La Messa di Don Gius non è finita

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.08.2023 – Renato Farina] – II libro di Marco Ascione su Comunione e Liberazione (La profezia di Cl, Solferino, pagine 208, euro 16,50 [QUI]) ha una bella voce, pulita, fila via. Ha la sostanza di un’inchiesta ben fatta e ben scritta. Risponde a queste domande. Cosa sta accadendo davvero lì dentro? Perché lo spagnolo Don Julián Carrón, alla guida di Cl per volontà del fondatore Don Luigi Giussani (1922-2005), ha dovuto dimettersi a novembre del 2021, dopo 16 anni di missione purificatrice proprio nel senso voluto da Papa Francesco, venendone paradossalmente da lui sacrificato? E perché, e con quale fine, il Vaticano, per mano del potentissimo e bergoglianissimo Camerlengo Cardinale Kevin Farrell, lo ha sostituito con l’allora suo vice, il Professor Davide Prosperi? Adesso che accadrà, che epoca si apre per Cl? Tornerà la “Cielle” di Formigoni dopo l’illusione di una svolta religiosa?

La Santa Messa di apertura della 44ª edizione del Meeting di Rimini per l’’amicizia fra i popoli, presieduta dal Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il 20 agosto 2023 (Foto di Dorin Mihai/ANSA).

Un lettore “medio” tenderebbe a rispondere: affari loro, che importa a me, con tutti i guai che ho io e ha l’Italia, ci mancherebbe pure che mi occupi dei problemi della parrocchietta. Si faccia il suo bel Meeting, con ministri, cardinali, santi e navigatori, e tante storie interessanti, ma non pretenda di occuparmi il cervello con quesiti da preti.

Cambiamo domanda. Perché il Corriere della Sera dà tanto spazio con uso di firme prestigiose a tali vicende che non fanno cadere governi e tanto meno sconvolgono il Papato? Qual è allora la ragione per cui Solferino-libri, emanazione della direzione di Luciano Fontana, investe tempo e prestigio del caporedattore politico e uomo-chiave del quotidiano, in un ambito apparentemente di nicchia? Risposta: vuol dire che tanto marginale non è.

La profezia

Ci dev’essere qualcosa di emblematico, anzi, lo dice il titolo, una profezia che riguarda il corso della vita di tutti. Credo ci sia di mezzo anche una forte simpatia e una grande stima intellettuale che riguarda il Professor Julián Carrón, che viene definito in un passaggio del libro – condensando i pareri di Fausto Bertinotti, Luciano Violante e Umberto Galimberti, che cattolici non sono, e sono definiti tra virgolette “i convertiti” di Carrón – «uno degli intellettuali più rigorosi del nostro tempo, per la profondità della ricerca».

Ci sono pagine che fanno venir voglia di entrarci, in Cl. Poi il racconto prende una strana piega. E diventa manifesta una operazione politica, certo legittima, ma io dico: peccato. A metterne in luce la natura per così dire “duale” – a uso civile ma anche un po’ militare: far fuoco sul nemico è la prima recensione dedicata al volume, uscita sul Corriere della Sera [QUI] a libro ancora chiuso nei magazzini (sarà in vendita da domani 25 agosto). A scriverla è Antonio Polito, penna di rara brillantezza e Vicedirettore ad personam che si dichiara «non credente», e come tale invita però ad allargare lo sguardo immergendosi in una inchiesta che non è gossip di sacrestani candidi e ladri di reliquie, ma tocca il destino di chi ami il bene del nostro popolo che – fede o no, più no che sì – respira comunque cattolicesimo da ogni poro. Polito dà onore a Cl dunque. Altro che movimento morto. Mica poco.

Per l’occasione però si traveste da cane per ciechi e conduce l’ignaro lettore su sentieri confortevoli dove la stranezza di questa entità cattolica viene semplificata alquanto. L’editorialista, nelle vesti di supremo giudice del Far West, indica chi sono i “nostri”, quelli buoni, cioè i purificatori dall’affarismo, aperti al dialogo con il pensiero post-moderno (il suo); e chi i cattivi, molti in buona fede, ma tristemente ancorati a un mondo che non c’è più, e strumentalizzati da chi usa la religione per il proprio potere. In sintesi: Don Julián Carrón (e Polito) contro il povero Roberto Formigoni, peraltro ancora recluso ai domiciliari. Polito constata che «Carrón è in un limbo», «l’unico che non parli» (non è proprio così), invece Formigoni pregiudicato scrive, parla e forse si candida all’europee: perché mai questo dovrebbe dispiacere a Gesù Cristo, non è dato sapere. Fine pena mai, caro Antonio? Formigoni da uomo libero eserciterà i suoi diritti costituzionali, o la sinistra innamorata di Carrón glieli vuole togliere? Davide Prosperi, il Presidente, non è ritenuto degno di citazione, non è nominato neppure, cireneo senza gloria, oggetto da parte del recensore, in questo caso anche parecchio censore, a preventiva damnatio memoriae.

