Papa Francesco e ciò che rimarrà dopo di lui

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.07.2023 – Andrea Gagliarducci] – Dopo una serie di mosse, che sembravano aver messo al sicuro la sua eredità [QUI], sorge la domanda: quale sarà l’eredità di Papa Francesco? Cosa lascerà questo pontificato alla Chiesa universale? Non è una questione da poco, perché riguarda anche il futuro del pontificato stesso. La visione di Papa Francesco sarà portata avanti? Come verrà portata avanti questa visione? E cosa ci sarà di nuovo? Sono tutte questioni complesse, perché si scontrano con difficoltà pratiche, cioè la difficoltà di definire il pontificato di Papa Francesco. Era questo un pontificato di transizione o di costruzione? E, se era di costruzione, cosa ha costruito?

In generale si parla del pontificato di Papa Francesco come di un pontificato che ha rinnovato lo slancio sinodale della Chiesa. Papa Francesco, del resto, ha messo la Chiesa Cattolica in cammino sinodale, ha convocato due sinodi straordinari e due ordinari, e ne celebra uno che dura due anni. La domanda da porsi, però, è cosa si intende per sinodalità.

La parola sinodalità non è mai stata usata durante il Concilio Vaticano II, né lo è stata collegialità, perché ritenuta non molto concreta. Se per sinodalità intendiamo un modo per la Chiesa di accogliere suggerimenti dalle periferie e farli propri, allora questa sinodalità era già presente nella vita della Chiesa. È successo, ad esempio, con le Pontificie Opere Missionarie, che sono nate dai laici e sono diventate pontificie, ad esempio, perché i Papi ne hanno riconosciuto il valore. Se invece per sinodalità intendiamo un confronto sempre aperto, allora è quello che stiamo vivendo con Papa Francesco.

Ma probabilmente anche questa discussione sempre aperta, non rende giustizia al pontificato di Papa Francesco. In questi dieci anni, Papa Francesco ha governato come nessun altro. Prendeva personalmente le decisioni, accelerava e rallentava i cambiamenti quando lo riteneva opportuno, mandava via o in pensione i funzionari che riteneva non dovessero più lavorare in Vaticano, e addirittura ha cambiato il suo segretario almeno quattro volte – anche Gonzalo Aemilius, il segretario dall’Uruguay [QUI e QUI], ha lasciato il suo incarico di segretario del Papa per tornare a Montevideo, secondo recenti notizie. Probabilmente, il tema centrale del pontificato di Papa Francesco riguarda il governo, non tutto il resto. E negli anni, il governo ha visto bruciare lealisti e nuove persone introdotte, sempre con una sola persona al centro: Papa Francesco.

Papa Francesco ha spesso detto che vuole una conversione dei cuori, e le sue ultime mosse e il suo Concistoro sembrano dimostrare che il Papa ha a cuore il processo di selezione di vescovi, prima e soprattutto. Perciò, Papa Francesco vuole che questa nuova mentalità rimanga nella Chiesa, e molte sue nomine lo dimostrano. In Italia, ad esempio, molti nuovi vescovi sono stati creati cardinali. Negli Stati Uniti ha favorito coloro che sono stati suoi stretti alleati nel Sinodo, creando cardinali Cupich, Gregory e McElroy, quasi a riequilibrare le scelte dell’episcopato americano, sicuramente più conservatore.

I nuovi cardinali del Papa hanno un’età media bassa; i nuovi arcivescovi di Madrid, Mechelen-Brussel e Buenos Aires sono circa 60 e hanno quindi almeno 20 anni di vita davanti a loro. Quando il Papa vuole che qualcuno continui a governare anche dopo la fine del pontificato, lo fa vescovo o cardinale. È una tendenza comune, che però si manifesta dopo dieci anni di pontificato. Si tratta di una pletora di nuovi vescovi e cardinali che sarà difficile sostituire con un qualsiasi successore.

Alla fine non possono esserci troppi casi Müller, cioè, di un cardinale che finisce il suo mandato ed è senza un altro lavoro. Papa Francesco, quindi, non ha solo creato nuovi vescovi e cardinali. In qualche modo ha imposto la loro presenza al successore.

