Caso Rugolo. I legali si oppongono all’archiviazione delle querele temerarie del sacerdote. I Gup di Enna e Savona fissano le udienze per la giornalista e il Presidente di Rete l’Abuso

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.08.2023 – Vik van Brantegem] – È una storia infinita. Don Giuseppe Rugolo, il sacerdote della Diocesi di Piazza Armerina, a processo davanti al Tribunale di Enna per violenza sui minori, porta davanti al Gup di Enna la giornalista professionista ennese e corrispondente dell’ANSA, Pierelisa Rizzo (foto di copertina), che ha querelato per diffamazione a mezzo stampa. La Procura di Enna aveva chiesto l’archiviazione, ma i legali di Rugolo hanno presentato opposizione e ottenuto dal Gup la definizione dell’udienza camerale, fissata per il 21 marzo 2024.

L’ha riferito oggi l’ANSA [QUI], come riportato anche dal sito del quotidiano di Catania La Sicilia [QUI] e il sito di Enna Santannatoday.it [QUI].

Come abbiamo riferito il 13 gennaio 2023 (La Cassazione: no all’oscuramento nel diario Facebook della giornalista Pierelisa Rizzo delle chat a sfondo sessuale di Don Rugolo [QUI]), la vicenda prende l’avvio dalla pubblicazione di alcune chat a sfondo sessuale, contenute nella prima ordinanza, tra il sacerdote e alcuni giovani. Dopo la denuncia di Rugolo per diffamazione e diffusione di atti processuali, i legali del sacerdote chiedono l’oscuramento del post e il sequestro di tutti i supporti informatici della Rizzo. Il Gip di Enna, Michele Martino Ravelli, accoglie in parte la richiesta e decide solo per l’oscuramento del post che, però non viene mai oscurato per decisione della Cassazione dopo il ricorso della Procura.

Lo scorso giugno il Pm Stefania Leonte chiede l’archiviazione della querela per diffamazione di Rugolo, forte anche della pronuncia della Cassazione.

Lo scorso luglio, però, i legali di Rugolo depositano una richiesta di opposizione e il Gup ha fissato l’udienza camerale per la decisione finale sul rinvio a giudizio della giornalista ennese.

La vicenda di Enna è simile a quanto sta avvenendo a Savona, dove Rugolo ha denunciato per diffamazione Francesco Zanardi, il Presidente di Rete l’Abuso, l’associazione che si occupa di sopravvissuti a violenze sessuali del clero. Anche lì, la Procura di Savona aveva chiesto l’archiviazione, ma i legali del sacerdote hanno fatto opposizione e il Gup ha fissato l’udienza camerale per il 4 ottobre 2023.

«Per i legali di Rugolo, e per quelli che rappresentano i responsabili civili al processo, il vero problema è che le notizie non escano dall’aula di Tribunale dove si sta svolgendo, ormai da due anni, il processo a porte chiuse – dice Pierelisa Rizzo, che è assistita dagli Avvocati Eleanna Parasiliti Molica del Foro di Enna e da Giovanni Di Giovanni, del Foro di Caltanissetta – ma le querele temerarie non possono e non devono fermare la stampa che ha il dovere di continuare a raccontare un fatto di tale rilevanza sociale. Il processo a porte chiuse mi impedisce di entrare in aula, ma non di raccontare quello che succede nel procedimento che ho seguito, da sola, per oltre cento ore».

Solidarietà alla collega Pierelisa Rizzo

Come in precedenza, il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia ha espresso «viva preoccupazione per il caso della collega Pierelisa Rizzo di Enna, querelata da Don Giuseppe Rugolo per avere riportato nel suo profilo Facebook una conversazione agli atti del processo nel quale il sacerdote è accusato di reati sessuali. Don Rugolo ha chiesto tramite i suoi legali il sequestro preventivo del profilo Facebook e dei dispositivi informatici della cronista». Secondo il Consiglio dell’Ordine, «iniziative di questo genere rischiano di intralciare l’attività professionale della giornalista che riferisce atti e fatti di pubblico interesse». Il Consiglio esprime anche «la propria netta contrarietà rispetto alla richiesta di sequestro di pc, telefoni, tablet e pen drive: strumenti fondamentali per il lavoro giornalistico, che possono peraltro contenere dati sensibili anche in relazione al rapporto tra la cronista e le fonti».

Della questione ci siamo occupati il 4 giugno 2022 [QUI], esprimendo anche la solidarietà del Blog dell’Editore di Korazym.org con la collega Pierelisa Rizzo, che ribadiamo oggi: «Lo Staff del Blog dell’Editore di Korazym.org esprime preoccupazione per la querela di Don Giuseppe Rugolo sotto processo a Enna nei confronti della collega Pierelisa Rizzo, che lede la libertà di stampa ed il diritto di cronaca. Confidiamo nella magistratura affinché respinga le richieste di Rugolo e ristabilisca i diritti sanciti dalla Costituzione».

