Roccia del mio cuore è Dio. 56° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Colombia. Los Plumeros y los plomeros

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.05.2023 – Vik van Brantegem] – Prosegue il racconto del 56° viaggio di solidarietà e speranza di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, dal 30 aprile all’11 maggio 2023 in Colombia. Ho iniziato il 3 maggio 2023 con il suo Report 56/1. 1.003.605 chilometri [QUI]. Ho continuato con il suo Report 56/2. Frangelis [QUI], in cui scrive del suo incontro nel quartiere Santa Fe con la piccola prostituta Frangelis di solo 22 anni. La parrocchia, in cui è ospitato da Don Giorgio in questi giorni, è a pochi passi di questo quartiere pericoloso e fuori controllo della metropoli. Ieri è seguito il Report 56/3. L’inaugurazione del dormitorio per tossicodipendenti [QUI] e oggi presento il Report 56/4. Al carcere “La Modelo”.

Il titolo, che questo articolo ha ricevuto – tradotto, “I Spolverini e gli idraulici” – in spagnolo sembra un gioco di parole. E lo è, con un significato profondo, che sarà chiaro, dopo aver letto quanto segue. In tutto questa atrocità disumani che racconta, come Don Gigi, il gesto del Rosario del prigioniero Alejandro ha commosso anche me.

Il Rosario, dono di Alejandro a Don Gigi.

Report 56/4. Al carcere “La Modelo”

Come in tutti i nostri viaggi di solidarietà e di speranza, non poteva mancare l’appuntamento con la visita ad un carcere colombiano. Per entrare nel penitenziario ho dovuto inviare a Bogotà i miei documenti più di un mese fa. La scelta è caduta sul carcere “La Modelo”, che a dispetto del suo nome è semplicemente un inferno, di cui in Europa non abbiamo minimamente l’idea.

Con circa 5.000 detenuti, la struttura è nota per la sua violenza. L’ala nord della prigione ospita ribelli di sinistra, mentre l’ala sud ha sostenitori del governo di destra e dei paramilitari. L’area tra queste due ali è il luogo del carcere in cui avvengono molteplici omicidi. Le guardie non portano armi nella prigione, anche se quelle nelle torri di guardia possono utilizzare i fucili. I prigionieri di entrambe le fazioni hanno facile accesso alle armi. I membri delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) continuano ad esercitarsi nella loro zona di reclusione. Nel carcere sono presenti alcuni ristoranti e uno sponsorizzato dalle FARC fornisce cibo gratis ai ribelli di sinistra.

Nell’aprile 2000, oltre 100 prigionieri sono stati assassinati durante i combattimenti. Dopo gli omicidi e la pubblicità che ne conseguì, il governo ha iniziato a cambiare il regime carcerario. Molti dei negozi privati sono stati chiusi e la sicurezza è stata rafforzata, nonostante i detenuti abbiano ancora accesso alle armi e come in tutti i carceri latinoamericani, come in Messico, Brasile e Perù che ho visitato – la corruzione regna sovrana. Vi ricordate in Messico Martìn El Camallon [QUI]?

Dopo l’anno 2000 giungiamo all’anno 2016. Le forze dell’ordine colombiane hanno trovato, nei condotti fognari, i resti di corpi di un centinaio di persone, Uccise, e poi smembrate. Le sparizioni sarebbero avvenute fra il 1999 e il 2001, ma solo negli anni scorsi sono state avviate delle indagini ufficiali. I resti rinvenuti non sono solo di carcerati, ma anche di parenti e semplici visitatori. I cadaveri smembrati sono stati gettati nei tubi di scarico del sistema fognario.

Fatte queste premesse, iniziamo il racconto. Questo è il più grande carcere che abbia mai visitato. Arrivo al carcere per le ore 09.00 ed iniziano tutti i rituali di ingresso. Prima di tutto, la consegna del passaporto, poi riempio i moduli di accesso con i miei dati personali, poi la perquisizione fisica ed infine? Sembra roba da film nel 2023, le impronte digitali. Pongo il mio dito sopra il tampone di inchiostro nero e la guardia con meticolosità mi guida il dito verso una casella sul registro a fianco del mio nome. Sollevo il dito e mi dice “gracias”. Poi mi indica il grande cancello carcerario che si apre per me. Guardo l’indice destro sporco di inchiostro ed entro.

