Le nozze civili queer, ma per le esequie si è tornato in chiesa

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Secondo le sue ultime volontà, l’addio alla scrittrice, drammaturga, opinionista Michele Murgia, morta all’età di 51 anni, è stato dato nella chiesa degli artisti a Roma. Un genio assoluto del marketing post-moderno e dal pensiero fluidissimo e prevedibilissimo, l’ultima scelta religiosa spiega parte della sua storia. Dopo aver rivelato a maggio di soffrire di un cancro ai reni al quarto stadio, ne ha raccontato sui social i momenti privati, celebrando la sua “famiglia queer”.

In virtù dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia, svolge il ruolo di animatrice dell’Azione Cattolica, della quale diviene presto referente regionale in ambito giovanile. Scrive uno spettacolo teatrale che viene rappresentato a Loreto, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, alla fine del pellegrinaggio a livello nazionale dell’Azione Cattolica nel settembre 2004. Nell’insieme delle svariate esperienze lavorative accumulate prima di dedicarsi completamente all’attività di scrittrice, si dedica anche al ruolo di insegnante di religione.

Oggi, Padre Antonio Spadaro, S.I., riporta su Twitter le parole di Michela Murgia dalla sua intervista a Aldo Cazzullo del 6 maggio [QUI] («Le ho rilette perché le aveva rilanciate Andrea Purgatori il 6 maggio scorso»):
«Lei ha avuto una formazione cattolica. Crede ancora in Dio? “Certo”.
L’ha pregato in questi mesi? “L’ho pregato e lo prego di far accettare alle persone che mi amano quello che accadrà”.
Come immagina l’Aldilà? “Non un luogo, ma uno stato sentimentale. Dio è una relazione. Non penso che la vita dopo la morte sia tanto diversa. Vivrò relazioni non molto differenti da quelle che vivo qui, dove la comunione è fortissima. Nell’Aldilà sarà una comunione continua, senza intervalli”.
Con gli altri o con Dio? “È uguale. Sarà il passaggio dal ‘non ancora’ al ‘già’”».

Un follower di Padre Spadaro ha commentato: «Semplicemente non le credo a una parola. Punto. Non c’è posto per idee mistiche o cazzate varie, lì esiste solo il Signore Iddio, stop. La defunta ha voluto sproloquiare con un’aurea mistica di morte e di aldilà, dove non serve essere mistica sinistra e bauscia odiatrice. Fine».

Nella stessa giornata di oggi, Don Antonino Pileri Bruno, docente presso il Pontificio Istituto Orientale e la Pontificia Università Urbaniana, riporta su Twitter le parole di Giovanni Crisostomo, Arcivescovo di Costantinopoli, santo per la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse, uno dei 37 Dottori della Chiesa Cattolica: «Se fossi consapevole di quanto in fretta le persone si dimenticano di te dopo la tua morte, smetteresti di cercare di compiacere chiunque e ti procureresti di piacere solo a Dio» [V.v.B.].

Il vero rispetto che si deve ai morti,
oltre la pietà, è la verità”.

«Matrimonio di Michela Murgia: una celebrazione della “queer family”. Maria Grazia Chiuri ha progettato per Dior un’intera mini-collezione familiare che interpreta alla perfezione lo spirito queer. “Completamente bianca per tutti, de-sacralizza il colore nuziale, che cambia significato”, spiega la scrittrice» (Vogue, 24 luglio 2023).

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.08.2023 – Renato Farina] – È andata via molto in fretta, a 51 anni. Non si può dire nel nascondimento. Michela Murgia era fatta così, non è stata una creatura tipo gazzella che corresse leggera senza scalpiccio di zoccoli pesanti. Si faceva notare. Ha voluto che anche il suo cammino verso la morte, e la morte per cancro, preannunciata con una drammatica intervista ad Aldo Cazzullo (6 maggio, Corriere della Sera), diventasse un rullo di tamburi, un po’ allegro un po’ mesto come il tema musicale di Nino Rota per l’Amarcord di Fellini. In questo modo ha avvolto le sue idee dal manto di sacralità che solo la maestà della morte può trasformare in statue marmoree intangibili, al punto che se le sfiori è sfregio incivile e ti trattano come quell’idiota svizzero che traccia il cuoricino sulle mura del Colosseo: vandalo, analfabeta, e nel nostro caso pure empio per vilipendio dell’eredità spirituale dell’eroina. Eroina certo. Ma gloria di un’intellettuale è che le sue idee si discutano e si critichino, non che siano venerate come oracoli della Sfinge. E quelle statue lì per me – proprio per onorare la scrittrice e teologa sarda – sono toccabili, toccabilissime.

