Il fascismo degli antifascisti che zittiscono l’autrice di un libro “radicale”. Fascista è chi il fascista fa
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.05.2023 – Vik van Brantegem] – Gli attivisti che di fatto hanno impedito di parlare al Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella – che era invitata all’Arena Piemonte per presentare il suo libro Una famiglia radicale (Rubbettino 2023, 196 pagine) al Salone del Libro di Torino – sono i veri fascisti antidemocratici e gliel’ha detto in faccia Francesco Giubilei, che ha dichiarato: «Il fascismo degli antifascisti al Salone del libro di Torino, non lasciano parlare il Ministro Roccella che non può presentare il suo libro, vergogna, vergogna, vergogna». «È un brutto segnale. Un’occasione di dibattito sprecata. Non è un bel segnale per la democrazia. Il libro di Eugenia Roccella è anche il racconto di una vita spesa per i diritti civili, delle donne e per la libertà. Le è stato impedito di parlare nonostante lei abbia dato una lezione di stile facendo parlare i contestatori», ha dichiarato l’editore Florindo Rubbettino. «La violenza verso il Ministro Roccella – perché di questo si tratta quando ti impediscono di parlare – è l’opposto della democrazia, della cultura e della lettura, che è soprattutto scoperta del pensiero altrui», ha dichiarato Carlo Calenda.

Quindi, non venite a dire che si tratta solo di contestazione, ciò che è accaduto al Salone del Libro di Torino a Eugenia Roccella, che è stata costretta ad allontanarsi, non potendo presentare il suo libro. Non è silenziando che si difendono le idee. La democrazia è diritto al dissenso ma non contempla la censura della parola. In serata sono stati identificati e denunciati per violenza privata dalla Digos di Torino, 29 promotori dell’aggressione a Eugenia Roccelli, appartenenti tutti al collettivo femminista “Non una di meno” e al movimento ambientalista “Extiction Rebellion”.
La mentalità totalitaria c’è tutta. Impedire la presentazione di un libro è un segno pericoloso che indica come i cattivi maestri, nemici della democrazia, stiano indottrinando la solita compagnia di burattini. Prima si ergono a paladini dei diritti e a difensori dei valori democratici, poi impediscono a un Ministro di parlare. Del resto, i comunisti si ostinano ancora a farsi chiamare democratici. Urlano al fascismo per impedire la presentazione di un libro, in un’azione che ricorda i peggiori totalitarismi.
La Direzione di ogni manifestazione, soprattutto se si tratta di una manifestazione culturale e in particolare del libro, ha l’obbligo di garantire la libertà di espressione dei partecipanti, è il minimo sindacale di cultura, di civiltà e di democrazia. Ma il Direttore Nicola Lagioia, intervenuto a provato a “risolvere” la questione, è riuscito solo a balbettare che “la contestazione è legittima”, mentre un branco di intolleranti impedisce a un Ministro (che resta impassibile) di presentare un suo libro. Non si è tratta più di (legittima) contestazione, se si impedisce a un Ministro di parlare. Lagioia non solo non ha realmente difeso il diritto di espressione del Ministro Roccella, ma se ne è andato pure, quindi, lasciando che il Salone restava in mano a degli intolleranti. E poi prova pure a fare la vittima. È semplicemente vergognoso, per ripetere il giudizio di Capezzone. Ha lasciato che vincesse la censura di chi non ammette il pluralismo. Non capire (o fingere di non capire) la differenza tra una contestazione (legittima) e impedire a presentare un libro in un luogo dove si presentano i libri, è il segno della regressione culturale in cui stiamo sprofondando.
La cultura è per definizione libertà democratica e confronto civile, provare a censurare un autore significa promuovere l’inciviltà, e negare il concetto stesso di cultura, non solo di democrazia. Il pericolo fascista esiste certamente, ed è da parte di chi vuol far tacere violentemente le poche voci che difendono persona, vita, famiglia, il diritto di nascere e morire secondo natura, che si scontrano con il fascismo degli abortisti e dei criminali che vogliono imporre l’abominio dell’utero in affitto.

