Credere in Cristo

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Quando definì il Bambino «segno di contraddizione» (cf Lc 2,22-35), al momento della presentazione di Gesù al tempio, il vecchio Simeone profetizzò a tutti gli effetti. Nei confronti della missione di Gesù, l’uomo può assumere diversi atteggiamenti. Tra di essi, ne emergono, in particolare, due negativi e uno positivo. I due negativi sono l’incomprensione e l’ostilità, il positivo è l’accoglienza piena ed entusiasta. La prima reazione negativa e quella dei “suoi” che, stravolgendo la realtà dei fatti, non lo comprendono e lo reputano, addirittura “esaltato”; l’altra è quella dei “farisei” che lo osteggiano e lo considerano “indemoniato”. C’è poi il comportamento positivo dei “veri discepoli” che, accogliendo la sua parola, compiono la volontà di Dio nella verità, nell’amore, nell’equilibrio dell’umiltà e nell’entusiasmo della semplicità. Credere non è capire, ma accogliere nel cuore, conservare nella mente, attuare nella vita.

Nel Vangelo di Marco (cf 3,20-35), troviamo dipinti tre quadri nei quali vediamo Gesù come protagonista e attorno a lui tre diversi e contrastanti modi di accogliere la sua azione libera e provocatoria. Nel primo quadro, incontriamo i suoi parenti che, nella loro chiusura mentale, ottusa e paurosa, lo definiscono pazzo. Nel secondo, scorgiamo i farisei, malvagi e ipocriti, che incarnano il rifiuto ostinato contro il Maestro. Il terzo quadro è costituito dai veri parenti che vedono, ascoltano e accolgono il suo mistero e stringono con Lui un’autentica parentela.

Nel primo quadro, sono dipinti i “falsi parenti”, cioè quelle persone apparentemente vicine, ma realmente lontane. Vicine perché consanguinei, lontane perché rifiutano le sue parole di verità e di vita. Quanti cristiani s’illudono di essere credenti, solo perché compiono certi riti o talune pratiche di religiosità esterna che talvolta hanno sapore più di un sacro paganeggiante illusorio e superficiale che di autentica fede coinvolgente, vigilante e operosa. La fede non è accettazione supina, quietistica e “incosciente” della verità ma lenta e faticosa conquista condotta in un percorso dinamico, discorsivo e responsabile.

Il secondo quadro presenta “i sapienti e gli intelligenti”, cioè scribi e farisei che vogliono screditare Gesù suscitando sospetti contro di Lui. È il tipico caso delle cosiddette persone “istruite” che usano il dono dell’intelligenza per la malvagità, la stoltezza e la contraffazione, provocando divisioni e non comunione. Le parole e le opere di Gesù, d’altronde, suscitando accoglienza ed entusiasmo tra le folle, accendevano l’astio e il rigetto degli avversari. I presuntuosi, i gelosi, i falsi e gli invidiosi sono tutti così!

Sappiamo che Gesù predilige il linguaggio dei fatti perché, attraverso di essi, manifesta la potenza del Signore, rivela il suo Regno di giustizia, di amore e di pace, di santità e di grazia. Gli scribi e i farisei, tipi pericolosissimi e sempre presenti nella storia, non potendo negare l’evidenza di quei fatti che Gesù compiva per la salvezza dell’uomo, li falsificavano nel loro significato fondamentale e li portavano come prova che in Lui non operava la potenza di Dio, ma quella di satana. Cattiveria e menzogna portano sempre alla perfida irrazionalità. Questi scribi e farisei, dunque, definiscono Gesù come un “indemoniato”. Il Maestro, nella sua grande umanità e serena dignità, cercando di stabilire con loro un dialogo di verità e smascherando l’illogicità delle loro affermazioni, risponde agli avversari dicendo: «Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi… se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere ma sta per finire». Gli avversari, nella loro malvagità, chiudono intenzionalmente gli occhi davanti all’evidenza del ragionamento. Quando si rifiuta la verità, si finisce sempre per essere illogici e assurdi. Gesù, essendo l’uomo forte che lega il potere di satana e scaccia i demoni in virtù dello Spirito di Dio, alla fine pronuncia la terribile frase: «In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini… ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».