La mano di Ascione è meno prevenuta: non brandisce la spada per tagliare la lingua e neppure ferire la reputazione di alcun testimone per svalutarne prima ancora che parli quanto dirà. La conosciamo bene questa tecnica falsificante, Umberto Eco la chiamò nel lontanissimo 1978 “censura additiva”, e si riferiva a un trattamento di cui lui stesso era stato vittima proprio da parte del “suo” Espresso. Il settimanale aveva condito un intervento serissimo del professore con fotografie che vedevano il semiologo comicamente alle prese con un tentativo maldestro di preparazione forse della maionese. Risultato? Uno pensava a priori: ecco l’opinione di un coglione. Ascione non adotta questi trucchi. Non ci si può aspettare da lui l’entusiasmo manifestato quando scrisse con Romano Prodi la biografia di quest’ultimo (Strana vita, la mia 2021), con scrittura chiara e devozione egualmente limpida. Meglio così. Il sottotitolo del volume è rivelatore. Ritrae il movimento proprio in movimento, non è un gioco di parole, Comunione e liberazione tra fede e potere. Da Formigoni alla rivoluzione Carrón e oltre.

Le domande

In quel “oltre” ci vedo molta onestà. Dà l’idea del dramma che è la vita di ciascun uomo o donna (adolescente, giovane, poi si invecchia) che prenda sul serio il suo essere finito con domande infinite. Evito citazioni di poeti. Cl è la casa dove queste domande non si ha paura di usarle come frecce nel proprio cuore, per impedire di pacificarsi nel possesso di risposte dogmatiche, perché Cristo spacca gli equilibri di potere che inevitabilmente si incrostano sul bordo della sorgente, e ogni volta come calcare vanno ripulite. Io sono di questo giro “ciellino”, mai dirigente. Accadde più di 60 anni fa. È capitato a tanti, anche a chi era ed è rimasto molto oltre (grazie ad Ascione di prestarmi questo avverbio) i confini visibili di CL e persino della Chiesa, di sentire dentro di sé un’eco meravigliosa di questi desideri incommensurabili e la risposta dolce e possente di Cristo nella voce nebbiosa e impetuosa di Don Luigi Giussani, nel suo sguardo personale. La razionalità del senso religioso e dell’incarnazione di Dio era resa credibile dall’amore, abbatteva i bastioni: questo è stato quel prete, e la sua grazia ha momenti in cui riaccade tra i suoi – direbbe Michela Murgia (pardon) – “figli dell’anima”. Semplice: Giussani non è morto morendo. Sono sentimentale? Non ho più tempo per stare a mollo nei sentimenti. Il “caso serio” (definizione di Hans Urs von Balthasar) va oltre i sentimenti. E dramma esistenziale che non finisce mai.

Alla morte di Don Giussani la questione della successione – lo so perché c’ero – era già risolta. Non sono mai stato un dirigente di Cl, qualunque cosa voglia dire, ma gli stavo vicino, nei momenti importanti mi chiamava a San Fruttuoso di Monza. Don Gius mi fece sapere di aspettarlo sul vialetto, un sabato di primavera del 2004, fuori dalla sala dove era radunato il consiglio nazionale del movimento. Avevo svolto una relazione sul terrorismo. Arrivava in auto con la segretaria Gisella Corsico. Mi disse abbassando il finestrino, e guardandomi in modo impagabile: «Il capo da ora in poi sarà Don Carrón».

Don Julián Carrón.

Le differenze

Un sacerdote spagnolo, ma già si sapeva della maturata predilezione, asciutto nelle espressioni, dalla psicologia ferma, capace di predicare esercizi affascinanti e ancorati alla Sacra Scrittura. Era differente per temperamento dal prete brianzolo di Desio, il tutto in un particolare: Don Giussani non riusciva a capire come il successore potesse non gradire il vino, preferendogli la birra.

Scrive Ascione cogliendo l’essenziale: «Nel raccogliere il testimone, Carrón cita una frase dettata dal fondatore alla sua segretaria particolare, Gisella Corsico, nel 1991: “L’affezione che è necessario portarci tra noi ha una sola urgenza: la preghiera, l’affezione a Cristo”». Lo scopo di Cl non è costituire un partito, un’associazione culturale, uno strumento sindacale di militanti per risolvere l’ingiustizia. Ma lasciare che accada il cristianesimo nell’esistenza. Tanta roba. E Carrón c’è, con umiltà, non cambia una parola del “percorso” proposto dal fondatore. Carrón ha il suo accento, il suo stile, una certa predilezione per gli intellettuali-intellettuali, specie giuristi e filosofi. Usa la scopa senza riguardi per ripulire l’aia da chi reputa aver i piedi piantati in un mondo che non c’è più. Ha governato bene? Si è fidato troppo di sé, attribuendosi, ben oltre il mandato del fondatore, l’esclusivo possesso del carisma giussaniano? Scrive Ascione con acutezza: «Potrebbe sembrare un contrappasso. Il Papa che Carrón difende dalle critiche dei suoi, è il Papa che fa calare il sipario sulla gestione ciellina del prete spagnolo». La Messa non è finita, però.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

