La volontà di rompere col passato. Riflessioni sul trattamento riservato all’Arcivescovo Gänswein

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.06.2023 – Andrea Gagliarducci] – La decisione di Papa Francesco di chiedere all’Arcivescovo Georg Gänswein, ora Prefetto emerito della Casa Pontificia, di tornare nella sua diocesi di origine [*], testimonia non solo il fatto che il Papa voglia tagliare completamente i ponti con il precedente pontificato. La decisione riguardante l’Arcivescovo Gänswein è un’ulteriore prova del modus operandi di Papa Francesco [QUI] e un segnale che l’ultima parte del suo governo non sarà facile per nessuno.
Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 446, 15 giugno 2023
Comunicato della Santa Sede
In data 28 febbraio 2023, S.E. Mons. Georg Gänswein ha concluso l’incarico di Prefetto della Casa Pontificia. Il Santo Padre ha disposto che Mons. Gänswein dal 1° luglio rientri, per il momento, nella sua Diocesi di origine.
La comunicazione della decisione su Gänswein è arrivata in poche righe nel Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede del 15 giugno, dove il non detto era più pesante di quello scritto.
Scrivendo che l’Arcivescovo Gänswein aveva terminato il suo mandato il 28 febbraio 2023, Papa Francesco, infatti, non solo gli ha sospeso lo stipendio ma ha anche chiesto a Gänswein di restituire lo stipendio che ha percepito dal 28 febbraio ad oggi. In assenza di comunicazione contraria, l’ente considera la persona confermata nell’incarico e continua a corrispondere la mensilità. Tuttavia, se viene determinato il momento della scadenza, lo stipendio può anche essere recuperato.
Non è la prima volta che Papa Francesco usa questa formula. Una cosa simile è successa con alcuni funzionari ora coinvolti nel processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Sono stati implicitamente confermati e poi non rinnovati nel loro ufficio e gli hanno chiesto di restituire i soldi. Ma ci sono state situazioni ancora peggiori, in cui persone con condanne ancora in appello al Tribunale vaticano si sono viste pignorare i beni per eseguire una sentenza di risarcimento che, in realtà, non era ancora arrivata alla sentenza definitiva.
La richiesta di restituzione del denaro, implicita nella comunicazione su Gänswein, dice due verità: che il Vaticano sotto Papa Francesco ha un grave problema nel reperire risorse e quindi non ha paura di vendicarsi di nessuno per recuperare parte di quanto spende; e che, attraverso questa operazione di “recupero”, Papa Francesco punisce in modo particolarmente umiliante coloro che ritiene debbano essere puniti.
Ma alcune umiliazioni fanno bene, ha detto Papa Francesco a Gänswein quando si è lamentato con il Papa di non aver ricevuto un altro incarico e di essere stato comunque sospeso da Prefetto della Casa Pontificia [QUI]. Lo racconta Gänswein in un libro pubblicato dopo la morte di Benedetto XVI. Un libro forse ingenuo per modalità e tempi della sua uscita, ma che ha avuto il merito di restituire un vivido ritratto di quello che è stato il rapporto tra Papa Francesco e l’entourage del Papa emerito.
Al di là della superficiale cortesia, alla fine, si evince che Papa Francesco non ha tollerato bene, non tanto la presenza di un Papa emerito in Vaticano, quanto il fatto che alcuni vedessero in Benedetto XVI ancora un punto di riferimento, anche se non era più Papa. Era come se il Papa vedesse nell’amore per Benedetto XVI un contrasto con il suo pontificato. E probabilmente da lì viene l’amarezza del Papa verso coloro che ha definito “persone indietriste”, e le restrizioni sempre più dure alla Messa tradizionale, ribaltando un’apertura fatta dallo stesso Benedetto XVI, e la decisione di cacciare praticamente Gänswein senza mai ufficializzare questa decisione.
Analizzando più nel dettaglio tutta la vicenda, si potrebbe dire che Papa Francesco non vuole assumersi la responsabilità di far conoscere chi sono quelli che considera amici e quelli che considera nemici, né vuole assumersi personalmente il peso di alcune decisioni, purché questi possano creare problemi all’opinione pubblica.
Per Papa Francesco, assegnare Gänswein a un altro incarico mentre Benedetto XVI era in vita, avrebbe significato ammettere le sue difficoltà rispetto a una situazione che aveva cercato di gestire a proprio vantaggio fin dall’inizio. Invece, lasciando Gänswein al suo posto impedendogli di andare a lavorare, lasciava aperta la possibilità che il Papa stesse meditando sulla situazione e che volesse aiutare Gänswein in una situazione difficile. Ora, dopo aver riaperto il processo sul coro della Cappella Sistina (che era sotto la direzione di Gänswein, e Gänswein fu ascoltato al processo) e dopo la morte di Benedetto XVI, Gänswein può invece essere allontanato, anche con la richiesta di tornare alla sua diocesi di origine. Una proposta a cui Gänswein non avrebbe dovuto obbedire. Come vescovo di Roma e capo dello Stato della Città del Vaticano, il Papa non può che chiedergli di non risiedere in Vaticano o nella diocesi di Roma. Tuttavia, il Papa non può obbligare nessuno a una residenza particolare, a meno che questa non sia connessa con il suo ufficio.