Il dissenso è legittimo. Le manifestazioni di dissenso sono legittime. Ma se vengono usate come un’arma per impedire di parlare a chi esprime quelle opinioni da cui si dissente in quanto “fasciste”, allora il fascista è chi usa questa arma. Non c’è peggior fascismo del fascismo degli antifascisti: ne abbiamo parlato il 23 settembre 2022 con un articolo Riflessioni sul fascismo, sull’antifascismo e sul fascismo dell’antifascismo. Con Sciascia, Maccari, Pasolini e Bordiga in due parti [QUI e QUI].
Siamo in mezzo ad una deriva pericolosa. Purtroppo, ci sono politici e giornalisti che lo giustificano. «Alcuni (comunisti di andata e di ritorno) fanno finta di non capire. Un conto è contestare (cosa discutibile ma legittima), altro conto è IMPEDIRE a qualcuno (o tentare di impedire, o peggio ancora farlo con la violenza) di esprimersi. Lo hanno fatto con me alla Sapienza (il convegno di Azione Universitaria alla fine si tenne, ma sotto assedio violento) e lo hanno fatto oggi al Salone del libro con il ministro Roccella. È semplicemente VERGOGNOSO», ha dichiarato Daniele Capezzone.
Luca Sofri, il Direttore del Post, ha scritto in un post su Twitter: «Tutti indignati senza sapere niente, comunque. Roccella poteva benissimo parlare, in uno stand aperto circondato da altri stand e visitatori, compresi quelli che protestavano. Ha preferito il vittimismo, l’arma di questi tempi, ma nessuno le ha “impedito” niente. Impedire è altro». Stessa e identica narrazione dell’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, sul blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin), che da più di cinque mesi tiene sotto assedio i 120.000 Armeni autoctoni della Repubblica di Artsakh, negando nel contempo che c’è un blocco. Si comprende perché i media ignorano o giustificano [QUI].
Ed ecco, Selvaggia Lucarelli, in un post su Twitter, esprime la sua concezione di “democrazia”: «La ministra Roccella è stata contestata per le sue note, reazionarie posizioni in tema di diritti. Idee già espresse più volte. Chi pensa che il dissenso non si esprima in quel modo, non ha ben chiaro un concetto base: il dissenso, laddove esprima un malessere per la propria condizione determinata da una scelta politica, non si esprime dalla propria cameretta. Si porta ovunque possa fare rumore, se necessario. Leggo, da parte dei soliti destroidi camuffati, “dovevano lasciarle esprimere le sue idee”. Gli scioperi impediscono ai superiori di svolgere il loro lavoro, così come le proteste al Salone hanno impedito alla ministra di presentare il suo libro. Se un ministro ha idee retrograde e pericolose, in cui una parte della società non si riconosce, è sacrosanto che attivisti e semplici cittadini portino le proprie istanze all’attenzione pubblica. È una conflittualità necessaria, perché il livello di democrazia di un paese non si misura dallo spazio che si riserva al consenso, ma da quello che si riserva al dissenso. Io ringrazio chi ha protestato ieri: lo ha fatto anche per me».
«La Ministra Roccella ha il diritto di parlare, i contestatori hanno il diritto di impedirglielo» (Prof. Filippo Barbera).
«Comunque una cosa è certa: se quel che è stato fatto alla Roccella fosse stato fatto a Michela Murgia, la stessa sinistra che ha parlato di “diritto al dissenso” oggi avrebbe parlato di “aggressione fascista”. E per prima l’avrebbe detto Murgia stessa (o Zerocalcare, è uguale)» (Mario Adinolfi).
Il Vicedirettore di La Stampa, Annalisa Cuzzocrea, ha scritto in un post su Twitter: «Il fascismo è violenza. Le manifestazioni pacifiche di dissenso non sono fascismo. I terzisti che le definiscono tali sbagliano quanto meno il termine». Quindi se domani la sede de La Stampa venisse invasa da un gruppo di persone che con la loro presenza di protesta impedissero di stampare il giornale sarebbe una “manifestazione pacifica di dissenso”?
Non ha capito niente (o fa finta di non capire). È il rovesciamento totale della verità, ma per fortuna ci sono i video che la sbugiardano. I talebani del clima che “per salvare il pianeta” si sentono autorizzati a impedire eventi pubblici (se non bloccano strade o imbrattano monumento e opere d’arte), uniti a coloro che vorrebbero imporre l’ideologia gender del Ddl Zan con il manganello, non riuscendoci per via parlamentare, impediscono un evento programmato e poi i colpevoli sarebbero coloro che garbatamente lo denunciano. E questa sarebbe una giornalista. Non c’è un limite all’ipocrisia di sinistra.

