Una pioggia primordiale nel tempo dell’aridità

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.05.2023 – Renato Farina] – Michela Murgia sta morendo. Cinquant’anni, sarda, scrittrice, è da un paio d’anni l’intellettuale più in voga a sinistra, femminista, polemista, surclassando Roberto Saviano in violenza espressiva. Aldo Cazzullo le domanda: quindi non ha paura della morte? «No. Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più Presidente del Consiglio». C’è chi come ultimo desiderio chiede una sigaretta, lei si fuma la Meloni.

Insiste Cazzullo: come vorrebbe essere ricordata? «Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista» (Corriere della Sera, 6 maggio, prima pagina).

Giorgia Meloni capisce tutto. Perciò si lascia colpire dalla sassata, non para con il giubbotto antiproiettile la maledizione finale, esagerata e urticante. La premier comprende che lo scopo preciso della sua sfidante è di lasciare questa vita senza dare alla «fascista» l’occasione di una dolcezza che la renda apprezzata anche da Elly Schlein. L’autrice di Accabadora e di Catechismo femminista fa una comunicazione a due livelli: invita la sinistra a non dialogare giammai con Meloni; e chiede alla leader di Fratelli d’Italia di concederle un po’ di sincero odio, così da rendere più credibile il suo messaggio.

Preghiera sarda

In realtà è una forma di preghiera sarda, e Cossiga (per il quale Murgia dichiara simpatia) avrebbe elogiato questa maniera di mostrare rispetto per l’avversaria implorandone il rancore. Ma non ci riesce proprio, pur applicando tutta la sua buona volontà: non è mica di sinistra Giorgia. L’ultima volontà di Murgia (ma speriamo proprio che ne esprima tante altre, di ultime volontà) sussurrata all’orecchio di Giorgia – suo idolo polemico – è che almeno lei non le rovesci sulla testa l’acqua di rose della compassione.

La risposta arriva presto, ed è proprio lei, pienamente lei: Giorgia. «Apprendo da una sua lunga intervista che la scrittrice Michela Murgia è affetta da un bruttissimo male. Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee, ma voglio mandarle un abbraccio e dirle che tifiamo per lei. E io spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo. Forza Michela!».

Meloni non ha pietà della scrittrice, non le dà ragione su nulla, usa anche la parola «forza» che Michela ritiene belligerante e dunque offensiva. Non le risparmia niente. Dice anche che il cancro è «bruttissimo» quando invece nella medesima intervista Murgia lo descrive come «gentile».

Giorgia pratica la virtù civica per eccellenza quella che si chiama pietas, ed è il contrario del cinismo, per cui in fondo etimologicamente l’altro/a è un cane, preferibilmente morto. Una virilità femminile. La comune umanità, quella ragnatela invisibile che ci congiunge e consente di ritrovarsi insieme, persino da opposti lati dell’ideale, ma alleati, uno a cui telefonare quando il mondo (e ciascuno di noi è un mondo) va a puttane.

Giorgia intravede nel gesto di Michela qualcosa di prezioso, un diamante nel fango delle parole antipatiche: quello che a destra si chiama onore, e che compare nella sua autobiografia e nei discorsi decisivi come una stella che brilla sopra i confini di partito, nazione, religione.

Ironia lieve

E la risposta all’onore più bella è quella dell’ironia lieve, nulla di gutturale ma neppure di sdolcinato. La mia sorte è la tua. Se cado io, muori tu. Tranquilla che resisto a lungo, pur di sentire ancora la tua voce che mi bercia contro, altro che un ventennio, cinquanta almeno, come la dinastia coreana di Kim Il Sung. Possa tu vivere cent’anni.

Mi associo. Lunga vita a entrambe, abbiamo bisogno di eventi come quello di ieri.

Quel che è accaduto tra Michela Murgia e Giorgia Meloni è stato un dono inaspettato, una pioggia primordiale, attraversata da raggi di sole, nel tempo dell’aridità. Non ci sono finzioni, marketing, apparenza. Fa contenti di essere al mondo e di appartenere alla specie umana. Murgia ha vissuto l’ultimo anno senza protestare contro «il cancro che sono io» ormai al quarto stadio (G4), dal rene si è diffuso ovunque, polmoni, cervello, ossa. Non è maledetto né alieno.

Non c’è finale. La fine (la morte) è rimandata in una bruma lontana, ma dopo questo scambio tra le due donne della stessa generazione, la percepiamo come un’aurora dalle dita rosa. Michela ringrazia Dio per la morte che arriva lenta e consente di prepararsi al dopo. Come sarà? «Una comunione fortissima, continua, senza intervalli».

Il profilo

Il primo romanzo
Michela Murgia, 50 anni, ha scritto il suo primo libro II mondo deve sapere nel 2006: il testo è diventato la base del film di Paolo Virzi Tutta la vita davanti.

Teologia queer
Da giovane è stata animatrice dell’Azione Cattolica sarda. Negli anni ha promosso anche nei suoi testi l’intento di conciliare il pensiero cattolico al “diritto all’indefinitezza sessuale”, la cosiddetta “teologia queer”.

Le battaglie politiche
Dall’antifascismo militante alle battaglie Lgbt, la Murgia ha sposato la causa della sinistra radicale. Celebri le sue dure critiche alla Meloni («Non basta essere donna per essere femminista»).

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

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