A Pierelisa Rizzo il riconoscimento speciale Premio Mimosa d’Oro

Alla giornalista Ansa Pierelisa Rizzo è stato conferito il 30 luglio 2023, alla Valle dei Templi di Agrigento, il riconoscimento speciale Premio Mimosa d’Oro. Il prestigioso premio, giunto alla 32ª edizione e attribuito dal centro artistico, culturale ed editoriale “Renato Guttuso” di Favara a donne siciliane che si sono particolarmente distinte nel loro campo d’azione per impegno, dedizione e valori. Un’occasione, dunque, per promuovere le eccellenze al femminile che portano alto il nome della Sicilia nel mondo.

L’ennese Pierelisa Rizzo è stata insignita dell’importante riconoscimento per la sua carriera di giornalista professionista, impegnata in particolare nella cronaca giudiziaria, caratterizzata da professionalità, continua ricerca delle fonti e fruibilità dell’informazione. Tra le motivazioni del riconoscimento attribuitole, anche la sua attività di volontariato svolta nella casa circondariale di Enna, per essere autrice di libri e per la sua passione per la cucina abbinata alla valorizzazione dei prodotti locali e a iniziative culturali, attività che porta avanti nell’enoteca-osteria Tommy’s Wine nel centro di Enna, dove, tra una notizia e l’altra, crea piatti unici attraverso la valorizzazione delle peculiarità gastronomiche locali.

Le querele temerarie non possono e non devono fermare la stampa

Succede nella maggior parte dei casi che le querele per diffamazione vengono archiviati. Un dossier del 2016 curato dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”, basato su dati forniti dal ministero della Giustizia, stimò che circa il 70 % delle querele per diffamazione viene archiviato su proposta del pubblico ministero, e quindi non arriva nemmeno a processo. Non esistono dati più recenti, ma nel 2019 il Ministero confermò all’associazione che quella percentuale era ancora valida. Secondo diversi esperti del settore con ogni probabilità lo è ancora oggi.

Significa in sostanza che i pubblici ministeri riconoscono l’impianto spesso pretestuoso di queste querele e decidono nella maggior parte dei casi che non ci sia fondamento sufficiente per andare a processo: in molti casi i giornalisti non vengono neanche a sapere di avere querele a loro carico. Tra quelle che procedono, poi, il 92 % (sempre secondo i dati del 2016) non arriva a condanna. Il problema è che nel frattempo il giornalista è stato costretto a pagare, nel migliore dei casi, alcune migliaia di euro per nominare un avvocato e farsi difendere nel processo. E anche quando vince, è rarissimo che gli vengano rimborsate le spese processuali. Infatti, solitamente il giornalista viene dichiarato non punibile perché gli viene riconosciuto il diritto di cronaca e di critica garantito dalla Costituzione, quindi perché quello che ha scritto “non costituisce reato”. Per il rimborso delle spese però bisognerebbe dimostrare che “il fatto non sussiste”, cioè che non sia avvenuta alcuna diffamazione. Il più delle volte, quindi, il giornalista viene assolto ma non ha diritto a rimborsi.

Nei casi in cui la querela viene archiviata, invece può succedere – come nel caso di Pierelisa Rizzo – che chi l’ha presentata faccia appello contro l’archiviazione, imponendo che si tenga almeno un’udienza camerale per stabilire se quell’appello verrà accolto o meno. Quindi, il giornalista querelato vive per settimane/mesi con forti ansie. Per quanto possa pensare di aver fatto bene il suo lavoro, avrà sempre il dubbio che qualcosa possa andare storto e anche quando poi il caso alla fine viene archiviato, la querela ha ottenuto quello che voleva. Anche quando il giornalista cerca di non farsi influenzare nel suo lavoro, quando scrive ha sempre paura che possa risuccedere. Quindi anche se gli avvocati del querelante sanno che in casi come questo non si va quasi mai a processo, il loro scopo è solo mandare un messaggio intimidatorio.

Il reato di diffamazione in Italia è previsto dall’articolo 595 del codice penale e riguarda chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”. Perché si parli di diffamazione è sufficiente che la dichiarazione “diffamante” sia comunicata in presenza di almeno due persone, e non è necessario che sia falsa: si può diffamare anche dicendo una cosa vera. Quando c’è di mezzo il giornalismo, o comunque altri tipi di pubblicazioni o discorsi di interesse pubblico, il giudice deve quindi stabilire se valga di più la tutela della reputazione e dell’onore di una persona, o il diritto di critica e di cronaca di un’altra: questi due diritti a loro volta presuppongono che ci debba essere un interesse pubblico dell’informazione divulgata e che questa sia esposta con correttezza e pertinenza. Sono tutti concetti molto interpretabili e difficilmente definibili in assoluto.

Per tutta una serie di ragioni, oggi le conseguenze penali che possono derivare da una querela per diffamazione “a mezzo stampa” (che comprende sia i giornali che altri mezzi di comunicazione, per esempio i social network, e che quindi riguarda potenzialmente quasi tutti) sono tutto sommato limitate: il carcere è ormai quasi del tutto escluso, e la maggior parte dei problemi riguarda le spese legali da affrontare.