Quindi, è saltata la presentazione del volume Una famiglia radicale“, di cui ignoravo totalmente l’uscita, avvenuta il 20 gennaio 2023, con successive presentazioni. Visto l’odio che si è scatenato contro il suo autore, lo presento oggi qui, anche come gesto di solidarietà e di resistenza all’aggressione che ha subito Eugenia Roccella. Ma il suo libro merita di essere presentato soprattutto per il suo contenuto. «Comunque il libro che i fascisti hanno impedito di presentare a Eugenia Roccella è un bellissimo memoir edito da Rubbettino che si intitola Una famiglia radicale e racconta la figura del padre Franco Roccella, uno dei fondatori del Partito radicale. Leggete, capre», ha dichiarato Pierluigi Battista.

«Una famiglia radicale è un libro a tratti durissimo, anche se in Eugenia Roccella non viene mai meno l’ammirazione per l’onestà di Franco, né la tenerezza per le fragilità di Wanda. L’amore per quei genitori idealizzati nella lontananza, che erano stati dèi ai suoi occhi di bambina, si accresce dopo che gli dèi sono caduti e lei ne può vedere i limiti, le debolezze, le trascuratezze, perfino certe distratte crudeltà. Rimettere insieme i frammenti delle statue degli dèi decaduti, come lei fa in questo libro, è un atto di pietas filiale ma è anche un modo per dire: le origini contano e questa sono io, questa è la mia famiglia. Una famiglia radicale», ha scritto Nicoletta Tiliacos su Il Foglio.
I radicali degli anni Cinquanta e Sessanta non erano mondani né snob, non appartenevano a circoli elitari, e la sera non andavano a Via Veneto con Scalfari o Pannunzio. Nel suo libro Una famiglia radicale, Eugenia Roccella racconta, con sagace umorismo, di radici isolane, di una famiglia tradizionale e un po’ stramba, confinata nella Sicilia più interna, e di un giovane provinciale che, finita la guerra, arriva in una città stimolante e colta come Bologna, diventa carismatico leader degli studenti laici, si innamora di una donna fuori dagli schemi, e si immerge nell’euforica impresa della costruzione di una nuova cultura politica. Ha intorno un gruppo di ragazzi geniali e di belle speranze, e un giovane e promettente seguace che si chiama Marco Pannella.
L’autrice narra di quella che fu una vera e propria fucina di intellettuali, in parte destinata a divenire classe dirigente della Prima Repubblica, uomini della tempra di Sergio Stanzani, Gino Roghi, Tullio De Mauro, Gino Giugni, Sergio Castriota, Stefano Rodotà. Narra di incontri amichevoli e conviviali con artisti, scrittori, giornalisti tra i quali spiccano i nomi di Dacia Maraini, Pier Paolo Pasolini, Adele Cambria, Lino Jannuzzi.
È il racconto di un’educazione laica e libertaria, di una famiglia insolita, di un Sessantotto diverso, fatto di digiuni e sit-in, femminismo e nuove libertà. Un romanzo memoir che getta nuova luce su un ambiente poco esplorato, persone che hanno fatto la storia dei diritti civili in Italia, ma la cui storia più intima pochi conoscono.
L’autore
Eugenia Roccella, figlia di Franco Roccella, tra i fondatori del Partito Radicale, e della pittrice e femminista Wanda Raheli. È stata giovanissima leader del Movimento di liberazione della donna e protagonista delle battaglie femministe e radicali degli anni Settanta. Giornalista e parlamentare si è occupata di biopolitica e maternità ed è stata sottosegretaria al Welfare e alla Salute in governi di centrodestra. Dall’ottobre 2022 è Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità nel governo Meloni. Ha pubblicato tra gli altri, La letteratura rosa (1998), Dopo il femminismo (2001), Fine della maternità (2015), Eluana non deve morire (2019). Con Lucetta Scaraffia ha curato il dizionario biografico Italiane (2004).

La presentazione del libro Una famiglia radicale di Eugenia Roccella a Milano
Il 12 maggio 2023 a Milano all’Hotel Enterprise, organizzata dall’Associazione Esserci e Tempi, si è svolta la presentazione del libro Una famiglia radicale. Insieme a Eugenia Roccella per dialogare sulla propria intensa storia, personale ma di un’intera nazione, è intervenuta la giornalista e scrittrice Marina Terragni e il direttore di Tempi Emanuele Boffi.
