Il DDF del Besuqueiro sarà dogmatico e inflessibile con gli “indietristi”, con chi resisterà o non si adeguerà ai nuovi “processi” e “prassi”

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.07.2023 – Vik van Brantegem] – Ritorniamo sulla nomina dell’Arcivescovo Victor Manuel (Tucho) Fernández a Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede [DDF] con cinque contributi:
- Con Fernández nasce il Dicastero contro la Dottrina della Fede di Stefano Fontana su La Nuova Bussola Quotidiana, 3 luglio 2023
- Il Papa, Formicola e il Besuqueiro di Giovanni Formicola su Stilum Curiae, 4 luglio 2023
- Il Cardinal Müller reagisce alla nuova nomina di Papa Francesco del Capo del Dicastero per la Dottrina della Fede di Michael Haynes su LifeSiteNews, 4 luglio 2023
- Papa Francesco e i «metodi immorali» della Congregazione per la Dottrina della Fede di Leonardo Lungaresi, 2 luglio 2023
- Su Francesco e sui metodi immorali usati in altri tempi dal Sant’Uffizio di Luigi Accattoli, 3 luglio 2023
Scrive Stefano Fontana: «Questa lettera [del Papa che accompagna la nomina di Mons. Fernández] è sufficiente a preoccupare grandemente circa il futuro di questo Dicastero. Sarà probabilmente una Congregazione per la Dottrina della Fede poco interessata alla Dottrina, o addirittura ad essa avversa. Intenderà il proprio ruolo come promozione del dialogo teologico ma senza più esercitare una forma di controllo e garanzia dottrinali. Si concepirà come il motore di un processo più che il Dicastero che garantisce la meta del percorso. Sarà pluralista e accoglierà tutte le filosofie e tutte le teologie. Sarà tutto questo e forse altro ancora. Non si pensi però che non sarà più dogmatica o che non sarà inflessibile. Lo sarà, ma di un dogmatismo senza verità e incentrato sulla prassi. Verrà condannato e perseguitato chi non si adeguerà alle nuove pratiche. E anche solo “resistere” diventerà capo di accusa».
Nel secondo contributo si tratta delle riflessioni sulla recente nomina di Mons. Fernández a Capo della DDF, che l’Avv. Giovanni Formicola ha inviato a un piccolo gruppo di amici, e che Marco Tosatti ha ritenuto opportuno portare all’attenzione dei lettori del suo blog.
Nell’intervista pubblicata da LifeSiteNews, il Cardinal Müller – che in passato aveva già definito “eretiche” alcune dichiarazioni dell’Arcivescovo Fernández – ribadisce, che «la Chiesa del Dio Trino non ha bisogno di nuove fondamenta o di ammodernamenti, come se fosse diventata una casa fatiscente e come se uomini deboli potessero superare il capomastro divino. È già storicamente fondata in Cristo una volta per tutte e perfettamente concepita nella sua dottrina, costituzione e liturgia nel piano di salvezza di Dio». «L’obbedienza religiosa che tutti i cattolici devono all’episcopato universale, e in particolare al Papa, si riferisce solo alle verità soprannaturali della dottrina della fede e della morale (comprese le verità naturali dell’ontologia, dell’epistemologia e dell’etica, che sono i presupposti della conoscibilità della Parola di Dio nella nostra mente umana).
Il Papa e i vescovi non possono pretendere obbedienza per le loro opinioni private, e certamente non per insegnamenti e azioni che contraddirebbero la rivelazione e la legge morale naturale».
Nelle loro riflessioni sulla lettera indirizzato dal Papa al neo nominato Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, in particolare sulla frase in essa contenuta che ha destato più scalpore (“Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali”), Lungaresi e Accattoli sostengono due tesi opposti.
Lungaresi argomenta che «le “altre epoche” in cui secondo il Papa la CDF faceva cose immorali non sono quelle di un remoto passato, di una fase storica della Chiesa ormai finita da un pezzo (…). No, il Papa sta evidentemente parlando della “Chiesa di ieri”, non di quella di cinque secoli fa. Per dirla tutta: non della “Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione” di Paolo III e nemmeno della “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” di San Pio X, ma della “Congregazione per la Dottrina della Fede” di San Paolo VI, di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ancor più brutalmente: non sta parlando dei tempi del Cardinal Carafa (XVI secolo), ma del Cardinale Ratzinger. Se le cose stanno così, a rendere ancor più “problematica” per un Cattolico l’accusa di immoralità rivolta alla CDF sta il fatto che essa ha sempre agito in obbedienza e comunque con l’assenso dei pontefici regnanti: San Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Di conseguenza diventerebbe impossibile sottrarre quei santi pontefici al rimprovero di essere stati come minimo conniventi con i “metodi immorali” della CDF. Solo io resto senza parole di fronte a una prospettiva del genere?».