Le guardie sono gentili e fredde. Il cappellano mi saluta con cortesia e mi affida ad una guardia per la visita della prigione. Padre Edgard mi dice: “Ti aspetto alla cappella per la messa delle ore 11.30”. La guardia è un giovane ufficiale di 34 anni e si chiama Diego. Prima di iniziare la visita ai differenti cortili chiamati patio, mi concentro sulle domande da fare a lui ed eventualmente ai prigionieri che posso incontrare.

Diego inizia a mostrarmi i lunghi corridoi della prigione. Vi sono guardie che vanno e vengono, impiegati, e carcerati che stanno svolgendo i loro lavori quotidiani. Qui non è come in Africa, i carcerati non hanno una divisa ma usano abiti propri.

E così inizia la lunga litania dei cortili, i diversi patio, che ben conosco sia nelle prigioni del Messico che in quelle del Perù, ma qui le dimensioni sono molto più vaste.I lunghi corridoi danno sui grandi cortili, nei quali i prigionieri vivono tra panni stesi al sole in colorati gruppi.

Diego mi chiede: “Padre, è la prima volta che visiti un carcere?” Rispondo: “In Colombia sì! E sono molto curioso di vedere come la vita qui si svolge. Dimmi Diego, come è organizzata la vita qui dentro. Anche qui ci sono Los Plumeros?“ Il ragazzo sorride e mi dice: “Sai tante cose più di quanto pensavo. Si anche qui ci sono… purtroppo. Ogni patio ha un capo che viene scelto, eletto ed imposto. Il capo di un patio si impone per la sua efferatezza e per i crimini più brutti tra quelli compiuti nel cortile. A lui si deve rispetto e sottomissione piena, altrimenti… muori!” Inghiotto amaro ed oso continuare nel discorso… “Diego, ma voi conoscete chi sono Los Plumeros?”.

La guardia abbassa il tono della voce, si avvicina a me, e sussurra: “Tutti noi sappiamo chi sono, ma non lo possiamo dire. Esiste una sorta di rispetto e compromesso tra gli agenti carcerari e Los Plumeros. Loro rispettano e fanno rispettare le semplici regole del carcere e noi rispettiamo loro. Ma ti dispiace cambiare discorso?”

Cambio argomento e mi rivolgo a Diego in modo diretto: “Senti Diego, se ho voluto visitare questo carcere tra i quattro di Bogotà è semplice, perché questo è il peggiore non è vero? Ti ricordi i 100 morti del 2000 o la triste scoperta del 2016 di prigionieri spariti e squartati nelle fogne? In quella strage furono fatti a pezzi anche inermi visitatori”. Il giovane mi guarda e mi dice: “Forse non ti sei ben aggiornato su questo carcere. Questo fatto che mi dici è di anni fa, ma nell’anno 2020 questo carcere è divenuto teatro di nuova violenza. Il 21 marzo 2020 qui si è scritta una delle pagine più sanguinose della storia carceraria del Paese: la rivolta dei carcerati colombiani, che chiedono più sicurezza contro il virus pandemico e il ripristino delle visite dei parenti. Viene sedata con inaudita violenza. Ventitré i detenuti uccisi, 80 i feriti e la prigione La Modelo di Bogotà diviene teatro di guerriglia e morte. Con una giornata di protesta pacifica organizzata via Whatsapp, i detenuti di tutti gli istituti penitenziari colombiani hanno provato a far arrivare al governo richieste precise, denunciando la situazione di forte precarietà”.