Rocella ha parlato di sé, della sua famiglia, della politica italiana dagli anni Cinquanta fino all’attuale impegno istituzionale. Un racconto di straordinaria attualità e verità, in cui ha raccontato dei suoi genitori (il padre, Franco, uno dei fondatori del partito Radicale), di Marco Pannella e Pier Paolo Pasolini, del femminismo e della sua conversione al cattolicesimo.

Le origini contano, anche nella famiglia radicale di Eugenia Roccella
di Nicoletta Tiliacos
Il Foglio, 28 gennaio 2023
I genitori idealizzati, le lotte e la fede. Dal padre Marco alla madre Wanda: come la ministra è passata da figlia a genitrice. E poi il ricordo di Pannella e quella religiosità ammessa con fatica anche a se stessa.
Sarebbe bello poter aprire il libro della propria vita come Bulgakov nel Maestro e Margherita o Nabokov nel Dono. Invece, niente stagni Patriarsie o numeri civici di Tannenbergstrasse, scrive Eugenia Roccella all’inizio del suo Una famiglia radicale (Rubbettino): lei deve accontentarsi di Riesi, provincia di Caltanissetta. Lì, in una notte di primavera del 1954, Franco Roccella piomba inaspettato da Bologna nella casa paterna, in braccio la figlia di sei mesi, Eugenia. Lui e la mamma della piccola, la bolognese Wanda Raheli, sono troppo occupati a vivere per fare i genitori, e la bambina viene consegnata a Sarina, sorella maggiore di Franco, zitella destinata a rimanere tale e ben felice di quel dono. Questo voleva sembrare: un dono più che un abbandono. “Se non proprio un regalo, un prestito a lungo termine. Io rimasi. Mio padre il giorno dopo salutò e se ne andò, per riprendere la lunga fuga che è stata la sua vita, con i suoi eterni ritorni siciliani”.
Comincia così, con una scena da romanzo d’appendice, un memoir che in poco meno di duecento pagine racconta la vicenda personale dell’autrice, intrecciandola a quella pubblica e privata del mondo di cui suo padre Franco è stato una figura chiave, sua madre Wanda riferimento riconosciuto, e di cui la stessa Eugenia, leader femminista e radicale a vent’anni e oggi Ministra della Famiglia e delle Pari opportunità nel governo Meloni, ha fatto pienamente parte.
È il mondo del Partito radicale nato dall’Unione goliardica italiana, che in nome di ideali “liberali, liberisti e libertari” si affermerà come piccolo ma rilevantissimo terzo incomodo tra democristiani e comunisti. Eugenia ricorda la casa romana della sua famiglia come un luogo in cui ascoltava incantata “le discussioni nel gruppo ristretto degli ex goliardi, che commentavano la politica italiana ed estera, parlavano di letteratura, estetica, di qualunque argomento, sprizzando intelligenza e anticonformismo da tutti i pori. Non sapevo bene cosa significasse la sigla Ugi, che ricorreva nei loro discorsi; capivo, però, che definiva il loro modo di stare insieme, di lanciarsi strali acuminati e ironie imperdibili, di separarsi e ritrovarsi di continuo, accomunati da qualcosa che poteva essere lacerato molte volte senza distruggersi”.
Il dominatore di quel gruppo – che contava, tra gli altri, Sergio Stanzani, Gino Roghi, Tullio De Mauro, Gino Giugni, Sergio Castriota, Lino Jannuzzi, Stefano Rodotà – era ovviamente Pannella, che “non aveva nulla del sognatore, aveva i piedi ben piantati per terra, era concreto, spregiudicato e pragmatico”. La sua creatura, il Partito radicale, “ha perso politicamente ma ha stravinto sul piano della cultura diffusa, avanguardia di un pensiero irregolare che oggi è senso comune banalizzato”. “Lo scandalo radicale è stato riassorbito”: ora, a fare scandalo tra i nuovi benpensanti è semmai il percorso che ha portato Eugenia Roccella dalle battaglie radicali e femministe a un cattolicesimo che non rinnega il femminismo, e alla consapevolezza che o libertà e responsabilità camminano insieme, o la libertà senza responsabilità divorerà gli esseri umani e annienterà le più nobili cause.