Al contrario, Accattoli ritiene che il Papa riferisce a tempi molto lontani e conclude: «A Francesco con interessa tanto la continuità formale con la tradizione del magistero papale quanto la chiarezza e trasparenza evangelica dell’attuale predicazione della Chiesa: di questo spostamento dell’attenzione dovremmo essergli grati. Io gli sono grato».
A margine della questione è degno di nota anche il fatto che lo storico delle religioni, Massimo Faggioli, professore presso il Dipartimento di Teologia e Studi Religiosi dell’Università di Villanova a Philadelphia, che ha lavorato presso ha lavorato presso l’Istituto per le scienze religiose (poi Fondazione Giovanni XXIII) di Bologna, diretto da Giuseppe Alberigo, dal 1996 al 2008, quindi senza ombri di dubbi non etichettabile come anti-bergogliano, ha scritto oggi in un post su Twitter: «Io ci andrei un po’ cauto col dire o insinuare che finora al Dicastero per la dottrina della fede hanno agito in modo anti-evangelico. Il populismo ecclesiale non è meglio degli altri populismi».
E visto che il Papa ha messo Mons. Fernández a capo del Dicastero che ha fra i suoi compiti proprio quello di vigilare sugli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica Romana e di far applicare la politica di tolleranza zero assoluto per gli abusi sessuali del clero, non è senza importanza l’ombra che è calato su Fernández, con l’accusa che nel 2019 avrebbe insabbiato il caso di un prete abusatore di ragazzini nella sua diocesi, che quando lo Stato è intervenuto, si è suicidato. Sulla base dei dati di Bishop Accountability, l’organizzazione statunitense che da vent’anni monitora e documento gli abusi sessuali nella Chiesa, ha sollevato gravi accuse contro il nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il sito tedesco Kath.net titola: «Francesco ha fatto una scelta “confusa e inquietante”!» [QUI]. Bishop Accountability [QUI] è la più grande biblioteca pubblica al mondo di informazioni sulla crisi degli abusi sessuali del clero cattolico. Si tratta di una raccolta digitale di documenti, testimonianze di sopravvissuti, rapporti investigativi e copertura mediatica. Fa anche ricerche di base sulle storie di abusi e sulla gestione della Chiesa Cattolica Romana e mantiene database di persone accusate negli Stati Uniti, Argentina, Cile e Irlanda, con altri database in fase di sviluppo. Marco Tosatti su Stilum Curiae ha pubblicato nella sua traduzione italiana dall’inglese un articolo con le accuse di Bishop Accountability, alla nomina di Fernández a Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede [QUI].
«L’Arcivescovo Fernández rivela che all’inizio aveva detto no all’incarico perché impreparato sul tema degli abusi. Ma il Papa lo ha rassicurato: se ne occupa molto bene una Commissione di specialisti» (Avvenire, 4 luglio 2023).

Con Fernández nasce il Dicastero contro la Dottrina della Fede
di Stefano Fontana
La Nuova Bussola Quotidiana, 3 luglio 2023
Il nuovo Prefetto della Dottrina della Fede è la copia carbone di Francesco. E nella lettera di nomina, il Dicastero chiamato a dire una parola definitiva diventa una fonte di “processi” e la porta per promuovere la benedizione di coppie omo, diaconato femminile, superamento del celibato sacerdotale.
Francesco ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede l’Arcivescovo Victor Manuel Fernández, da sempre suo fedele compagno e che lui stesso ha via via promosso in Argentina ad incarichi significativi, come il rettorato all’Università cattolica e l’ordinariato a La Plata in una frettolosa sostituzione del Vescovo Héctor Aguer, colpevole di aver dissentito con il Papa su Amoris laetitia.
Essendo Fernández la copia carbone di Francesco (qualcuno sospetta addirittura anche il contrario), essendo egli tra gli autori materiali delle sue encicliche ed esortazioni, ed essendosi proiettato ormai da tempo sulla linea avanguardista di riforma della Chiesa, Fernández era l’“innominabile” per quanti sono attualmente preoccupati del processo in atto guidato da Santa Marta, soprattutto in prossimità del Sinodo sulla sinodalità.
Questo ora potrà svilupparsi nella linea dell’accoglienza dei temi caldi – benedizione coppie omo, diaconato femminile, superamento del celibato sacerdotale – senza più un controllo da parte di Roma, anzi con la sua copertura e connivenza. Per questo, la nomina ha sorpreso molti che vi vedono un atto di arroganza, un disprezzo per i tanti che nella Chiesa sono giustamente preoccupati per le attuali spinte incontrollate in avanti, una accelerazione senza precedenti e senza esclusione di colpi nel tentativo di arrivare al rendiconto finale. Una nomina destinata ad accentuare la conflittualità nella Chiesa, obbligando la controparte ad una più dura resistenza.