Papa Francesco, infatti, ha atteso per un passaggio generazionale prima di prendere decisioni nette. Ha ribaltato la liberalizzazione del rito antico con Traditions custodes, quando era appena uscito dall’ospedale nel 2021, e dopo questo suo ultimo ricovero, ha completato la transizione [QUI]. Qualche tempo fa, una persona vicina a Papa Francesco mi ha detto che il Papa aveva un piano decennale. Vedendo tutte le iniziative prese in questi mesi, mi sembra una profezia vivente. Perché dieci anni? Perché in dieci anni tutti coloro che avrebbero potuto bloccare il suo progetto, o almeno evidenziare le crepe nelle sue riforme, avrebbero lasciato la Curia romana.
Il nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede è stato nominato quasi a sorpresa, con una lunga lettera del Papa che ne spiegava il motivo [QUI e QUI]. Ma probabilmente sarebbe sbagliato pensare, che il Papa non avrebbe scelto Víctor Manuel Fernández come Prefetto, se Benedetto XVI fosse stato ancora in vita o se il dibattito dottrinale fosse stato diverso. Il Papa lo avrebbe comunque scelto, perché la promozione di Fernández ad arcivescovo era stata una delle sue prime decisioni e perché, ormai, nel Dicastero per la Dottrina della Fede erano rimasti ben pochi che avevano lavorato nell’ex Sant’Uffizio – l’Arcivescovo Joseph Augustine Di Noia ha compiuto 80 anni lo scorso 10 luglio, andando definitivamente in pensione.

In fin dei conti, tante questioni sono sul tavolo, ma resta la domanda centrale: cosa ha lasciato Papa Francesco? E forse la sua eredità più incredibile è la sua presenza sui media, la necessità di parlare pubblicamente di cose che in passato sarebbero state tabù, come, ad esempio, lo scandalo degli abusi nella Chiesa, arrivando addirittura ad accusare l’istituzione stessa in una campagna di comunicazione che sembra esaltare il Papa e mettere in una posizione difficile tutto il resto.

Nelle sue accuse di abusi, il Papa si carica di una croce che aveva portato Giovanni Paolo II. Sotto Giovanni Paolo II erano venuti alla luce per la prima volta gli scandali nella Chiesa. Ma sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, nonostante le richieste di scuse, non hanno mai accusato l’istituzione, restando evidente a loro la differenza tra responsabilità individuale e istituzionale, riformando ma mai mettendo in discussione la Chiesa stessa.

Papa Francesco ha inaugurato una nuova stagione: quella di una Chiesa attenta all’opinione pubblica, che è interrogata dall’opinione pubblica, e risponde senza paura di conseguenze interne. Emblematico è il caso degli abusi in Cile, che Papa Francesco ha approfondito solo dopo le proteste ricevute nel Paese nel 2018. Ma anche il rapporto McCarrick, voluto dal Papa dopo le accuse montate dall’opinione pubblica, va in quella direzione.

Per quanto piaccia ai giornali, cedere all’opinione pubblica – quello che il Papa ha definito “l’altare dell’ipocrisia” [QUI] – significa cedere terreno, lasciare l’iniziativa ai media. Eppure, questa rinnovata (e talvolta ingenua) trasparenza è forse l’eredità più significativa di Papa Francesco. Non esiste un tornare indietro da questo occasionalmente complicato rapporto con i media. Una volta aperta la porta, la porta rimane aperta. Questa difficoltà mette in crisi l’istituzione della Chiesa stessa. Molte accuse di abuso risultano non essere casi di abuso. Esponendo le mere accuse significa creare un precedente che sarà difficile da gestire.

Quindi, i nuovi vescovi e cardinali, e il rapporto con l’opinione pubblica, sono probabilmente le due più grandi eredità di Papa Francesco. Questo prossimo Concistoro – che ne copre due, perché sostituisce anche i cardinali che compiranno 80 anni nel 2024 – sottolinea l’approccio del Papa. Cambia l’episcopato, ma non necessariamente cambiano le strutture. Piuttosto, le strutture restano sospese. Abbiamo dicasteri e commissioni, e il modo in cui sono definiti oggi richiama formule che in passato si chiamavano incarichi pro-tempore. Sono così. Tutto è pro-tempore perché tutto è centrato sul Papa.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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