Stop dell’Unione Europea alle querele temerarie contro i giornalisti: giudici potranno sanzionare gli accusatori

Denunciare un giornalista che riporta fatti “scomodi” solo per chiudergli la bocca, convincendo i suoi colleghi ad evitare i temi che potrebbero procurare anche a loro grane giudiziarie e richieste di risarcimento. La cosiddetta querela temeraria, ovvero la denuncia che al vaglio dei giudici risulta assolutamente infondata, è uno degli strumenti più utilizzati da chi vuole mettere il bavaglio alla stampa. La Commissione Europea in aprile 2022 aveva deciso di prendere iniziative legislative per tutelare i giornalisti da questo tipo di intimidazioni definite “procedimenti giudiziari abusivi”.

La proposta della Commissione, se confermata dai co-legislatori europei, consentirà ai giudici di archiviare rapidamente le cause manifestamente infondate contro giornalisti e difensori dei diritti umani. L’esecutivo europeo mirava anche a stabilire diverse garanzie procedurali e rimedi, come il risarcimento dei danni e sanzioni dissuasive per l’avvio di azioni legali abusive. Secondo la proposta presentata, spetterà a chi accusa abusivamente il giornalista sostenere tutte le spese del procedimento, comprese le parcelle degli avvocati dell’accusato, se un caso viene respinto in quanto temerario. La vittima di querela temeraria avrà anche diritto al pieno risarcimento del danno materiale e immateriale arrecato dalla causa. Per impedire ai ricorrenti di avviare procedimenti giudiziari abusivi, i tribunali potranno inoltre imporre sanzioni dissuasive a coloro che portano tali casi di fronte ai giudici.

La Commissione Europea aveva inoltre adottato una raccomandazione per incoraggiare gli Stati membri ad allineare le proprie norme alla proposta di legge dell’Unione Europea anche per i casi interni.

Poi, l’11 luglio 2023 il Parlamento Europeo ha compiuto un ulteriore importante passo per contrastare le azioni legali temerarie intraprese contro giornalisti, media, difensori dei diritti umani, attivisti, ricercatori, vignettisti o artisti vari al fine di intimidirli, scoraggiarli o punirli per il loro lavoro di denuncia della corruzione e dell’abuso di potere. Con 498 voti a favore, 33 contrari e 105 astensioni, i deputati riuniti a Strasburgo in seduta plenaria hanno approvato il testo adottato dalla Commissione Giustizia della cosiddetta direttiva anti-Slapp (Strategic lawsuit against public participation: azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica) contenente soprattutto nuove norme da applicarsi nei casi transfrontalieri in cui il denunciante, il denunciato e il tribunale sono di Paesi europei diversi, oppure quando l’articolo, il post, la vignetta, la ricerca o qualsiasi altro atto di «partecipazione pubblica» assumono rilevanza «per più di uno Stato membro e sono accessibili elettronicamente».

Il voto dell’11 luglio 2023 era l’ultimo atto di un percorso cominciato nel novembre 2021, con una risoluzione del parlamento europeo sulla libertà dei media, cui nell’aprile dell’anno scorso seguì la proposta della Commissione Giustizia.

La direttiva, che è una sorta di percorso negoziale con i Paesi membri verso l’orizzonte della libertà di stampa, prevede garanzie per le vittime delle Slapp, a cominciare dalla possibilità di chiedere il rapido respingimento della causa, nel qual caso sarà il ricorrente a dover dimostrare la fondatezza della denuncia, mentre chi subisce la causa potrà chiedere un risarcimento anche per danni psicologici o alla reputazione. Le nuove norme delimitano il campo delle cause temerarie per ridurre appunto i tempi del processo e fermare subito quelle intentate per intimidire. In Europa, secondo i dati ufficiali, le cause temerarie sono circa l’11% del totale. Agli Stati membri viene chiesto di istituire sportelli unici in cui le vittime di Slapp possano chiedere informazioni e consulenza, e a cui le autorità nazionali dovrebbero fornire anche assistenza finanziaria, legale e psicologica.

Il 24 febbraio 2023, per la prima volta in Italia, una querela temeraria si è ritorto contro chi l’ha presentata. Il Tribunale di Spoleto ha condannato a un anno e quattro mesi Leodino Galli, l’ex Consigliere di amministrazione della Spoleto Credito e servizi, imputato per calunnia nei confronti del giornalista spoletino Carlo Ceraso. L’imputato aveva querelato per diffamazione a mezzo stampa Ceraso, pur sapendo – secondo la tesi dell’accusa – che nelle sue inchieste sulla Banca popolare di Spoleto aveva scritto la verità. Da qui, dopo l’archiviazione per Ceraso, la procura aveva indagato per calunnia Galli, che poi è stato ritenuto colpevole. Il giudice aveva disposto il risarcimento danni da quantificare in sede civile ma con una provvisionale di 10 mila euro. Nel processo si erano costituiti parti civili l’Ordine dei giornalisti e l’Associazione stampa umbra, per le quali è stato disposto un risarcimento di 5mila euro ciascuno.

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