Si può? Michela Murgia, da genio assoluto del marketing post-moderno, ha giocato il bonus fantastico che accompagna le testimonianze in articulo mortis per far sì che le sue precarie affermazioni sull’amore e la famiglia multipla fossero trasformate in dogma dal pensiero turibolante dei mass media. Una specie di profezia della vera libertà quello che alla gente comune appare una bizzarria buona per ricchi dotati di grande casa e bel giardino.

Ha scritto: «La struttura dei rapporti queer rigetta la fedeltà e richiede l’affidabilità. Con chi vai a letto o di chi sei innamorato sono dati ininfluenti: la romanticizzazione e la sessualizzazione dei rapporti sono le armi con cui il binarismo patriarcale controlla la vita delle persone, specialmente delle donne». Possibile che nessuno le abbia detto che si contraddice? Fedeltà e affidabilità si reggono etimologicamente su “fides”. Fiducia e fedeltà vanno insieme. Se è impossibile l’una lo è anche l’altra. Certo occorre – dicono i Cristiani – la grazia del buon Dio e la forza del perdono.

Alcune anime pie, dopo aver appreso della demolizione sistematica praticata dalla Murgia della tradizione Cattolica, si stupiscono del funerale in chiesa (nella basilica di Santa Maria in Montesanto, a Roma, ore 15.30 di oggi). Costoro hanno capito poco di lei. La sua complessità (senza voler interferire sul mistero del suo rapporto con Dio) era in realtà molto semplice. È stata la scrittrice e forse l’intellettuale Cattolica, progressista e politicamente corretta più iconica della nostra epoca. Per questo la sua apparente stranezza ideologica ha avuto alla fine due espressioni sincere ma anche parecchio conformiste: esequie benedette dal prete, nozze civili ma – come si conviene ai tempi – accettate di malavoglia, solo perché del suo corpo e delle sue volontà potesse disporre chi aveva la sua fiducia, “un uomo ma poteva essere anche una donna”.

Insomma. Pensiero fluido e insieme prevedibile, consono all’ideale di famiglia libero da legami giuridici, mobile, dove la volontà si fa e si disfa, in cinque, sei dieci amori, contemporanei e comunque transeunti (vedi le foto cerimoniali della sua “queer family”, tutta vestita di bianco). Un’utopia realizzata allineato con il sentimento dell’esistenza pensato anche se non ostentato, perché non è ancora arrivato il momento, dalle élite occidentali.

Non è vero, come alcuni sostengono, scrivesse in modo contorto. Era musica dodecafonica alternata da melodie pucciniane. Aveva tutti i colori sulla sua tavolozza. Idee murgiane, dolcissime verso chi amava, e certificate dalla coerenza di una esistenza coincidente con la sua scrittura: lei era la sua scrittura, disposta a dare tutto di sé senza riserve. Lo dimostra il suo testamento, memore di ogni carezza ricevuta. Idee invece crudeli e sprezzanti – sfruttando l’altissimo pulpito della sua sofferenza vissuta senza mestizia – verso il mondo diverso dal suo mondo. Senza nessuna voglia di sfumature né di tenerezza per chi lei, senza conoscerne il cuore, trattava come un salame da impacchettare come una mummia da bruciare tra i fantocci, perché aveva il torto di indossare la divisa degli alpini come il Generale Figliuolo, o non aderiva alla sua personalissima ideologia dell’uguaglianza che prevedeva la mutazione dell’ortografia, trasformando le vocali finali delle parole in una cosa che si scrive ə, mugolio senza forma.

La domanda insomma è questa: se lei fosse stata il vescovo avrebbe concesso, a parte sciaguratamente invertite, il funerale in chiesa a Giorgia Meloni e Matteo Salvini da lei accusati di ogni nequizia?

Il giorno stesso dell’intervista a Cazzullo, aveva dichiarato spudoratamente, in un’anticipazione su Repubblica del suo libro destinato grazie alla straordinaria grancassa a mantenere tutta la discendenza della sua famiglia queer, il suo “odio” per i bambini, che se non lo avesse scritto una con il suo pedigree da ex Azione cattolica, ex insegnante di religione per otto anni, laureata in teologia, ultra-progressista, autrice di un libro grosso come uno scaldabagno sarebbe stato qualificato come para-nazista. Ma si è salvata da qualsivoglia polemica dichiarando che stava per morire.

Come si fa a detestarla, dotata com’è – com’era! – di quella caparbietà manichea, la piacevolezza del bianco e del nero, o di qua o di là, tranne che nel sesso e nei rapporti d’amore, dove non bisogna né essere né fedeli né coerenti. Fantastico.

Michela Murgia sapeva benissimo di godere di questo vantaggio competitivo che dà lo svantaggio di essere morente e di non poter rispondere alle critiche postume, costringendo chi vorrebbe polemizzare a una certa continenza. Si è gettata fino all’ultima ora nelle polemiche con animo ardimentoso, menando fendenti con il risultato di tacitare tutti. Ha avuto l’immunità come la madre dei condannati a morte che può dire qualunque cosa, scagliare ogni invettiva, nessuno può zittirla, ha troppa forza dentro la sua voce.