Anche qui vediamo, nella decisione riguardante Gänswein, analogie con altre situazioni simili in Vaticano. Negli altri casi si trattava di figure non al vertice e su cui, quindi, l’informazione non era oggettivamente notizia per i giornali. Ma erano precedenti, che hanno fatto capire che questo modo di fare è un modo di governo per Papa Francesco.
Forse è successa la stessa cosa con il Cardinale Angelo Becciu, ora sotto processo in Vaticano per presunto peculato in un processo ben più ampio: il Papa prima gli ha chiesto di dimettersi dall’incarico e di rinunciare alle prerogative cardinalizie (cosa su cui esiste solo un Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, ma nessuna decisione del Collegio cardinalizio), poi modificò una disposizione per far sì che anche i cardinali potessero essere giudicati dal Tribunale vaticano, e infine, a processo in corso, chiese comunque a Becciu di partecipare come cardinale a manifestazioni pubbliche. Una serie di azioni che, in caso di condanna, permetterebbero al Papa di dire che no, non ce l’ha con Becciu. Anzi, lo ha aiutato, ma le condanne vanno rispettate.
E così è stato per Gänswein, accantonato in seguito alla pubblicazione di un libro del Cardinale Robert Sarah che Benedetto XVI aveva co-firmato, lasciato comunque al suo posto, e poi rimandato a casa senza incarico dopo la morte del Papa emerito, ma soprattutto dopo la pubblicazione di un libro autobiografico dello stesso Gänswein che suonava come un’accusa al pontificato. Papa Francesco potrà così dire che non ha espulso Gänswein; semplicemente non lo rinnovava nemmeno di fronte a una situazione che era diventata per lui imbarazzante.
Questo tipo di meccanismo, però, può essere applicato a chiunque. Papa Francesco segnala che nessuno è protetto in Vaticano e che chiunque potrebbe essere defenestrato. Il Papa può farlo, certo. Colpisce che lo voglia fare cercando di assumersi meno responsabilità possibile ma lasciando spazio alla giustificazione personale.
Tuttavia, ora c’è un evidente desiderio di tagliare con il passato. Papa Francesco lo aveva fatto negli anni in modi diversi, come quando, nei Concistori, introduceva sempre la figura di un cardinale di rimedio, spesso ultraottantenne, che testimoniava il disaccordo del Papa con le scelte fatte in passato, e certificava un cambio di rotta.
L’umiliante rimozione di Gänswein dice che il Papa ora vuole che ogni possibile legame con ciò che esisteva prima di lui fosse reciso. Forse ci sarà un altro Concistoro entro la fine dell’anno, e così il Papa avrà creato in dieci anni e nove Concistori un Collegio cardinalizio tutto a sua immagine e somiglianza. Forse ci saranno altre riforme, forse la riforma dei funerali papali.
Dopotutto, Papa Francesco non ha voluto che Benedetto XVI avesse un funerale papale, pur essendo Papa, e ha presieduto una celebrazione in tono minore e non ha eseguito nemmeno personalmente l’ultima commendatio et valedictio, come fa per ogni cardinale che muore. Non solo: Papa Francesco ha appena accennato a Benedetto XVI nell’omelia delle esequie, decisione che era stata spacciata per precisa volontà del Papa emerito e segno di volere una Chiesa più pastorale, ma che in realtà sembrava anche dimostrare il desiderio di non dare troppa enfasi al rito [QUI].
Ora, con una riforma dei funerali papali, potrebbe coprire questo apparente fastidio mostrando che, alla fine, ha fatto quello che ha fatto perché voleva che tutti i Papi fossero trattati come “servi dei servi di Dio” e non con piena onori. Se ciò accade, chiunque si opponga minimamente a tale riforma sarà spazzato via, trasferito o lasciato senza incarico. E a nulla valgono le spiegazioni per non voler cambiare i riti per mantenere alcuni significati profondi che la Chiesa ha costruito nei millenni.
Così, Papa Francesco è tornato dal ricovero fisicamente a pezzi, ma deciso a far valere i suoi pensieri. Ci sarà un prima e un dopo per il suo pontificato; non ci sono dubbi al riguardo. Le conseguenze di queste azioni, però, sono tutte da ponderare.
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].
[*] La notizia fu anticipata due settimane prima da Die Welt, come abbiamo riferito [QUI].