Il Papa, i rifugiati e la provocazione dei conventi vuoti

“Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi.” La frase di oggi di Papa Francesco. La “bergollada” come dicevano nella sua Argentina. La provocazione che serve a scuotere le coscienze e fare titolo. Forse un po’ troppo.
La frase il Papa l’ha detta durante la visita al Centro Astalli di Roma, il centro della Compagnia di Gesù per la accoglienza e il sostegno per i rifugiati che da decenni opera al centro della città, proprio alle spalle di Piazza Venezia. Una vista annunciata con una telefonata prima ad aprile e poi ad agosto in risposta all’invito del direttore del centro padre La Manna.
“ Un gesto molto concreto e bello” dice ai giornalisti spiegando cosa il Papa ha fatto nelle visita privatissima cui hanno partecipato esclusivamente i rifugiati i volontari e gli operatori. Niente giornalisti che si sono accontentati di una conferenza con il racconto dei protagonisti.
Il Papa è arrivato verso le 15.30, ha salutato i rifugiati che sono in fila per un pasto ogni giorno a quell’ora, poi li ha salutati nelle vale salette del refettorio, e infine ne ha incontrati una ventina personalmente. Storie e drammi che si intrecciano, vite da romanzo, un po’ come quella poeticamente raccontata da Eric-Emmanuel Schmitt in “ Ulisse da Baghdad”. Uomini e donne che fuggono da un paese devastato, dalle persecuzioni ideologiche o religiose, che poi rischiano di diventare invisibili, “oggetto della peggiore indifferenza” scrive Schmitt, “quando non ci riconosciamo più nell’altro, quando degradiamo alcuni di noi a sub umani, quando classifichiamo gli uomini in maniera gerarchica ed escludiamo alcuni dal consesso umano” è l’inizio della barbarie.
Contro questa barbarie le parole del Papa di oggi seguono quelle pronunciate a Lampedusa. Usa le parole che ama ripetere, come solidarietà “questa parola-dice- che fa paura per il mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. E’ quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione.”
Prende spunto dal motto del Centro, tre parole secondo la scuola ignaziana, servire, accompagnare, difendere, perché “la sola accoglienza non basta. Non basta dare un panino se non è accompagnato dalla possibilità di imparare a camminare con le proprie gambe. La carità che lascia il povero così com’è non è sufficiente. La misericordia vera, quella che Dio ci dona e ci insegna, chiede la giustizia, chiede che il povero trovi la strada per non essere più tale. Chiede – e lo chiede a noi Chiesa, a noi città di Roma, alle istituzioni – chiede che nessuno debba più avere bisogno di una mensa, di un alloggio di fortuna, di un servizio di assistenza legale per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere e a lavorare, a essere pienamente persona.”
E questo significa che tutti dobbiamo essere coinvolti nella difesa di chi sembra non avere diritti, perchè la loro dignità è la nostra dignità. E qui arriva la provocazione: “Per tutta la Chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli “specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali. In particolare – e questo è importante e lo dico dal cuore – in particolare vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti… Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati.”
Diciamo la verità, in Europa i conventi vuoti sono stati venduti e gli alberghi di lusso non sono davvero gestiti dai religiosi che anzi devono combattere ogni giorno per la manutenzione di edifici d’arte che crollano a pezzi. Capita spesso di vedere la disperazione negli occhi di anziane suore costrette ad abbandonare antichi edifici che non possono mantenere. Il problema andrebbe affrontato con un reperimento di fondi per la ristrutturazione e la creazione di associazioni di volontariato che gestissero gli edifici e gli ospiti, o magari con cooperative proprio degli stessi immigrati e rifugiati che potrebbero con il loro lavoro ridare vita a vecchie comunità.
Insomma la provocazione aspetta risposta.
Per ora possiamo rileggere le parole del Papa cercando di immaginare la commozione di chi lo ha abbracciato e gli ha raccontato la sua storia chiedendo e offrendo preghiere.
La mia odissea, dice il protagonista del romanzo “ Ulisse da Baghdad”, è “una partenza traboccante di futuro”, una speranza. E così dice anche il Papa ai rifugiati di Roma salutandoli: “grazie per il desiderio, la voglia di andare avanti, di lottare e andare avanti. Grazie per difendere la vostra, la nostra dignità umana.”
Foto: Centro Astalli- di Alessia Giuliani