Papa Francesco e i suoi generali
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 09.06.2023 – Andrea Gagliarducci] – “Quante divisioni ha il Papa?” Questa domanda provocatoria è attribuita a Stalin, che guardava alla Santa Sede solo da un punto di vista geopolitico. Questa era, ovviamente, una visione politica miope. Era stata infatti l’Unione Sovietica a voler coinvolgere la Santa Sede nella conferenza sulla pace e sicurezza che portò alla Dichiarazione di Helsinki del 1975. La Santa Sede, perché considerata una parte terza, poté inserire un paragrafo sulla libertà di religione, che era una specie di spina nel fianco di tutte le repubbliche sovietiche. L’ateismo di Stato fu così pungolato dall’interno attraverso la dichiarazione di una conferenza commissionata dall’Unione Sovietica e proposta da un ospite favorito dall’Unione Sovietica.
Questo la dice lunga sul peso che la Chiesa può avere al di là di ogni numero di divisioni. Eppure, se dobbiamo pensare alle divisioni del Papa, non possiamo non pensare ai vescovi. In comunione con il Papa, sono i vescovi che vigilano sulle diocesi, ordinano i sacerdoti e lavorano sulle vocazioni. Inoltre, i vescovi organizzano e rendono possibile quello che è il centro della vita della Chiesa, cioè l’Eucaristia. Senza i sacerdoti non può esserci l’Eucaristia. Ma senza i vescovi non si possono ordinare i sacerdoti.
Per questo, ovunque, l’obiettivo primario della Santa Sede è stato quello di garantire la presenza di vescovi legittimi capaci di muoversi sul territorio anche in situazioni difficili, e capaci di generare vocazioni. Anche la diplomazia della Santa Sede ha guardato in questa direzione. L’accordo per la nomina dei vescovi con la Cina, con tutte le sue polemiche, fa parte di una politica che la Santa Sede aveva già perseguito in diverse circostanze. Un accordo simile, ad esempio, fu stipulato con l’Ungheria nel 1965 [QUI].
E prima ci fu l’alleanza tra trono e altare, che non era ideale, e che poneva le missioni della Chiesa sotto protettorati, ma che nasceva anche con l’idea di proteggere i vescovi. Poi, certo, si migliorano e si evitano gli errori del passato, ma alla fine l’obiettivo principale è avere vescovi che possano ordinare sacerdoti che possano portare l’Eucaristia a tutti.
Se da un lato Papa Francesco sa che questo è necessario, dall’altro sembra essersi fatta strada l’idea che lo status dei vescovi debba essere in qualche modo ridimensionato. I vescovi fanno parte del popolo di Dio. La loro missione viene dall’ordinazione, ma chiunque può avere una missione canonica. Non c’è più, dunque, la forza di quel munus guberandi, che fu considerato parte della dignità episcopale. I vescovi devono accompagnare i processi, ma non devono necessariamente essere responsabili delle operazioni perché si rischia di essere troppo clericali.
In pratica, è stato avviato un percorso inverso a quanto fatto nel tempo. L’idea di affidare ai vescovi la guida dei dicasteri della Santa Sede è nata dal fatto che il vescovo è in collegialità con il Papa, anche lui è vescovo, e quindi c’è una collegialità data dalla stessa ordinazione. L’idea che il Sinodo fosse “dei vescovi” nasceva dal fatto che Paolo VI intendeva i vescovi come i principali intermediari tra Roma e il popolo di Dio, e tra il popolo di Dio e Roma (infatti, i sinodi diocesani hanno sempre incluso vescovi, presbiteri e popolo). Il fatto che Giovanni XXIII avesse stabilito che i cardinali dovessero essere almeno arcivescovi (e se non fossero arcivescovi al momento dell’annuncio della loro creazione, debbono essere ordinati prima di ricevere la berretta rossa) faceva parte di questo processo che ha voluto stabilire la collegialità e la corresponsabilità data dall’ordinazione.
