Spunto di meditazione per i sacerdoti: uscite allo scoperto e portate la talare. Allora vedrete la Grazia per noi, e per voi. Salus animarum

Condividiamo dal sito El Padre Matrix un articolo pubblicato il 19 maggio 2019 [QUI] e mi dispiace di non averlo visto prima, anche se ho avuto la grazia di vedere Padre Jarek Cielecki dal 1985, che veste sempre la talare e che mi ha sempre raccontato quanto in questo articolo spiega il sacerdote diocesano Don Álvaro.
Don Álvaro ha fatto outing, cioè, è uscito allo scoperto, indossando la talare nelle sue faccende quotidiane. Così è andato controcorrente veramente, con la vera diversità. Perché, come dici Don Álvaro, non è il solo, ma purtroppo sono pochi i sacerdoti diocesani che vestono la talare (e sono sempre di meno anche i religiosi che portano la tonaca del loro ordine) e che sono felici di indossarla, non solo nella sacrestia (anche se neanche lì, nella maggioranza dei casi).
Che gioia mi ha dato leggere il testo, che riporto nella nostra traduzione italiana dallo spagnolo. Vedere un sacerdote in talare ci permette di vedere Cristo nella vita quotidiana e nelle relazioni sociali. Permette a noi laici di rimanere fedeli a Dio. Ci aiuta a rispettare sempre il sacerdote (mi ricordo ancora gli insegnamenti della suora alla scuola materna, che spiegò in modo comprensibile per noi bambini piccolissimi, che un sacerdote va sempre rispettato, anche il più indegno, perché ci porta Gesù attraverso la Santa Eucaristia). E ci aiuta a pregare per loro, affinché continuino ad offrire la loro vita nel servizio al Signore, alla Sua Chiesa e ai Suoi figli e fratelli. Nella mia infanzia tutti i sacerdoti portavano sempre la talare e quanti sacerdoti c’erano.
Certamente, un sacerdote che non porta la talare potrebbe fare le stesse cosa come fanno coloro che la vestono, ma quanti fanno queste stesse cose? Magari ci fossero più preti come loro e verosimilmente ci sarebbero anche più vocazioni. Perché “la chiamata” in molti casi è anche un invito molto umano, semplice.
Mi ricordo quanto mi disse mio amico, l’ucraino-canadese Padre Ken Nowakowski, oggi Eparca della Sacra Famiglia di Londra della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, allora – dopo averlo conosciuto in occasione del Viaggio Apostolico di Papa Giovanni Paolo II in Ucraina dal 23 al 27 giugno 2001 – mio assistente nel Viaggio Apostolico in occasione della XVII Giornata Mondiale della Gioventù che ha avuto luogo dal 23 al 28 luglio 2002 a Toronto in Canada. Questa è stata l’ultima edizione alla quale ha partecipato Papa Giovanni Paolo II, l’ideatore degli incontri mondiali della gioventù, già allora molto malato. Significativamente il tema dell’Incontro di Toronto è stato Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo (Mt 5, 13-14). E ricordo anche che i semi che hanno visto nascere Korazym.org nel 2003 come frutto delle Giornate Mondiali della Gioventù, furono gettati proprio a Toronto nel 2002. Quando ho visto Padre Ken baciare il muro dell’Università di Toronto, la sua Alma Mater, lo chiese: «Ma perché sei diventato prete?», mi rispose: «Perché qualcuno me l’ha chiesto». E osservando che non c’è niente di particolare in questo, perché sappiamo che la vocazione è una Chiamata, mi disse: «No, me l’ha chiesto un prete».
Quando si vede un sacerdote in talare, si incontra il volto di Gesù che cammina su questa terra. Come dice Don Álvaro, la talare è un sacramentale per la missione evangelizzatrice del sacerdote nel mondo benedetto da Dio. Che i suoi fratelli nel sacerdozio lo ascoltino.
