chi la criticava per i video postati, c’è dunque tutta l’emotività di una ragazza con un vissuto difficile e una violenza alle spalle. “Sinceramente sono stanca di essere educata quindi ve lo dico in francese, mi avete rotto con cose del tipo: ‘ah ma fa i video su tik tok con delle canzoni oscene’, ‘è normale che poi le succede questo’, oppure ‘ma certo per come si veste” aveva scritto. Poi “Me ne dovrei fregare – aveva continuato – ma non lo dico per me, di non sparare stronzate più che altro se andate a scrivere cose del genere a ragazze a cui succedono cose come me e fanno post come me potrebbero ammazzarsi. Sapete che significa suicidio?”. Una parola che oggi non ripete, ma che si legge tra le righe del suo post di oggi che termina con una frase inquietante. “Se riesco a farla finita porterò quelli che volevano aiutarmi sempre nel mio cuore”.

La ragazza è in contatto continuo con i carabinieri che la sentono quotidianamente e viene anche assistita da uno psicologo e da un legale che, verosimilmente, la assisterà nel corso dell’incidente probatorio in cui, nei prossimi mesi, dovrà tornare ad accusare gli stupratori. E sulla vicenda è intervenuto di nuovo il Garante per la protezione dei dati personali che ha avviato un’istruttoria nei confronti dei siti che hanno diffuso le generalità della vittima della violenza sessuale di Palermo. L’Autorità si riserva di adottare i provvedimenti ritenuti necessari e di informarne l’autorità giudiziaria. “Nonostante le regole deontologiche dei giornalisti impongano di rappresentare fatti di cronaca di questa gravità senza indugiare in dettagli che possano portare a individuare le vittime, si sono registrati diversi casi in cui l’informazione è stata da subito caratterizzata da un eccesso di particolari e da una morbosa attenzione sulla vicenda”. Il Garante “richiama quindi nuovamente tutti gli operatori dell’informazione e, più in generale, chiunque ritenga di occuparsi pubblicamente della vicenda, ad astenersi dall’ulteriore divulgazione delle generalità della vittima e ad adottare forme di comunicazione coerenti con la tutela della dignità della persona, evitando di aggiungere – seppur involontariamente – violenza a violenza”.

Postscriptum

1. Restiamo sempre più convinto che il vero problema per le menti raffinatissime non é che la verità venga scoperta o trovata. Per loro il vero problema é che la verità venga divulgata. É questa la sola paura che produce ancora effetto anche in quella parte di “chiesa deviata” che vive costantemente nel delirio di onnipotenza. É proprio questo il punto nevralgico. Che la verità diventi conoscenza per il mondo e diventi storia per i posteri. Le menti raffinatissime i libri di storia vogliono scriverli a modo loro. Ma non hanno capito che sarà la verità che diventa storia a definire chi siamo e come abbiamo vissuto le nostre vite. Se ci siamo lasciati impaurire dal sistema dalle minacce, neanche tanto velate, se ci siamo lasciati comprare per 33 denari. Se ci siamo voltati dall’altra parte di fronte agli abusi e alle ingiustizie. Oppure se abbiamo fatto la storia donando la vita con coraggio per i nostri amici e soprattutto se siamo stati capaci di morire a noi stessi, facendoci uno strumento nelle mani di chi è via verità e vita. Uno strumento insufficiente, nella consapevolezza che il Signore sa operare anche con strumenti insufficienti.

2. Non è lei che “se l’è cercata”

“Se l’è cercata”, “doveva bere di meno”, “se fosse stata più attenta”. Quante volte hai dovuto leggere o ascoltare queste frasi? Nell’ultimo mese la cronaca è stata invasa da episodi che hanno messo in luce quanto sia radicata la cultura dello stupro.

Tre anni fa Amnesty International ha lanciato una campagna per introdurre il principio del consenso anche in Italia, per cambiare la legge e la cultura del nostro Paese. Non c’è più tempo da perdere. Amnesty International chiede la revisione dell’articolo 609-bis del codice penale affinché il sesso senza consenso venga considerato stupro. Perché solo sì è sì. Negli altri casi non c’è alcuna giustificazione.

La petizione di Amnesty International

La violenza sessuale è un fenomeno diffuso e sistemico in tutto il mondo. Le vittime spesso non conoscono i propri diritti e si trovano di fronte a molteplici ostacoli nell’accesso alla giustizia e ai risarcimenti, compresi stereotipi di genere dannosi, idee sbagliate su violenza sessuale, accuse di colpevolezza, dubbi sulla propria credibilità, sostegno inadeguato e legislazione inefficace.

In Italia, in particolare, persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita.

Un pregiudizio che trova conferma nel codice penale italiano, dove all’articolo 609-bis, si prevede che il “reato di stupro” sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, o della minaccia o dell’inganno, o dell’abuso di autorità.

Tuttavia, come stabilito dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, lo stupro è un “rapporto sessuale senza consenso“. L’articolo 36, paragrafo 2, della Convenzione specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“.

Per questi motivi chiediamo alla Ministra della Giustizia la revisione dell’articolo 609-bis del codice penale, in linea con gli impegni presi nel 2013, affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile.

Firma la petizione [QUI].

151.11.48.50