Tuttavia, la guida dei dicasteri della Santa Sede è affidata a tutti nell’ambito della missione canonica, affidata dal Papa. Il Sinodo è solo un Sinodo, e sebbene continui ad essere chiamato ufficialmente nelle comunicazioni “Sinodo dei Vescovi”, include membri del popolo di Dio che non sono eletti ma scelti, ma che, in realtà, cambiano profondamente il modo di affrontare le questioni [QUI]. E, sebbene il Papa non abbia mai derogato alla norma che i cardinali debbano essere arcivescovi, ha commentato di aver fatto “un cardinale pastore” quando ha consegnato la berretta rossa a Monsignor Enrico Feroci, per anni Direttore della Caritas di Roma e ora al Divino Amore – eppure vale la pena notare che Paolo VI abbia creato cardinale anche un parroco [QUI].
Da un lato c’è l’idea di abbattere il clericalismo e l’idea che l’episcopato sia un’istituzione di potere. Papa Francesco, invece, ama rimescolare le carte. Fa tanti vescovi quanti ritiene utili, come se fossero i generali di un esercito laico o che potrebbero aiutarlo nei momenti di difficoltà. E crea cardinali in tutto il mondo come per averlo rappresentato in ogni parte del mondo.
Papa Francesco sembra intendere il vescovo come i suoi generali in prima linea, impegnati a portare avanti quel cambiamento dei cuori che intende portare a conclusione durante il suo pontificato. Quando però si deve pensare al vescovo come generale dell’Eucaristia, la questione cambia.
Spicca l’esempio italiano. Papa Francesco il 1° giugno ha unito due diocesi, quella di Cuneo e quella di Fossano. Non era una notizia vera e propria, perché è dagli anni ’90 che le due diocesi sono sotto un unico vescovo pur rimanendo distinte. Si tratta però della prima fusione di diocesi dal 1988. Papa Francesco aveva chiesto ai vescovi italiani di ridurre il numero delle oltre duecento diocesi presenti in Italia, e i vescovi avevano presentato un piano considerato dal papa timido. Il Papa attese quindi e cominciò a porre sotto un unico vescovo più diocesi, secondo un criterio non troppo rigido di collegare le diocesi con un’amministrazione inferiore ai 25.000 abitanti.
Ma l’eccezione italiana nasceva dalla necessità di un vescovo in ogni territorio. C’erano molti vescovi perché ogni territorio aveva bisogno di un vescovo vicino. Se si incorporassero più diocesi, vi sarebbero differenze sostanziali per quanto riguarda la gestione dei territori. Diventa naturale per il vescovo trascurare un territorio o adattarsi solo a una delle diverse mentalità. Il punto non era che l’Italia avesse pochi vescovi, ma che i grandi Paesi di missione ne avevano pochissimi. Spesso i pastori delle terre di evangelizzazione governano porzioni di territorio che non riescono mai a raggiungere. L’idea dei viri probati è nata nella regione panamazzonica proprio per la necessità di garantire una liturgia domenicale, anche in quei luoghi dove il sacerdote praticamente non arriva mai.
Ma i viri probati non sono una soluzione. Rappresentano un ripiego – un po’ mal applicato, viste le conseguenze che potrebbe avere a livello dottrinale in caso di crisi. Mancano sacerdoti e mancano vescovi capaci di ordinare sacerdoti.
In una situazione di crisi vocazionale, è naturale pensare che il Papa sarebbe invece chiamato ad aumentare i suoi generali, creare nuove province ecclesiastiche, e far sì che ogni territorio abbia un vescovo. In una crisi generale della religione, la presenza di un vescovo come guida per i sacerdoti può aiutare a superare gli ostacoli.
I vescovi sarebbero quindi gli effettivi generali del Papa. Tuttavia, Papa Francesco sembra utilizzare il titolo episcopale per riconoscere le prestazioni su questioni organizzative. Quindi sono generali chiamati a fare burocrazia, non a evangelizzare. E questo è un altro dei paradossi di questo pontificato.
Questo articolo nella nostra traduzione dall’inglese è stato pubblicato il 5 giugno 2023 dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].


