Se preoccupa molto il nome della persona nominata, ancora di più preoccupa la lettera – anche questa un fatto sorprendente – che il Papa gli ha indirizzato, scritta con lo stesso stile della lettera di risposta del nuovo prefetto: il linguaggio adoperato è perfettamente uguale, al punto che qualche malizioso ha ipotizzato che a scrivere entrambe sia stato Fernández, Ghost Writer anche in questa occasione.
Si tratta di una lettera dai contenuti dirompenti nei confronti di quanto fino ad ora è stata ritenuta la finalità specifica della Congregazione per la Dottrina della Fede e, addirittura, di quanto si è ritenuto essere la Dottrina della Fede. Al punto che, dopo averla letta, è lecito porsi con apprensione la questione di cosa ne sarà di questo centrale Dicastero della Curia romana, tenuto conto che se cambia questa Congregazione vuol dire che cambia la Chiesa intera.
La Congregazione per la Dottrina della Fede non è un centro culturale, non anima la ricerca teologica, non suscita dibattiti e non avvia processi di confronto. Si deve dire, piuttosto, il contrario. La Congregazione dice l’ultima parola e chiude, su quel punto, la ricerca, il dibattito e il processo. Nella istruzione Donum veritatis sulla funzione ecclesiale del teologo della stessa Congregazione guidata allora da Ratzinger, viene ben spiegato (n. 14) come il magistero abbia un carattere “definitivo” per tutelare “il popolo di Dio da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica”.
La Congregazione è a servizio di questa esigenza di definitività. Essa interviene (interveniva?…) per precisare la verità quando nascano dubbi pericolosi o quando essa sia addirittura negata, lo fa in modo affermativo ma, indirettamente, anche negativo di condanna dell’errore. Nella sua lettera a Fernández, invece, Francesco dice che essa deve incoraggiare il “carisma dei teologi e il loro impegno per la ricerca teologica” purché “non si accontentino di una teologia da tavolo”, di una “logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.
Qui viene smontato il senso del termine “dottrina” e quindi cambia il compito della Congregazione. Con una immagine confusa come quella della “teologia da tavolo” e con la forzatura strumentale della “logica fredda e dura” si demolisce la visione corretta e tradizionale della dottrina, intesa ora come ricerca in un contesto processuale. Il nuovo prefetto, quindi, dovrà vegliare non sulla creatività non sempre equilibrata dei teologici per ricondurli alla loro genuina vocazione ecclesiale, ma sulle valutazioni della Congregazione, che non dovranno essere più dottrinali (fredde e dure nel linguaggio bergogliano), ma possibiliste e aperte.
È facile immaginare cosa questo voglia dire per i temi caldi oggi sul tappeto e che con il Sinodo diventeranno caldissimi.
Questo lavoro di animazione, secondo la lettera di Francesco, dovrà essere fatto in un clima di pluralismo sia filosofico che teologico. «La Chiesa “ha bisogno di crescere nell’interpretazione della parola rivelata e nella comprensione della verità”, senza che ciò implichi l’imposizione di un solo modo di esprimerla. Perché “le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere anche la Chiesa”». Spariscono i concetti di Rivelazione, di Deposito della fede e di Dottrina. Rotto anche il rapporto tra ragione e fede che rende impossibile la coesistenza della fede rivelata con tutte le filosofie e tutte le teologie, che l’amore non può armonizzare se non passando attraverso la loro verità e non contro di essa. L’amore rispetta il principio di non contraddizione.
La lettera contiene poi anche un colpo basso nei confronti della conduzione del Dicastero durante i pontificati precedenti: “Il Dipartimento che presiederai in altri tempi è arrivato ad usare metodi immorali. Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica si perseguitavano eventuali errori dottrinali. Quello che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso”. L’astuzia della frase “in altri tempi” non riesce a nascondere che la critica viene rivolta al recente passato e soprattutto alla lunga era di Ratzinger a capo della Dottrina della fede.
Anche lasciando stare la persona nominata, questa lettera è sufficiente a preoccupare grandemente circa il futuro di questo Dicastero. Sarà probabilmente una Congregazione per la Dottrina della Fede poco interessata alla Dottrina, o addirittura ad essa avversa. Intenderà il proprio ruolo come promozione del dialogo teologico ma senza più esercitare una forma di controllo e garanzia dottrinali. Si concepirà come il motore di un processo più che il Dicastero che garantisce la meta del percorso. Sarà pluralista e accoglierà tutte le filosofie e tutte le teologie. Sarà tutto questo e forse altro ancora. Non si pensi però che non sarà più dogmatica o che non sarà inflessibile. Lo sarà, ma di un dogmatismo senza verità e incentrato sulla prassi. Verrà condannato e perseguitato chi non si adeguerà alle nuove pratiche. E anche solo “resistere” diventerà capo di accusa.