Che cosa è accaduto a Comunione e liberazione? Il movimento, fondato negli anni Cinquanta con un approccio rivoluzionario da Don Luigi Giussani, è rimasto fedele a sé stesso? Mentre crollavano i muri e cambiava la Chiesa, Cl ha continuato a dare forza alla sua presenza. Anche politica. Sino a diventare, essa stessa, un pezzo di potere. Rischiando così di intaccare il suo codice di educazione alla fede. Come se contassero di più gli applausi del Meeting ad Andreotti, a Berlusconi o a Formigoni, rispetto all’azione stessa della Fraternità. Di questo rischio si era avveduto quasi profeticamente Giussani. E su questo fronte si è impegnato il suo primo successore: Don Julián Carrón. Un biblista pescato direttamente in Spagna dal prete di Desio. Ossia al di fuori della cerchia degli italiani. Ci voleva un teologo dell’Estremadura per portare la rivoluzione: basta collateralismi e assist al centrodestra. No ai Family Day e alle piazze divisive. Un cambiamento che ha prodotto tensioni nella pancia di Cl, in particolar modo con la famosa lettera su Roberto Formigoni, in cui Carrón chiede perdono a nome del movimento.
Ora il sacerdote che ha guidato la Fraternità dal 2005 al 2021 si tiene in disparte. Le sue dimissioni sono arrivate dopo il commissariamento da parte del Vaticano dei Memores domini e le nuove regole sulla governance dei movimenti. Il timone è passato a Davide Prosperi, professore dell’Università Bicocca di Milano, che si ritrova a gestire un’eredità difficile. Restano però gli interrogativi. Un cristiano impegnato ha bisogno del potere? Bisogna aggrapparsi alla legge per proteggere i valori? Come comportarsi di fronte alle chiese vuote o alla richiesta di maggiori diritti da parte degli omosessuali? Di fronte al gender o all’eutanasia? È appena iniziata una terza vita del movimento, raccontata in questo libro attraverso la voce e gli scritti dei protagonisti.

Foto di copertina: il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana presiede la Santa Messa di apertura della 44ª edizione del Meeting di Rimini per l’’amicizia fra i popoli, il 20 agosto 2023 (Foto di Dorin Mihai/ANSA).
Quello che viene definito il “popolo del Meeting” è sempre stato orientato politicamente verso il centrodestra, così come il movimento a cui fa riferimento, Comunione e Liberazione. Ma non è un “popolo” omogeneo e una componente che guarda più al centrosinistra c’è sempre stata. Pier Luigi Bersani, che al Meeting di Rimini è andato più volte come ospite, disse: «Se vuole rifondarsi, la sinistra deve partire dal retroterra di Comunione e Liberazione. La vera sinistra non nasce dal bolscevismo, ma dalle cooperative bianche dell’800, il partito socialista arriva dopo, il partito comunista dopo ancora. E i movimenti del Sessantotto sono tutti morti, solo l’ideale lanciato da CL negli anni Settanta è rimasto vivo, perché è quello più vicino alla base popolare, è lo stesso ideale che è alla base delle cooperative, un dare per educare». Il Meeting oggi cerca di dare un’immagine di sé meno vicina ai partiti e più distante dal potere. Ciononostante i politici continuano a considerare i giorni di Rimini come il momento e il luogo privilegiato in cui cercare consenso. Quest’anno sul palco si alternano metà dei ministri dell’attuale governo e alcuni manager di grandi aziende pubbliche.

Il Meeting si è aperto con un Santa Messa presieduta dal Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e un messaggio di Papa Francesco. L’evento, che tradizionalmente segna ogni anno la “ripresa” della politica dopo la pausa estiva, si chiuderà domani, 25 agosto 2023, con l’intervento più istituzionale di tutti, quello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla sua seconda presenza all’evento dopo quella nel 2016.
L’amicizia, l’amore e le “armi” contro l’indifferenza e le guerre: questo e tant’altro ha sottolineato in apertura il Cardinal Zuppi, con l’omelia della Santa Messa che ha dato il via libera alla 44ª edizione del Meeting. «Viviamo questi giorni con tanti testimoni del passato, che qui ci coinvolgeranno, e con tanti testimoni del presente per essere anche noi testimoni, in un tempo fortemente e pericolosamente individualistico, con le tante patologie che l’individualismo chiama».

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