Che il medico si vesta sempre di bianco e il pompiere di rosso non è necessario, ma lo fanno. Per maggior motivo lo facesse chi dà la vita a Dio in modo così radicale nel sacramento dell’ordine. Deve farsi riconoscere con la sua veste, perché tutti hanno sempre bisogno di Dio, mentre del medico e del pompiere, si ha bisogno solo per alcune malattie e per qualche incendio. Quindi, i sacerdoti indossino con dignità e senza timore la veste talare che hanno scelto in base allo studio, al sacrificio e soprattutto alla grazia di Dio, per farsi riconoscere nelle necessità della Grazia di Dio che è uno stato permanente, non un’emergenza.
Come sarebbe bello se ci fossero tanti sacerdoti che indossassero quella talare, dall’alba fino a coricarsi come Don Álvaro, e andassero in giro per il mondo seminando e raccogliendo il seminato.
Preghiamo il Signore di avere tanti sacerdoti e sante vocazioni, sale della terra e luce del mondo. Preghiamo il Signore che faccia l’opera e preghiamo la beata Vergine Marina, Santissima Madre di Dio affinché l’umanità non vacilli nel caos drammatico del mondo e si converta. Possa la fede crescere alla vista di sacerdoti che predicano il Vangelo con il loro esempio e invitano coloro che hanno bisogno di essere salvati dallo scoraggiamento e dall’esaurimento per il peso caricato dal nemico immondo sulle spalle.
«Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata»
(Isaia 55, 10-11).
Buona lettura e – ai sacerdoti che leggono – buona riflessione.
Quest’anno sono uscito allo scoperto
Come puoi sentire, quest’anno ho deciso di uscire allo scoperto. Dopo aver visto tanta gente che mette in mostra le proprie “diversità” e li applaude e dice “che coraggio”, ecc. Mi sono posto la domanda: perché io no? Così ho deciso che quest’anno Padre Álvaro sarebbe uscito allo scoperto.
Mi sono decisa e ho tirato fuori dall’armadio la tonaca, da gennaio ho cominciato a indossarla tutti i giorni dalla mattina fino a prima di andare a letto. Così, senza annunci solenni, senza pensarci troppo, senza dare spiegazioni preventive. Senza cercare elogi e senza temere ridicoli, insulti o sguardi strani.
Qual è stata la mia sorpresa? Molta.
Primo: non avrei mai pensato che indossare la tonaca quotidianamente potesse rendermi così felice come prete. Mi ha reso più facile fare per strada tutto il bene che non avrei potuto immaginare. Ho benedetto, consigliato, aiutato, ho confessato tante persone alle quali è stata data fiducia nel vedermi vestire l’abito talare.
Secondo: con mia sorpresa, anche camminando in luoghi molto diversi come il centro commerciale, il cinema, i ristoranti, il luogo delle feste, le pignatte, i mercatini delle pulci, la zona di tolleranza nel centro della città, la fiera del libro, ecc. Ed essendomi imbattuto in tutte le tribù urbane che sono esistite e sono state, in 5 mesi non ho ricevuto nessun insulto o mancanza di rispetto da nessuno; neanche da persone apertamente anticattoliche. La cosa triste è che l’unico serio scherno che ho ricevuto per averla indossata è stato da parte di un prete.
Terzo: purtroppo è così insolito che il sacerdote diocesano indossi una tonaca nera che generalmente sono stato scambiato per religioso. In questi mesi sono stato confuso con: Francescano, Agostiniano, Monaco, Missionario, Seminarista, Cavaliere Jedi (non sto scherzando), Karateka, Dark, Manichino (neanche questo è uno scherzo). E tante volte sono stato anche scambiato per un prete, il che è un bene. Mi fa pensare a quanto siamo secolarizzati, che il sacerdote diocesano non sia più associato all’abito talare nella vita quotidiana.
Quarto: per una società “antireligiosa”, il numero di persone che mi chiedono la mia benedizione è notevole; ma quando in genere, una persona che me la chiede spontaneamente, la fa chiedere anche a chi mi circonda.