Il Papa, Formicola e il Besuqueiro
di Giovanni Formicola
Stilum Curiae, 4 luglio 2023
Carissimi,
la nomina a capo di quella che fu la CDF del besuqueiro Fernandez – lo sbaciucchiatore, cd perché autore dell’opera capitale cripto (ma non troppo cripto) erotica Sáname con tu boca. El arte de besar (però curiosamente espunta dal suo curriculum nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede) – dovrebbe finalmente persuadere coloro che, per negare la realtà della Chiesa di oggi, ancora si aggrappano alle feline (le ragnatele: è un modo di dire napoletano) di alcune frasette pontificie senza pathos (a cfr. per esempio con quelle rivolte ai Movimenti Popolari, la sentina del sovversivismo mondiale) e soprattutto senza fatti, anzi con fatti di segno opposto, o locuzioni vuote di significato e buone per tutte le stagioni, come colonizzazioni ideologiche. Non vi racconto chi sia Fernández, ne trovate a iosa di descrizioni, a cominciare [QUI].
Osservo solo che al di là del giudizio storico-morale sui “metodi”, che lascia il tempo che trova (è a mio avviso ozioso cercare di capire con quale epoca e momento della CDF, se non con tutti, ce l’avesse), quel che conta è che il neo-prefetto scrive (è evidente che lui scrive, e il Papa firma) che è immorale censurare l’errore da una cattedra dottrinale, salvo la doverosa e implacabile censura (è un classico) per quelli che ancora sostengono che quella cattedra e quella funzione debbano sussistere. Insomma, quell’immorale attribuito ai metodi della CDF, che vi segnalavo ieri, serve per la Rivoluzione ecclesiale in atto, legittimatrice, di quel che “in altri tempi” sarebbe stato condannato e sarebbe anche oggi da condannare, ma soprattutto del nuovo stile che demolisce “pastoralmente” la dottrina, sia della fede che, specialmente, morale. È stato ripristinato, ad malum, quello ch’era stato ad [parziale] bonum, il “consolato” GP II-Ratzinger. Immorale è quindi intesa l’idea che ci siano errori da condannare e proscrivere, che ci sia una cattedra di dottrina dalla quale fulminare chi e quanto sia contrario alla verità della fede e della morale. Naturalmente, come accennato, salvo chi invece pensi che tale cattedra debba esistere, e che l’errore debba essere condannato insieme con chi se ne fa portatore: non che non ci sia più dottrina, ma c’è la capovolta dottrina dell’anti-dottrina; non che non ci siano più eretici da scomunicare, ma questi ora sono gli “indietristi”, che credono ancora alla sana dottrina. È la liquefazione della verità e della stessa Chiesa. È un grande mistero teologico, mysterium iniquitatis, che avanguardia dei nemici della Chiesa, della sua dottrina, della sua identità, della sua storia e della sua umana organizzazione (ma anche dell’ordine civile) sia oggi proprio il Papa. Grande mistero, ma innegabile realtà. Quanto ai teorici della papolatria, non capiranno, e non perché stolti, ma perché immersi nello stolto positivismo magisteriale: è vero quel che dice il Papa, e non lo dice il Papa perché è vero. E gli altri applaudono perché sono arrivati finalmente, dopo secoli di lavorìo.
Ma il diavolo fa solo le pentole, vedrete.
Vi lascio con una teorizzazione del compito della CDF, da un’intervista del Card. Muller, quand’era ancora Prefetto, a Die Zeit del dicembre 2015 [QUI] ripresa da La Stampa: “Eretico nella definizione teologica è un cattolico che nega ostinatamente una verità rivelata e presentata dalla Chiesa. Cosa completamente diversa è quando un insegnamento della fede ufficialmente presentato viene espresso forse in modo infelice, fuorviante o vago. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla parola di Dio, ma la serve”. Non ci sarà chi possa e voglia “strutturare teologicamente” (sempre Müller, in riferimento appunto alla missione della CDF) il magistero, ma questo sarà viepiù, e senza ostacoli di sorta, anzi, con l’avallo dell’autorità di verifica e controllo nella sua formazione, de-strutturato, affinché sia pienamente “infelice, fuorviante o vago”. Papa Francesco s’è messo al riparo, anzi, s’è dato un convalidatore/facilitatore a lui perfettamente solidale e consonante.
Ma no pasaràn: i coperchi li fa Qualcun altro e noi Glielo chiediamo senza sosta.
Salute a voi
in J. et M.
Giovanni
Il Cardinal Müller reagisce alla nuova nomina di Papa Francesco del Capo del Dicastero per la Dottrina della Fede
di Michael Haynes
LifeSiteNews, 4 luglio 2023
(Traduzione italiana dall’inglese a cura di Sabina Paciolla [QUI])
Michael Haynes: Eminenza, lei ha già definito “eretiche” alcune dichiarazioni dell’Arcivescovo Fernández. Che pericolo rappresenta ora come capo del DDF, soprattutto se si considera che ha scritto e promosso Amoris laetitia per aprire la Comunione ai divorziati e ai “risposati”?