Una superiorità tanto più marcata e invulnerabile in chi come Michela non si lamenta, non accetta compatimenti, non maledice la propria sorte, pretende che gli altri non si ricordino del suo stato estremo proprio per questo ricordandoglielo meglio. Francescanamente anche il cancro diventa fratello/sorella, accarezzato come intimo amico, dolce suo assassino; ma l’avversario politico o il diverso dal suo sistema di credenze, è praticamente un verme che striscia, non merita rispetto. Bè noi glielo diamo. Possa tu godere, come hai detto a Cazzullo, nell’aldilà di “una comunione fortissima, continua, senza intervalli”.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

Postscriptum
Messaggio per le esequie di Michela Murgia


Desidero unirmi a voi in questa Liturgia di saluto, quando sperimentiamo dolorosamente il limite della vita ma anche dove siamo aiutati a guardare oltre. Affidiamo a Dio Michela. Il libro della sua vita non è finito e le sue pagine continuano a essere scritte con lettere di amore in quella lingua universale dello Spirito che rivela la grandezza di ogni persona e l’eterno che è nascosto in tutti noi. Ed è un libro che Michela ha scritto con passione e esigente ricerca di assoluto, vissuta per davvero non per compiacimento di sé o perché aveva tempo da perdere. Non lo aveva e non lo ha avuto tempo da perdere. “Ti ho pensato tanto in questi giorni delicati, pregando per la tua missione di pace e ringraziando che in questo tempo difficile cercate strade possibili per salvare vite. Prego per te e per chi anche stanotte avrà paura in un rifugio, con i suoi bambini. Fai il meglio che sai”. E come risposta alla mia domanda sulla sua condizione aggiunse: “La qualità di vita è alta, non ho dolori e sono amata. Il resto è il lavoro del sorcio: rosicchiare ogni giorno un giorno in più”. Mi aveva colpito che si preoccupava degli altri in un momento così difficile per lei. Ma questo è il segreto dell’amore, che poi è il segreto di Dio. E Dio è libertà proprio perché ama e vuole essere amato non da servi, ma da amici, perché l’amore vero unisce, genera legami strettissimi possibili solo se è libero, gratuito. Anche quando non eravamo d’accordo Michela con la sua ricerca appassionata ci aiutava a trovare i veri motivi e a non essere scontati né supponenti. Oggi mi e ci sembra impossibile che tanta forza di vita, più forte di quella malattia che era sua (hai ragione, Michela, la fragilità è nostra, sempre dentro di noi, non è un alieno che ci ruba il benessere) sia finita. Marta e Maria avevano accolto e amato quel maestro che entrava a fare parte della loro casa e la rendeva una circolarità di amore che include tutti e tutti valorizza. Gesù le visita non come ospite ma come familiare, fratello d’anima che ci fa credere ai legami d’anima, perché siamo generati non dal sangue ma dallo Spirito. E per questo la Chiesa è famiglia di Dio, con i legami di amore che Lui per primo viene a creare, pensandosi in relazione con noi e chiedendoci di viverli tra di noi e con il prossimo, cioè l’altro. Chiunque. “Se tu fossi stato qui non sarebbe morto”, dicono a Gesù Marta e Maria. Gesù piange con loro e con noi di fronte alla morte. Michela alla fine, che è il suo inizio, “capirà” pienamente quello che cercava con tutta se stessa e troverà tutte le risposte. Certamente discuterà su qualcosa ma nell’amore pieno, senza riserve, senza paura. Capirà quello che Gesù ci insegna a vivere sulla terra, cioè ad amarci senza ideologia ma nel comandamento del suo amore, cominciando dai suoi fratelli più piccoli, i poveri, le vittime, i soli. Capirà che è proprio vero che “sarà una comunione continua, senza intervalli” e vivrà il passaggio dal “non ancora” al “già”. In pace. Michela, continua a pregare per noi.

+ Cardinale Matteo Zuppi
Arcivescovo metropolita di Bologna
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Foto di copertina: non ci sono soltanto i libri, fra le cose che resteranno di Michela Murgia. E neanche soltanto le polemiche con il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni. Il suo nome è legato anche a una “invenzione” che qualche anno fa ha fatto molto discutere: il fascistometro, il test in 65 domande per scoprire quanto sei fascista. Poi, come ha puntualizzato la sua amica e avvocato Cathy La Torre a la Repubblica: “Ha scelto di fare testamento e da mesi abbiamo lavorato per tutelare la sua famiglia queer. Lo abbiamo fatto insieme e sempre pubblicamente come battaglia politica”.

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