Nessuna tolkeniana compagnia verrà in soccorso dell’Armenia, il dono ripudiato dal mondo
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.05.2023 – Renato Farina] – Qui sul bordo del lago di Sevan, di un azzurro pervinca zampillante di trote argentee (le più squisite del mondo: ai tempi dell’Unione Sovietica i compagni del Soviet supremo se ne approvvigionavano per via aerea), la natura grida con la bellezza armena di pietre e cielo: pace, pace, pace. Mi pare di essere stato trasportato, dentro la saga di J.R.R. Tolkien, nella contea degli Hobbit. L’aria è insieme dolce e frizzante, i prati smaltati di margherite, ma poco lontano da qui gli orchi di Saruman battono il passo.
C’è una differenza rispetto alla trama de Il Signore degli anelli: nessuna compagnia fatta di nani, elfi, uomini e mezzi uomini irromperà per frapporsi allo scempio. Finora gli hobbit-Armeni-Molokani sono rimasti soli. Ancora oggi, mentre scrivo, centoventi mila Armeni, di cui trenta mila sono bambini, stanno nell’Artsakh (Nagorno- Karabakh) sotto assedio azero. Niente pane, nessun medicinale può raggiungere i miei fratelli. L’ONU chiede, l’Unione Europea esige, tutti giudicano questo strangolamento un sopruso da interrompere subito. Ma nessuna sanzione. Cioè solletico. In pratica un via libera. Dove vuole arrivare Ilham Aliyev? Vuole un’altra Masada? (Nel 73 d.C. le legioni romane strinsero d’assedio in questa fortezza nel deserto gli Ebrei che per non consegnarsi si uccisero tutti).
Esco dal romanzo-fantasy e apro la posta dello smartphone. Mi appare il tweet del bravissimo giornalista italo-svizzero Luca Steinmann. Lo ha spedito poco fa e poco lontano da qui. La fotografia lo ritrae davanti a rovine. Scrive Steinmann: “Oggi a Sotk, villaggio armeno al confine con l’#Azerbajgian. È stato pesantemente bombardato durante un attacco dell’esercito dell’Azerbajgian che ora controlla diverse aree circostanti e altri territori dell’#Armenia. Gli abitanti temono un’imminente offensiva azera”.
Non c’è soltanto il nodo scorsoio che dal 12 dicembre 2022 l’Azerbajgian stringe al collo dell’Artsakh chiudendo il Corridoio di Lachin. Si va – sono stufo di ripeterlo – verso la ripetizione del genocidio, guardato con condiscendenza come nel 1915 dalle potenze occidentali. A Baku continuano a sbarcare armi.
La zampa del giaguaro azero è sollevata sulle nostre teste, mentre le mani dalle unghie ben curate dei leader europei stanno accarezzando il pelo maculato del predatore che ruggisce sereno. Questa zampa appena le contingenze internazionali lo consentiranno farà il suo infame mestiere da cannibale.
Eppure gli albicocchi sono in fiore. Il panorama dell’Armenia sembra pettinato dagli angeli quest’oggi. Nessuna albicocca è dolce come quella che matura da queste parti. Noè scendendo dall’arca seminò qui, in questa terra eletta, un dono per il mondo intero. Plinio il vecchio assaggiata la polpa le diede questo nome: Pomum Armeniacum, mela armena. In dialetto veneto si chiama armellina. Non è l’albicocca però il dono al mondo, ma è l’Armenia! Ed essa è ripudiata. Dunque metto nel cesto per gli amici italiani le albicocche seccate e profumate, e una bottiglia del liquore ricavato da albicocche d’oro. Vorrei tanto arrivassero al vostro amabile Premier Giorgia Meloni (sono madre, sono cristiana), e al Capo dello Stato Sergio Mattarella, che ben conosce l’orrore dei propri cari assassinati.
Lo so. Sono antipatico. Ci sono alcuni versi di Bertolt Brecht che mi risuonano nella mente.
“Sì, lo so: solo il felice
È amato. La sua voce
È ascoltata con piacere.
La sua faccia è bella.
In me si combattono
L’entusiasmo per il melo in fiore
E il terrore per i discorsi dell’imbianchino (Hitler, ndr).
Ma solo il secondo
Mi spinge alla scrivania”.
Finché sono vivo romperò la pipa e la peppa.
Il Molokano
Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di Tempi di aprile 2023 e online il 1° maggio 2023 [QUI].
Foto di copertina: albicocchi in fiore ai piedi del monte Ararat, in Armenia.



