Cardinale Gerhard Müller: La decisione su chi diventerà Prefetto della principale congregazione (o dicastero) che assiste direttamente il Romano Pontefice nel suo magistero universale spetta solo al Santo Padre. Egli deve anche risponderne in coscienza davanti a Cristo, Signore e Capo della sua Chiesa. Ciò non esclude la preoccupazione di molti vescovi, sacerdoti e fedeli in tutto il mondo. Essi hanno il diritto di esprimere liberamente le loro preoccupazioni (Lumen gentium 37).
L’opinione, da me allora criticata, che qualsiasi diocesi potesse diventare la sede del successore di Pietro, è già stata direttamente qualificata dai Padri del Vaticano I come una contraddizione eretica alla fede rivelata nel 2° canone della Costituzione Pastor aeternus (Denzinger-Hünermann 3058). Il concetto che “il Romano Pontefice ha piena, suprema e universale potestà sulla Chiesa” (Lumen gentium 22), cioè la plenitudo potestatis, non ha nulla a che vedere con il comando illimitato di potentati secolari che fanno riferimento a un potere superiore.
Anche la Chiesa del Dio Trino non ha bisogno di nuove fondamenta o di ammodernamenti, come se fosse diventata una casa fatiscente e come se uomini deboli potessero superare il capomastro divino. È già storicamente fondata in Cristo una volta per tutte e perfettamente concepita nella sua dottrina, costituzione e liturgia nel piano di salvezza di Dio.
Nello Spirito Santo, serve continuamente gli uomini come sacramento della salvezza del mondo. Il suo insegnamento non è un programma da migliorare e aggiornare da parte degli uomini, ma la testimonianza fedele e completa della rivelazione escatologica di Dio nel suo Figlio incarnato “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Il compito del dicastero, al servizio del magistero papale, è quello di mostrare come la dottrina della fede sia fondata biblicamente, come si sia sviluppata nella storia del dogma e come il suo contenuto sia espresso in modo autorevole dal magistero. L’obbedienza religiosa che tutti i cattolici devono all’episcopato universale, e in particolare al Papa, si riferisce solo alle verità soprannaturali della dottrina della fede e della morale (comprese le verità naturali dell’ontologia, dell’epistemologia e dell’etica, che sono i presupposti della conoscibilità della Parola di Dio nella nostra mente umana).
Il Papa e i vescovi non possono pretendere obbedienza per le loro opinioni private, e certamente non per insegnamenti e azioni che contraddirebbero la rivelazione e la legge morale naturale. Questo fu dichiarato già nel 1875 dai vescovi tedeschi contro l’errata interpretazione degli insegnamenti del Vaticano I da parte del Cancelliere tedesco Bismarck. Papa Pio IX era espressamente d’accordo (Denzinger-Hünermann 3115; 3117).
Il Papa e i vescovi sono vincolati alla Sacra Scrittura e alla Tradizione apostolica e non sono affatto fonti di una rivelazione supplementare o di una rivelazione che si suppone debba essere adattata allo stato attuale della scienza.
Il Romano Pontefice e i vescovi, in considerazione del loro ufficio e dell’importanza della questione, si adoperano con diligenza per indagare adeguatamente su tale rivelazione e per esprimere adeguatamente il suo contenuto; ma una nuova rivelazione pubblica non la accettano come appartenente al deposito divino della fede (divinum depositum fidei) (Lumen Gentium 25).
Haynes: L’Arcivescovo Fernández ha anche sostenuto che i rapporti sessuali tra coppie conviventi non sono sempre peccaminosi. Quale pericolo rappresenta per lui una tale posizione all’interno del DDF?
Cardinal Müller: Invocando la volontà originaria del Creatore, Gesù stesso ha definito il divorzio e il “risposarsi” come adulterio nelle discussioni con i farisei dal cuore duro, che facevano leva sulla realtà della vita dei loro contemporanei e sull’incapacità di adempiere ai comandamenti di Dio (Mt 19,9).
Ogni peccato grave ci esclude dal regno di Dio finché non viene pentito e perdonato (1Cor 6,10). La misericordia di Dio consiste nel riconciliare a sé il peccatore pentito attraverso Gesù Cristo. In nessun modo possiamo giustificarci in riferimento alla nostra fragilità, per persistere nel peccato, cioè in fatale contraddizione con la volontà santa e santificante di Dio.
Ben diverso è il trattamento pastoralmente sensibile delle molte persone il cui matrimonio e la cui famiglia sono stati danneggiati o spezzati per colpa propria o di altri. Tuttavia, la Chiesa non ha l’autorità di relativizzare le verità rivelate sull’unità del matrimonio (monogamia), sulla sua indissolubilità e sulla sua fecondità (accettazione dei figli come dono di Dio). Una buona pastorale si basa su una buona dogmatica, perché solo un buon albero con radici sane produce anche buoni frutti.
