Verso la Settimana Sociale: intervista al Francesco Belletti del Centro Internazionale studi famiglia

Dopo quasi 60 anni, una Settimana sociale è nuovamente dedicata alla famiglia, con il titolo ‘La famiglia, speranza e futuro per la società italiana’. Scelta innovativa, non tradizionale, se è vero che solo altre tre volte (1910, 1926, 1954), la famiglia è stata oggetto di questo importante appuntamento della Chiesa nell’Italia post-unitaria e contemporanea. Per comprendere meglio la sfida lanciata dalla Chiesa, attraverso il documento preparatorio, alla società sulla famiglia, abbiamo intervistato (altre interviste ci accompagneranno fino al giorno inaugurale) il presidente del Forum delle Famiglie e membro del Comitato preparatorio della Settimana Sociale, dott. Francesco Belletti, direttore del Centro internazionale studi famiglia (Cisf), che insieme alla moglie dott.ssa Gabriella Ottonelli, ha scritto il libro ‘I diritti della famiglia. Solo sulla Carta?’.
Perchè la Settimana Sociale punta attenzione alla famiglia? “Nella centenaria storia delle Settimane Sociali la scelta del tema ‘famiglia’ costituisce una grande sfida di novità, se è vero che solo altre tre volte era stata al centro dell’attenzione, e l’ultima volta quasi 60 anni fa, nel 1954: quanto sono cambiate, in questi anni, le famiglie, la società italiana, e la Chiesa stessa! Anche collegare la parola famiglia alle parole ‘speranza e futuro del Paese’, come fa il titolo della Settimana torinese, descrive un approccio nuovo: non si tratta di difendere residui o tradizioni del passato, ma di ri-costruire, attraverso la famiglia, la possibilità di un nuovo progetto di felicità e di vita buona per ogni persona e per tutto il popolo che vive nel nostro Paese.
La parola famiglia si pone quindi, nella Settimana sociale di Torino, come uno spazio di comunione ecclesiale, come la circostanza privilegiata in cui testimoniare la bellezza e la responsabilità verso la propria vita, verso i propri fratelli, verso la creazione che ci è stata donata: responsabilità certamente doverosa per ogni cristiano, ma anche ‘naturalmente sperimentabile’ da ogni persona di buona volontà. Il modello interpretativo delle giornate torinesi poi non sarà ‘esclusivo’, ma ‘inclusivo’; non limiterà l’attenzione alla famiglia e a poche questioni decisive, ma pretende di includere tutte le dimensioni del vivere sociale, proprio perché la famiglia è esperienza radicalmente conficcata “nel cuore” della vita di ogni persona e nel vivo della socialità. In altri termini, mettere la famiglia al centro non implica dimenticare i temi del lavoro, della crisi economica, dell’immigrazione, della tutela ambientale, ma significa piuttosto cambiare ‘occhiali’, e leggere ogni dinamica sociale dal punto di vista familiare”.
Perchè si sta diffondendo un dibattito antropologico che tende a negare la famiglia? “La scelta del tema ‘famiglia’, nel 2013, non era affatto scontata, in tempi così incerti, di fronte a fenomeni socio-politici di grande impatto sociale ed economico, come la globalizzazione, la crisi mondiale, la crisi della politica nel nostro Paese, la crescente presenza, anche nel nostro Paese, di movimenti migratori. Riportare la famiglia al centro dell’attenzione della società e della Chiesa italiana significa quindi riaffermare che davvero, come ricordava Benedetto XVI nella Caritas in Veritate (n. 75), oggi ‘la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica’, e che il futuro dell’uomo e della società si radicano indissolubilmente nella famiglia.
Come ricordava la Lettera invito pubblicata dal Comitato Scientifico e Organizzatore l’8 febbraio 2013, la valorizzazione della famiglia ‘costituisce un pilastro fondamentale per costruire una società civile davvero libera, a cominciare dalla libertà religiosa e da quella educativa; è dunque condizione fondamentale per una società dove i diritti di tutti siano realmente rispettati’. Del resto, la famiglia è il primo luogo in cui è drammaticamente evidente il conflitto tra ‘due idee di uomo e di persona, due modelli antropologici che si trovano inevitabilmente in contrasto: gli individuali e i relazionali.