“Tutto quello che so della politica l’ho imparato da Marco, e non l’ho più dimenticato”, rivendica Roccella. Ma conta anche il lascito degli anni di Riesi, della grande famiglia siciliana e del nonno Eugenio, il notaio che credeva nell’intelligenza delle donne e nel loro diritto di studiare, anomalo uomo del sud che portava il caffè al letto alla moglie. La zia Sarina – madre supplente negli anni in cui Franco e Wanda facevano rare visite lampo alla loro bambina, lasciandola senza fiato per la felicità, all’arrivo, e senza fiato per la desolazione, alla partenza – pretende il battesimo per Eugenia, quando i genitori annunciano di voler portare a Roma la figlia, che ha ormai sei anni. E il battesimo sarà degno di una famiglia radicale: Franco sceglie come padrino l’amico mangiapreti Stanzani, mentre Eugenia, quando otterrà anni dopo di fare la prima comunione, vorrà come madrina Liliana Pannella, sorella di Marco e anticlericale a tutto tondo.
Con questo racconto e tali premesse, Eugenia Roccella vuole spiegare la genealogia delle proprie scelte ma vuole anche restituire al padre il ruolo che in vita gli fu negato. Nessun tono agiografico: nelle parole della figlia, Franco appare come un uomo geniale e generoso ma avaro ed elusivo con la propria famiglia, coraggioso e lungimirante interprete dei tempi ma dissipatore disperato di talenti e risorse. Però i radicali sono esistiti grazie a lui, e per Pannella fu mentore e riferimento autorevole e paterno, se non altro perché Roccella lo salvò in gioventù da un tentativo di suicidio, raccontato in questo libro forse per la prima volta. Franco però non si trasformò mai da pannelliano in “pannellato”, come lui definiva i ciechi seguaci del capo indiscusso, e quell’insubordinazione intellettuale minò i rapporti con Marco e con gli amici di un tempo. Negli ultimi anni prima di morire, già malato, fu lasciato solo e sperimentò l’emarginazione da parte del mondo che aveva contribuito, e non poco, a creare.
La parte più bella del libro, insieme con gli anni di Riesi, è proprio quella in cui Eugenia racconta come sia diventata, fin dall’adolescenza, madre dei propri genitori: di Franco, con un bilancio economico ed esistenziale perennemente in rosso; di Wanda, affermata pittrice sempre fragile e trasognata; la madre meno materna del mondo, che arrivava con la figlia alle riunioni di donne e partecipava allo stesso gruppo di autocoscienza, circostanza forse unica nella storia del femminismo italiano, se non mondiale. Quando Wanda Raheli si ammala all’improvviso in modo gravissimo, un’operazione che in Italia nessuno vuole fare viene tentata in Canada, e dopo il coma ci vorranno due anni perché reimpari, con l’aiuto della figlia, a parlare, mangiare da sola, scrivere, camminare, dipingere. Nelle lunghe veglie accanto alla madre, quando ancora non sa se si sarebbe ripresa, Eugenia prega: “Pregavo qualcuno che avevo sempre sentito vicino, ma la cui presenza non accettavo, come un innamorato impresentabile di cui vergognarsi con parenti e amici. Per tanto tempo non avevo ammesso la mia fede nemmeno davanti a me stessa, anche se talvolta il dialogo con l’interlocutore segreto riprendeva, quasi inconsapevolmente, cogliendomi di sorpresa”.
Una famiglia radicale è un libro a tratti durissimo, anche se in Eugenia Roccella non viene mai meno l’ammirazione per l’onestà di Franco, né la tenerezza per le fragilità di Wanda. L’amore per quei genitori idealizzati nella lontananza, che erano stati dèi ai suoi occhi di bambina, si accresce dopo che gli dèi sono caduti e lei ne può vedere i limiti, le debolezze, le trascuratezze, perfino certe distratte crudeltà. Rimettere insieme i frammenti delle statue degli dèi decaduti, come lei fa in questo libro, è un atto di pietas filiale ma è anche un modo per dire: le origini contano e questa sono io, questa è la mia famiglia. Una famiglia radicale.




