Haynes: L’Arcivescovo Fernandez ha dichiarato che “in molte questioni sono molto più progressista del Papa”. Come ex Prefetto della CDF, quale consiglio darebbe all’Arcivescovo Fernandez affinché possa proteggere con sicurezza le dottrine della fede?
Cardinal Müller: In America Latina la Chiesa ha perso metà dei suoi membri. Nella Germania sinodale, più di 500.000 cattolici hanno rinunciato pubblicamente alla loro comunione con la Chiesa solo nel 2022. Ovunque, i seminari sono vuoti, i monasteri chiudono e il processo di scristianizzazione delle Americhe e dell’Europa è guidato in modo sofisticato e violento da “élite” anticlericali.
Solo un pazzo può parlare di una primavera della Chiesa e di una nuova Pentecoste. Le lodi dei media mainstream per i riformatori progressisti non si sono ancora tradotte in una svolta delle persone verso la fede in Gesù Cristo. Perché è solo nel Figlio del Dio vivente che possono riporre la loro speranza di vivere e di morire.
Pensare ancora alle vecchie categorie teorico-culturali di “progressisti/liberali e conservatori”, o classificare i credenti sulla scala politica da “destra a sinistra”, è già penalmente ingenuo.
Ciò che conta non è dove ci collochiamo nello spettro ideologico, ma se “rendiamo al Dio rivelato in Cristo l’”obbedienza della fede” e acconsentiamo volentieri alla sua rivelazione”. Non ci orientiamo agli uomini e alle loro ideologie, ma al Figlio di Dio, che solo può dire di sé: “Io sono la via, la verità e la vita”. (Gv 14,6).
Non è certo che il mio consiglio sia desiderato dai destinatari in questione. Per quanto riguarda la dottrina della Chiesa sulla fede vera e salvifica, e ciò che il prefetto e il suo dicastero sono obbligati a fare alla luce del magistero universale del Romano Pontefice, preferiamo lasciare che siano i Padri del Vaticano II a dirlo: “Per compiere questo atto di fede, la grazia di Dio e l’aiuto interiore dello Spirito Santo devono precedere e assistere, muovendo il cuore e rivolgendolo a Dio, aprendo gli occhi della mente e dando ‘gioia e facilità a tutti nell’assentire alla verità e nel crederla’”. Per una comprensione sempre più profonda della rivelazione, lo stesso Spirito Santo porta costantemente a compimento la fede con i suoi doni” (Dei verbum 5).
Papa Francesco e i «metodi immorali» della Congregazione per la Dottrina della Fede
di Leonardo Lungaresi
2 luglio 2023
(…) Non è una prassi abituale: questa lettera, indirizzata al neoeletto e per conoscenza a tutti noi, è dunque un documento importante, che merita un’attenzione particolare. Si tratta infatti di un atto ufficiale, che il Papa ha specificamente voluto compiere per spiegare il senso che ha inteso dare alla scelta di Mons. Fernández ed esplicitare la missione che affida al nuovo Prefetto. Nulla di ciò che contiene può dunque essere considerato alla stregua di un obiter dictum e tantomeno come un’espressione “dal sen fuggita” nel corso di una conversazione, come si potrebbe sostenere, ad esempio, per le tante interviste che il Papa ha concesso in questi ultimi tempi.
Per questo motivo ritengo doveroso, per un semplice fedele come me, riflettere sull’affermazione che si trova quasi in apertura della lettera, al secondo capoverso: «El Dicasterio que presidirás en otras épocas llegó a utilizar métodos inmorales». Se traduco bene: «Il Dicastero che presiederai in altre epoche è arrivato ad usare metodi immorali». Mi sembra una frase grave e sconcertante. L’accusa di immoralità, lanciata da un Papa ad un organo supremo della Santa Sede, a mia conoscenza non ha precedenti.
Diventa perciò assolutamente necessario anzitutto chiarire a chi e a che cosa si riferisce Papa Francesco. Il che cosa è forse, almeno in parte, spiegato nella frase immediatamente successiva: «Fueron tiempos donde más que promover el saber teológico se perseguían posibles errores doctrinales». Cioè, sempre se capisco bene: «Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali». Questa affermazione mi pare molto problematica: non è facile comprendere perché mai il compito di difendere l’ortodossia della dottrina della Chiesa, da sempre affidato alla Congregazione per la Dottrina della Fede, debba dare adito ad accuse di immoralità, e ci si potrebbe anche chiedere se una visione in cui la promozione della conoscenza teologica spetta in prima battuta a un organo del governo centrale della Chiesa piuttosto che alla libera ricerca dei teologi non sia, in definitiva, ben più verticistica di quella in cui all’autorità gerarchica è riservata piuttosto una funzione di “sorveglianza” (“episcopale” appunto) nei riguardi di tale lavoro, al fine di mettere in guardia i fedeli contro errori dottrinali, che non sono solo astrattamente “possibili” ma di fatto si sono verificati molte volte nella storia della chiesa. Ma lasciamo stare: da semplice laico non mi considero certo all’altezza di poter affrontare argomenti così delicati e complessi.
