Come è concepita la Santa Sede da Papa Francesco?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.07.2023 – Andrea Gagliarducci] – Forse il vero problema della Chiesa dopo Papa Francesco non sarà la dottrina, la perdita di una figura carismatica come il Papa, o il governo della Chiesa. Forse il vero problema sarà l’indebolimento della Santa Sede, l’istituzione chiamata a garantire la libertà dei fedeli in tutto il mondo e lo standing internazionale del Papa, e che mai è stata così danneggiata e a rischio come è adesso.

In particolare, due situazioni evidenziano questo pericolo. Il primo, più evidente, è rappresentato dal processo giudiziario in corso in Vaticano. Il processo ruota attorno a tre filoni di indagine, il principale dei quali è l’investimento della Segreteria di Stato in un palazzo di lusso al numero 60 di Sloane Avenue a Londra. Secondo l’accusa, l’investimento è stato effettuato in modo fraudolento e contro gli interessi della Segreteria di Stato. Collegato a questa tendenza, un altro che riguarda la destinazione di alcuni fondi della Segreteria di Stato in Sardegna quando il Sostituto della Segreteria di Stato era l’attuale Cardinale Angelo Becciu, e l’ingaggio da parte della Segreteria di Stato di una sedicente esperta di intelligence, Cecilia Marogna, che avrebbe sottratta per se stessa denaro destinato ad iniziative di mediazione.

Il processo è giunto al momento della conclusione della requisitoria, prevista tra sei giorni. Ma già nei primi tre giorni della requisitoria, da parte del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, l’accusa vaticana, sono diventati evidenti tutti i problemi strutturali del processo.

Diddi ha sottolineato fin dall’inizio che questo non è un processo contro la Segreteria di Stato ma contro funzionari che avrebbero agito male. Ma ogni fase della presentazione è un atto d’accusa al sistema presieduto dalla Segreteria di Stato. Indirettamente viene negata anche l’indipendenza della Segreteria di Stato, indebolita negli ultimi anni. Vengono messe in discussione le strutture finanziarie che, pur con i loro limiti, avevano permesso alla Santa Sede di sopravvivere.

In pratica, qualche presunto comportamento corrotto diventa il pretesto per mettere in discussione un intero sistema vaticano, che si è sempre distinto, tra l’altro, per mantenere due ambiti distinti. Da una parte la Santa Sede; dall’altro lo Stato della Città del Vaticano. E, da un lato, il diritto canonico, che è comunque un punto di riferimento; e dall’altra la direzione dello Stato, che non è moralista ma lavora sui fatti.

Questo processo ha mescolato tutto. Il Papa vi è intervenuto con quattro rescritti, esercitando pienamente le prerogative di Papa-Re, che negli anni erano rimaste un po’ sopite, tanto che Giovanni Paolo II ha affidato il governo dello Stato della Città del Vaticano a una Commissione di cardinali. Il Promotore di Giustizia ha definito i reati in base al diritto canonico, introducendo surrettiziamente il diritto canonico in un procedimento penale vaticano. Il crimine diventa un problema morale piuttosto che criminale. C’è il rischio di una deriva etica nei rapporti con lo Stato, che tra l’altro la Santa Sede ha sempre cercato di evitare.

Il ricorso al diritto canonico dà sostanza ad accuse che altrimenti non potrebbero sussistere. Gli interrogatori dei mesi recenti hanno dimostrato che molte procedure erano legittime, molte decisioni facevano parte delle regole dell’epoca, e molte scelte erano dettate da esigenze che dipendevano dal quadro giuridico, dai contratti firmati e dal rischio di rimanere invischiati nell’arena internazionale. Se però tutto si riferisce all’obbligo morale di un buon padre di famiglia, tutto può eventualmente diventare reato. Ed è probabilmente così che è costruito il caso dell’accusa.

Al di là dei problemi internazionali che questo ha già portato sul piano della credibilità della Santa Sede, come impatterà un processo così gestito sull’influenza della Santa Sede? Come potrà il Papa parlare di giusto processo di fronte ad una situazione del genere? E come può la Santa Sede essere un organo affidabile se nel suo Stato esiste la monocrazia istituzionale?

Queste domande nascono proprio dagli argomenti del processo e ci danno da pensare. Cosa pensa il Papa della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano? Sono solo strumenti personali da utilizzare secondo le necessità o hanno un valore istituzionale che trascende la figura del Papa?

Se sorgono queste domande, è perché alcune altre decisioni del Papa mostrano che, in fondo, Papa Francesco preferisce le iniziative personali a quelle istituzionali. E le recenti missioni del Cardinale Matteo Zuppi come inviato pontificio lo dimostrano.

Il Cardinal Zuppi è stato prima in Ucraina, poi in Russia, poi negli Stati Uniti, e si pensa che andrà anche a Pechino. Con lui c’è sempre stato un funzionario della Segreteria di Stato, ma l’iniziativa parte dal Papa e non è coordinata con la Segreteria di Stato. E Zuppi non ha mancato di portare nelle sue delegazioni esperti di Sant’Egidio, il movimento ecclesiale da cui proviene e che da tempo è noto per le sue iniziative di “diplomazia parallela”.

Papa Francesco ha accolto questa diplomazia parallela e le ha dato dignità. In questo modo, però, viene delegittimato la diplomazia reale, quella che appartiene al Papa e che rappresenta ufficialmente il Papa nel mondo. I Nunzi Apostolici sono gli ambasciatori del Papa e rappresentano la Santa Sede nel mondo, portando la voce del Papa e impegnandosi nel dialogo e nell’ascolto. Ma chi è oggi l’ambasciatore del Papa? Chi ha bisogno di essere ascoltato?

Papa Francesco ha strizzato l’occhio al mondo diplomatico, annunciando la creazione cardinalizia di due Nunzi Apostolici, l’Arcivescovo Christophe Pierre e l’Arcivescovo Emil Tscherrig. Ma le loro berretti rossi premiano il lavoro svolto nella selezione dei vescovi più delle iniziative diplomatiche, e sembra essere un chiaro segno di quello che secondo il Papa dovrebbe essere il primo compito di un Nunzio Apostolico. Il Nunzio Apostolico, quindi, deve essere chiamato soprattutto a un dovere pastorale. Allo stesso tempo, le iniziative diplomatiche critiche non sono affidate all’istituzione della Santa Sede e alla rete dei Nunzi Apostolici, ma ad Inviati Speciali. Possono essere anche Nunzi Apostolici – lo era Gugerotti quando si recò come Inviato del Papa in Bielorussia per risolvere l’impasse sull’esilio dell’Arcivescovo Kondrusiewicz – ma non è questa la considerazione principale.

In entrambi i casi, pur nella diversa portata, il ruolo della Santa Sede appare sfumato. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una sorta di “vaticanizzazione” della Santa Sede operata dal Papa, che governa il suo piccolo territorio e presta poca attenzione alle conseguenze internazionali delle sue scelte.

Siamo all’ultimo capitolo di un’operazione che mira a cambiare profondamente l’istituzione. Ma vale il costo? È questa la fine della Santa Sede?

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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