Per il primo modello la libertà e la felicità dell’essere umano sta essenzialmente nella ‘libertà da’, nell’assenza di vincoli, nella possibilità di poter scegliere in ogni momento cosa fare, senza impedimenti di alcun genere; per il secondo la libertà e la felicità dell’essere umano sta invece proprio nella disponibilità di legami buoni, nella capacità di condividere, nell’esperienza dell’appartenenza e della interdipendenza. Per gli individuali il nemico principale è il legame, qualunque tipo di legame, per i relazionali è invece la solitudine. … La questione della relazionalità è quindi strettamente legata al concetto di libertà. C’è un uomo contemporaneo che prima di tutto vuole vivere ‘libero da’, non ‘libero di’, né ‘libero con’, né tantomeno ‘libero per’” (Documento preparatorio n. 4)”.
La Costituzione Italiana riconosce alla famiglia un ruolo fondamentale; perchè oggi non è più riconosciuto? “Prima di rispondere al ‘perché’ bisogna ricordare che il riconoscimento così solennemente e chiaramente espresso dalla Carta costituzionale è rimasto solo sulla carta; ben pochi provvedimenti, nella storia recente del nostro Paese, hanno oggettivamente e concretamente riconosciuto il valore della famiglia per il bene comune. Anzi, troppo spesso norme, leggi e pratiche amministrative hanno penalizzato la famiglia, l’hanno esposta a gravi rischi, non l’hanno protetta, né tantomeno promossa.
I motivi sono molti, e di varia natura: forse il più grave e decisivo è stata la progressiva riduzione della famiglia a fatto puramente privato, sentimentale e affettivo, senza rilevanza pubblica, senza una esplicita alleanza tra progetto della coppia e società, proprio quell’alleanza che il matrimonio invece presuppone e svela. E infatti sembra che si possa fare famiglia senza matrimonio: senza un atto pubblico, ma affidandosi solo al ‘privato’. Ma questa progressiva privatizzazione alla fine ha generato l’isolamento e la solitudine della famiglia, privata di quella cittadinanza sociale che sola esplicita il mix di diritti e doveri che ogni famiglia ha nei confronti del sociale. Insomma, la società si illude di poter fare a meno della famiglia, e illude anche le persone di poter ‘bastare a se stesse’ nella propria storia di coppia: così, si ritrovano più fragili, e più soli: quindi meno liberi, e più abbandonati”.
Cosa significa che la famiglia è un bene per tutti? “La famiglia è crocevia di alcune relazioni fondative dell’umano, e in particolare è il primo luogo di mediazione tra persona e società: soprattutto attraverso la responsabilità educativa (che infatti la Chiesa italiana ha messo a tema del decennio pastorale in corso), la famiglia custodisce la dignità di ogni essere umano nella propria intimità (privata), ma è anche il primo ed insostituibile spazio di educazione ed inserimento nella società.
E’ il primo e più importante ‘corpo intermedio’, fattore protettivo della persona, e ‘cellula fondamentale della società’. Proprio nel suo ‘stare in mezzo’, la famiglia custodisce e promuove il bene di ogni persona e il bene comune della società. Del resto la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, delle Nazioni Unite, nel 1948, usava, molto laidamente, proprio l’espressione cellula fondamentale della società”.
Quali diritti della famiglia andrebbero riconosciuti sul piano legislativo? “Difficile rispondere sinteticamente a questa domanda: sarebbe utile fare riferimento ai dodici diritti esplicitati dalla Carta dei Diritti della famiglia della Santa Sede, che vanno dalla libertà dell’uomo e della donna di scegliersi e di donarsi fino alla tutela delle famiglie migranti e alla richiesta di politiche familiari organiche e sistematiche. Forse, nel nostro Paese, il primo passo per riconoscere davvero i diritti della famiglia è proprio quello di pretendere che la famiglia sia messa al centro dell’agenda del Paese, tra i motori di sviluppo, uscendo da un modello emergenziale e riparatorio che ha spesso generato povertà e passività.
Il primo diritto, insomma, dovrebbe essere quello di essere ‘riconosciuta’ nella sua identità di famiglia, e sostenuta nella propria autonomia. Le priorità operative, in tema di diritti, poi costituiscono una mappa articolata, qui impossibile da tracciare: qualche urgenza/emergenza si può comunque ricordare, attorno ad alcuni nodi essenziali del vivere familiare e sociale: in primo luogo il tema lavoro, soprattutto per i giovani; in secondo luogo un fisco a misura di famiglia, per sostenere le famiglie che hanno carichi familiari e la loro generatività; in terzo luogo la cura per le persone fragili, in tempi di progressivo arretramento del welfare; da ultimo il sostegno alla responsabilità educativa dei genitori, che si manifesta nella libertà di educazione e nella costruzione di alleanza educative tra genitori, insegnanti e società”.