Più urgente per me è capire di chi sta parlando il Papa quando parla di «metodi immorali». Se ci si lascia distrarre dalla espressione temporale «en otras épocas», così vaga da significare tutto e nulla, si potrebbe pensare che è impossibile rispondere a tale domanda. L’accusa perciò resterebbe grave e sconcertante, ma finirebbe per avere la rilevanza di una “denuncia contro ignoti”. Si può temere, purtroppo, che quel finto complemento di tempo sia stato inserito a bella posta, per dire e non dire. Che sia un’astuzia, in altre parole. Il messaggio sarebbe più o meno questo: “Alla Congregazione per la Dottrina della Fede usavano metodi immorali”. “Ma quando? E chi è stato?”. “Un tempo. E non si sa chi”.
Però la terza frase di quel terribile paragrafo mi sembra che chiarisca a sufficienza il pensiero del Papa. Egli scrive infatti al nuovo Prefetto: «Lo que espero de vos es sin duda algo muy diferente». Che in italiano si traduce: «Quello che mi aspetto da voi è sicuramente qualcosa di molto diverso». Ora, non è chi non veda che una frase del genere ha senso soltanto in relazione ad un passato recente. Di conseguenza, le “altre epoche” in cui secondo il Papa la CDF faceva cose immorali non sono quelle di un remoto passato, di una fase storica della Chiesa ormai finita da un pezzo, e così lontana dal nostro mondo e dalla nostra mentalità per cui i termini delle questioni si ponevano allora in modo del tutto diverso da come si fa oggi, eccetera eccetera … (ammesso e non concesso che anche in questo caso l’accusa di immoralità sia giustificata). No, il Papa sta evidentemente parlando della “Chiesa di ieri”, non di quella di cinque secoli fa. Per dirla tutta: non della “Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione” di Paolo III e nemmeno della “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio” di San Pio X, ma della “Congregazione per la Dottrina della Fede” di San Paolo VI, di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ancor più brutalmente: non sta parlando dei tempi del Cardinal Carafa (XVI secolo), ma del Cardinale Ratzinger. Se le cose stanno così, a rendere ancor più “problematica” per un Cattolico l’accusa di immoralità rivolta alla CDF sta il fatto che essa ha sempre agito in obbedienza e comunque con l’assenso dei pontefici regnanti: San Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Di conseguenza diventerebbe impossibile sottrarre quei santi pontefici al rimprovero di essere stati come minimo conniventi con i «metodi immorali» della CDF. Solo io resto senza parole di fronte a una prospettiva del genere?
Tutto ciò è per me, come semplice fedele Cattolico, fonte di un enorme imbarazzo, per non dire di scandalo, ma francamente non mi pare che l’affermazione del Papa possa essere intesa in altro modo. La comunicazione ha le sue regole e neanche un Papa può ignorarle. Provo a spiegarmi ancora meglio con un esempio. Poniamo che il rettore di una scuola, presentando ai docenti e agli alunni un nuovo insegnante che ha appena nominato, dica: «Un tempo in questa scuola si usavano metodi violenti. Da lei mi aspetto sicuramente qualcosa di molto diverso». Chi mai potrebbe pensare che quel rettore si riferisca, che ne so, ai tempi degli antichi Romani e al plagosus Orbilius di oraziana memoria? Tutti capirebbero che intende alludere al predecessore o ai predecessori immediati del nuovo docente. Altrimenti la sua frase sarebbe priva di senso, quanto lo sarebbe oggi dichiarare di aspettarsi che il nuovo prefetto del dicastero vaticano non scriva con la penna d’oca, non faccia il viaggio dall’Argentina a Roma su un veliero e non si rechi al lavoro in carrozza.
Su Francesco e sui metodi immorali usati in altri tempi dal Sant’Uffizio
di Luigi Accattoli
3 luglio 2023
“Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali”: così scrive Francesco nella lettera al nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicata sabato 1° luglio. I metodi immorali hanno provocato tempesta e magari l’autore della lettera quella tempesta l’aveva messa nel conto. Provo a interpretare le parole del Papa venuto quasi dalla fine del mondo: a quali tempi e a quali metodi facesse riferimento. Detto in breve: a tempi lontani e a metodi per i quali nel Mea culpa giubilare dell’anno duemila fu chiesto perdono qualificandoli come “non evangelici, “di intolleranza”, “di coazione”.