Ci fermiamo, il patio è alla mia destra. Metto le mani sulle sbarre ed osservo con più attenzione. Vedo i prigionieri parlare tra di loro, vedo lenzuola colorate e indumenti stesi dalle finestre, pezzi di vita quotidiana di una delle prigioni più violente del Paese, afflitta da un endemico problema di sovraffollamento che stringe oltre 5.000 carcerati negli spazi pensati per 2.600. Chiedo a Diego se posso salutare con la mano, mi sorride e dice di sì. Saluto con la mano dicendo Ciao! Qualcuno mi risponde altri incuriositi e sorridenti si avvicinano alle sbarre. Un giovane ragazzo cicciottello mi risponde in Italiano, lo ha imparato in città da qualche immigrante italiano per il quale lavorava.

Diego mi dice che si allontana qualche minuto per parlare con un’altra guardia li vicina. Si sposta di alcuni metri e mi lascia libero di parlare con il grasso ragazzo. “Mi chiamo Alejandro padre”. Approfitto dei pochi minuti per fare domande per me importanti. Dimmi, come si vive qui dentro?” Lui intuisce che non ha molto tempo e in modo diretto mi dice: “Io sono qui per delitti sessuali, ne ho per trenta anni e sono qui da cinque anni. Mi hai detto che vieni da Bergamo. Allora, mi potrai capire perché anche qui sono arrivate le inquietanti immagini della tua città con i camion pieni di morti da bruciare. Qui nel carcere è successo un gran casino”.

Lo ascolto con attenzione, perché non posso scrivere nulla e spero che la mia memoria non mi tradisca.

“Devi capire che qui siamo in sovrannumero. Nelle 132 carceri in Colombia il sovraffollamento viene quantificato come oltre il 50%: sai, mi sono informato bene, bene. Sono 120mila persone costrette in carceri pensate per 80mila. Immagina che tipo di protezione contro il COVID potevamo avere”. Alejandro guarda Diego che sta concludendo il suo discorso con il collega ed in tono più solenne e forte termina il suo discorso dicendomi: “Padre, abbiamo diritto alla vita, alla salute, alla dignità – e lo Stato ne è responsabile. Abbiamo bisogno di acqua potabile, cibo sano, disinfettanti, sapone. Parenti e avvocati non possono più venire a trovarci, mentre le guardie entrano ed escono senza alcun controllo”.

Diego si avvicina e Alejandro mi saluta per tornare al suo gruppo di compagni. Diego guarda verso un uomo verso il quale Alejandro si avvicina. “Vedi Gigi, quell’uomo è uno dei Los Plumeros”. Alejandro gli sta chiedendo qualcosa. L’altro prigioniero con autorità dice con il capo di sì. E allora Alejandro corre verso di me… Il giovane ciccione arriva trafelato e mi dice: “Gigi voglio offrirti un regalo in modo che tu mi ricordi. Al collo porta un rosario di legno, se lo leva e me lo offre. Tieni Padre, usalo per pregare per me!“

Questo gesto mi commuove profondamente. Tocco la mia tasca ed estraggo il mio rosario di colore rosa proveniente dal Messico, era di Magdalena, una nonna che si è vista uccidere il nipote davanti. Bacio quella corona e dico al prigioniero. “Alejandro che bellissimo regalo ricevo oggi. Ti ringrazio di cuore anche io ti voglio fare un regalo, accetta il mio rosario, viene dal Messico ed è di una nonna che si è vista ammazzare il nipote davanti. Recita il rosario e tienilo al collo. Ti proteggerà dal male”.

Il ragazzo si illumina di gioia e mi dice: “Grazie, padre!”. Segue una breve lenta liturgia che non ha nulla da invidiare alle solenni liturgie di alcune delle nostre chiese: Alejandro attraverso le sbarre mi mette al collo il suo rosario e io lentamente metto al suo collo il mio. Ci salutiamo con lo sguardo, mentre Alejandro corre a mostrare al suo capo il rosario e da lontano l’uomo con rispetto mi saluta e allora tutti gli altri prigionieri mi salutano. Davvero questo breve incontro mi ha riempito il cuore profondamente.

Con Diego andiamo verso il panificio del carcere. Lascio ai carcerati l’immagine della Madonna Calpestata. Incuriositi, mi fanno domande, e io domando a loro. La nostra visita continua per arrivare alla cappella e celebrare la Messa in orario.

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