In conclusione: sono molto felice di aver preso questa decisione, quando l’ho presa pensavo di farla per un anno; ma ora posso affermare che è qualcosa che voglio fare in modo stabile. Mi aiuta, mi rende felice, aiuta le persone a trovare più facilmente il sacerdote e la grazia. Ricorda ancora a coloro che sono lontani, che Dio è ancora in giro per il mondo; mi ricorda costantemente che ovunque vada rappresento Gesù e la sua Sposa, la Chiesa.
Mi ricorda che il male sa travestirsi da “angelo di luce”, cioè: nemmeno i tipi strani della fiera del libro e della missione del drago hanno visto l’odio e il disprezzo negli occhi che vedo nei Testimoni di Geova e nei Cristiani quando vedono un prete. Al contrario, molti sono arrivati vicini ad avere dialoghi interessanti. Anche i delinquenti del centro si sono avvicinati rispettosamente a me, per chiedere la mia benedizione. È curioso vedere da dove scaturisce maggiormente l’odio. Chi ha orecchi capisce.
Inoltre, mi ricorda che un giorno voglio diventare santo: posso immaginare San Giovanni Bosco, Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio, San Filippo Neri, San Tommaso d’Aquino, San Francesco d’Assisi senza tonaca o saio? ? NO. Voglio essere santo? Sì, quindi è bene indossare l’abito talare.
Indossarla mi ha confermato una verità per me dimenticata, l’abito talare è un sacramentale, cioè suscita la grazia e dispone a riceverla. il cleryman (vestito clericale) no.
Infine, non ho intenzione di darmi arie di grandezza indossando una talare quotidianamente. Non mi rende automaticamente più grande o più santo degli altri preti. Ma mi aiuta enormemente, invito agli altri ad essere coraggiosi, a tirare fuori la tonaca dall’armadio, a indossarla più spesso e vedranno il bene che fanno a se stessi e alle anime. Non se ne pentiranno. †
Don Álvaro

Postscriptum
Purtroppo anche se non pubblicava molto, il sito El Padre Matrix – faith in technicolor, iniziato il 28 aprile 2009, ha postato il suo ultimo articolo il 4 marzo de 2020, facendo riferimento proprio al Coronavirus. Non ha più ripreso le pubblicazioni.
Condivideva la fede, non da una scrivania ma dalla vita di tutti i giorni.
Difendeva la verità della Chiesa, non con la rigidità dell’inquisitore, ma con la grazia dell’acrobata.
Spiegava la teologia, non con la superiorità del teologo, ma con la spontaneità del genio.
In questo sito tutti erano benvenuti, tutti tranne l’amarezza. Il santo patrono del sito era il senso dell’umorismo e chi non gli rende omaggio era invitato di andare per la sua strada.
E tutto questo, prima che diventò la moda, con il vestito dalla collezione dello stilista, dall’abbigliamento fino agli accessori, ma come un guscio vuoto, del “mondo al contrario”.
Quindi, leggiamo “al contrario” anche il proverbio habitus non facit monachum (l’abito non fa il monaco), che intende dire che l’apparenza può essere forviante. Quindi, che l’aspetto esteriore di una persona non necessariamente rispecchia le qualità intellettive e morali dell’individuo. Queste caratteristiche sono infatti invisibili ad una prima osservazione, che vanno ricercate piuttosto nei pensieri e nei comportamenti. Il proverbio ha origine greca: “Non si usa più giudicare la condizione degli uomini dagli abiti che portano” (Il libro del Cortegiano, Libro 2, 28). Lo dobbiamo leggere “al contrario” perché nel caso del sacerdote, lui è Alter Christus, anche se ne fosse indegna come persona, e la talare o la tonaca che porta ci mostra il volto del Signore.
«Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso forma di servo, è diventato servo (Fil 2,5-11). Il sacerdote è servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente (cioè nel suo essere, per sempre), assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo a servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando in questa progressiva assunzione della volontà di Cristo, nella preghiera, nello “stare a cuore a cuore” con Lui. È questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa» (Benedetto XVI, Catechesi, 24 giugno 2009).
[V.v.B.]