Già Ratzinger e Wojtyła. Nella Giornata del perdono del 12 marzo 2000 il papa polacco pronunciò sette invocazioni di perdono, che comportavano una revisione del giudizio storico sul comportamento dei cristiani cattolici riguardo alla lotta all’eresia, alle divisioni tra Chiese, alla persecuzione degli ebrei, alla pace e ai diritti dei popoli, al maschilismo e al razzismo, ai diritti fondamentali della persona. La seconda di quelle richieste era intitolata “Confessione delle colpe nel servizio della verità” e l’invitatorio che l’introduceva fu letto dal cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa, in nome della fede e della morale, hanno talora fatto ricorso a metodi non evangelici nel pur doveroso impegno di difesa della verità, sappia imitare il Signore Gesù, mite e umile di cuore.
E questa fu l’orazione pronunciata da Giovanni Paolo II: Signore, Dio di tutti gli uomini, in certe epoche della storia i cristiani hanno talvolta accondisceso a metodi di intolleranza e non hanno seguito il grande comandamento dell’amore, deturpando così il volto della Chiesa, tua sposa. Abbi misericordia dei tuoi figli peccatori e accogli il nostro proposito di cercare e promuovere la verità nella dolcezza della carità, ben sapendo che la verità non si impone che in virtù della stessa verità. Per Cristo nostro Signore.
Sodano su Giordano Bruno. Lo stesso linguaggio era stato usato dal cardinale Angelo Sodano segretario di Stato in una lettera inviata il 17 febbraio 2000 a un convegno della “Facoltà teologica dell’Italia meridionale” a 400 anni dal rogo a cui il Sant’Uffizio aveva condannato Giordano Bruno: “I membri del Tribunale dell’Inquisizione lo processarono con i metodi di coazione allora comuni, pronunciando un verdetto che, in conformità al diritto dell’epoca, fu inevitabilmente foriero di una morte atroce”. Conclusione del cardinale, che parla a nome del Papa: a quei metodi [carcere duro e tortura] e a quella morte [bruciato vivo], “triste episodio della storia cristiana moderna”, oggi la Chiesa guarda “con profondo rammarico”.
Ratzinger su Giordano Bruno. Il cardinale Ratzinger il 24 settembre 1997, in risposta a domande dei giornalisti in occasione di un intervento pubblico a Bologna, così aveva risposto a una domanda su Giordano Bruno e sugli altri eretici che la Chiesa ha mandato al rogo nei secoli dell’Inquisizione: “Penso che questa è una colpa che ci deve far pensare e ci deve guidare al pentimento. Non so se sono la persona giusta per chiedere perdono, ma sono convinto che dobbiamo essere sempre coscienti della tentazione della Chiesa, in quanto istituzione, di trasfomarsi in uno Stato che perseguita i suoi nemici. La Chiesa deve essere sempre tollerante. Chiediamo al Signore perdono per questi fatti del passato e perché non ricadiamo più in questi errori. Che il Signore ci faccia comprendere che la Chiesa non deve fare martiri ma essere Chiesa di martiri”.
Mia conclusione. Metodi non evangelici, metodi di intolleranza, metodi di coazione: così parlano i testi del mea culpa giubilare. Francesco intende fare la stessa affermazione, ma semplifica e traduce nel suo linguaggio informale e diretto: metodi immorali. È verosimile che nella deplorazione per tali metodi egli abbia inteso includere anche il sistema dello spionaggio e delle delazioni anonime, incoraggiato dai responsabili del Sant’Uffizio soprattutto nella stagione della lotta al modernismo (Sodalitium Pianum); e le procedure unilaterali di condanna, che non riconoscevano il diritto dell’accusato a difendersi né gli davano la possibilità di correggersi: procedure che al Vaticano II furono denunciate con forza dal cardinale Josef Frings, arcivescovo di Colonia, che si avvaleva della consulenza del giovane Ratzinger (intervento dell’8 novembre 1963).
Per l’aggettivo “immorali” usato da Bergoglio dirò che trovo simile, questo suo salto dal linguaggio canonico a quello comune, a quanto aveva già fatto con la pena di morte, che con una modifica del 2018 a un articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica [il 2267] aveva qualificato come “inammissibile alla luce del Vangelo perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, mentre era stata tradizionalmente ammessa e anche praticata dai Papi. A Francesco con interessa tanto la continuità formale con la tradizione del magistero papale quanto la chiarezza e trasparenza evangelica dell’attuale predicazione della Chiesa: di questo spostamento dell’attenzione dovremmo essergli grati. Io gli sono grato.
Fonti di quanto sopra riportato
- Per i testi della Giornata del perdono del Giubileo del 2000 [QUI]
- Per la lettera del cardinale Sodano al convegno su Giordano Bruno [QUI]
- Per le parole occasionali del cardinale Ratzinger sul caso Giordano Bruno: “Un errore il rogo degli eretici”, Corriere della Sera 26.09.1997
- Per il Sodalitium Pianum vedi la voce Benigni Umberto del Dizionario biografico degli Italiani, vol. 8, 1966
- Per l’intervento in Concilio del cardinale Frings sui metodi del Sant’Uffizio [QUI]
- Per l’insieme del mea culpa giubilare [QUI]

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