Il Maestro fa distinzione essenziale nel valutare i peccati, distinguendo quelli che si riconoscono come tali da quelli che sono consapevolmente travestiti da virtù. Questi ultimi peccati non potranno essere mai perdonati, non perché Dio non vuole concedere il perdono ma perché l’uomo, rifiutandoli come tali, incoscientemente, non avverte l’esigenza di chiedere perdono. Il peccato contro lo Spirito Santo è rifiuto cosciente, sprezzante e ostinato della verità, della grazia e dell’opera salvifica di Cristo. Chi sceglie il “male” chiamandolo “bene”, chi vive nella “tenebra” credendola “luce”, chi confonde “immoralità” per “libertà” non può ricevere perdono perché ha perduto il senso della verità, della luce e del bene. San Paolo, giustamente, riferendosi ai falsi apostoli che si mascherano da apostoli di Cristo, li paragona a satana che «si maschera da angelo di luce» (2Cor 11,14).

Nel terzo quadro, il divino Maestro, dipingendo la figura luminosa del vero discepolo fedele, dà una definizione semplicissima ed efficace: è fedele quel discepolo che compie la volontà di Dio, è questo il vero criterio che lo rende “familiare” di Gesù.

Ci racconta ancora Marco che, un giorno, la madre e i parenti di Gesù lo andarono a trovare ma non poterono avvicinarlo a causa della folla. All’annunzio della loro presenza, Gesù rispose: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?», volgendo poi lo sguardo su quelli che gli stavano attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre». Nel Regno di Dio, d’altronde, non contano solo i vincoli naturali, il discepolo fedele è il vero credente che realizza con Cristo l’incontro di salvezza attraverso la via della fede che passa attraverso l’intelligenza, raggiunge il cuore, diventa vita. Infatti, chi compie la volontà di Dio viene a instaurare nel nome di Cristo la nuova parentela, che si vive sia nell’ascoltare appassionatamente la parola di Dio annunziata dalla Chiesa e nella Chiesa celebrata, sia nell’attingere la grazia divina dai santi sacramenti che sono i segni dell’intimo rapporto personale-comunitario con Dio. Ciò comporta, però, conoscere la Chiesa e amarla. Sì, la Chiesa! Misteriosa realtà umana e divina, santa e peccatrice. Corpo e Sposa di Cristo, custode gelosa e trasmettitrice di un mistero che la trascende e la divinizza. Madre e Maestra, la Chiesa ci rende “familiari” di Cristo Gesù.

Perché tanti cristiani cercano altrove? Perché tanti non cristiani sono contrari, indifferenti o diffidenti? La Chiesa che amiamo e alla quale apparteniamo non è, in certo senso, la Chiesa “ideale”, ma quella che vive nella storia, con i suoi limiti, le sue incertezze e le sue lentezze. Inoltre, ci sono anche i peccati, le imperfezioni e le fragilità di tutti quelli che la formiamo e, proprio per questo, possiamo farla apparire lontana dagli ideali evangelici e dalla missione per cui è stata inviata. Tutto ciò può rendere difficile la sicurezza e l’entusiasmo della fede e si può, addirittura, giungere ad appellarsi persino al Vangelo contro la stessa Chiesa, distruggendosi reciprocamente attraverso quel “cattolicume” infarcito di fariseismo perverso e di perbenismo scostante. Questa è tentazione comprensibile ma non per questo meno diabolica!

La giovane Vergine, Maria di Nazaret, fu la prima creatura a credere, la prima credente a essere Madre del Figlio del Padre, prima ancora che per la relazione naturale della carne, per il compimento della volontà di Dio e per l’adesione piena, responsabile ed entusiasta alla sua Parola: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,28). Sant’Agostino, con due semplici parole, così esprime il grande mistero della Vergine Madre: Fide concepit! Se, come dichiara lo stesso Gesù, gli è madre chi compie la volontà del Padre, Maria è doppiamente Madre perché, credendo, ha concepito il Verbo di Dio. Dall’Annunciazione alla Natività, dalla Morte alla Risurrezione, l’esistenza di Maria è stata vivificata da un ininterrotto pellegrinaggio di fede, attraverso quello che contemplava con gli occhi e ciò che intravedeva col cuore mediante la fede. E noi, con Elisabetta invasa dallo Spirito, eleviamo il canto di benedizione e di lode: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). La Serva Regina, la Vergine Madre, l’Immacolata Assunta, per pura grazia e per singolare dono, è il termine di un’elezione d’immenso e misterioso amore. Inizio e modello della Chiesa, nella Chiesa, Maria è Madre di chi ascolta, accoglie e serve la Parola, attraverso l’obbedienza operosa alla volontà di Dio, lasciandolo agire nella propria vita senza remore, misure e confini, vivendo la fede come «fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1). Fondamento e prova sono la stessa fede che già vede e pregusta quel che ancora non è.

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