San Giovanni Paolo II sotto attacco per colpire la Chiesa. La domanda maestra in un giallo ciclico a scoppio ritardato: «C’è regia occulta?»

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.04.2023 – Vik van Brantegem] – Per capire l’attacco a San Giovanni Paolo II di questo periodo, abbiamo già offerto alcune riflessioni con le puntate precedenti. Oggi, suggeriamo di ascoltare la Tavola Rotonda La Chiesa sotto attacco di Radio Maria del 16 aprile 2023, moderata da Andrea Morigi con Giuseppe Rusconi, Renato Farina e Carlo Giovanardi [QUI].

Poi, c’ l’editoriale di Famiglia Cristiana in edicola, con la domanda: “C’è una regia dietro questi attacchi? A seguito, consigliamo la lettura di un articolo di Orazio La Rocca, Emanuela Orlandi, un mistero che dura da 35 anni. Con il rinvenimento di resti umani in un edificio della nunziatura apostolica si riapre il caso della scomparsa della ragazza figlia di un dipendente del Vaticano scomparsa il 22 giugno 1983, pubblicato il 31 ottobre 2018 su Famiglia Cristiana e un’analisi di Gian Paolo Pelizzaro, Complotti strampalati. Caso Orlandi e Papa Wojtyła, perché quella bufala non sta in piedi, pubblicato il 13 aprile 2023 su Reggio Report.

Attacchi a Wojtyła, Famiglia Cristiana solleva dubbio: “C’è regia occulta?”
Il settimanale dei Paolini interviene dopo le polemiche scatenate dalle dichiarazioni del fratello di Emanuela Orlandi
Adnkronos, 20 aprile 2023


“C’è una regia dietro questi attacchi? Neppure il dolore autorizza a infangare la memoria di un santo”. Famiglia Cristiana prende posizione sulle polemiche seguite alla partecipazione di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, a DiMartedì su La7 lo scorso 11 aprile. “Il bisogno di verità e chiarezza della famiglia Orlandi è sacrosanto”, scrivono il Direttore, Don Stefano Stimamiglio, e il Condirettore, Luciano Regolo, nell’editoriale che apre il numero in edicola: “Anzi, questo è un bisogno di un intero Paese”.

“Emanuela sta in Cielo!” (Papa Francesco, 13 giugno 2013)

Ritornando cinque anno indietro nel tempo – per ricordare che il “giallo Orlandi” viene presentato ciclicamente a scoppio ritardato, con “nuovi” colpi di teatro a orologeria – rileggiamo l’articolo di Orazio La Rocca, Emanuela Orlandi, un mistero che dura da 35 anni. Con il rinvenimento di resti umani in un edificio della nunziatura apostolica si riapre il caso della scomparsa della ragazza figlia di un dipendente del Vaticano scomparsa il 22 giugno 1983, pubblicato il 31 ottobre 2018 su Famiglia Cristiana [QUI]:

“Emanuela sta in Cielo!… Emanuela sta in Cielo!”. Papa Francesco lo ripete per due volte ad un attonito Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un dipendente del Vaticano misteriosamente scomparsa il 22 giugno 1983. Il breve colloquio tra l’argentino Jorge Mario Bergoglio, eletto al Soglio di Pietro il 13 marzo 2013, e il cittadino vaticano Pietro Orlandi si svolge in strada 5 anni fa. Non è una udienza che di norma ha luogo nelle rinascimentali sale del Palazzo Apostolico dove i familiari di Emanuela per anni hanno invano chiesto di poter accedere per avere possibili notizie sulla loro congiunta. L’incontro avviene a fatica sul marciapiede antistante la parrocchia di S. Anna, in Vaticano, dove Pietro a forza di spintoni è riuscito a farsi largo tra una gran folla che attende l’uscita del Papa dalla chiesa dove per la prima volta ha celebrato Messa. È il pomeriggio del 13 giugno 2013, esattamente 3 mesi dopo l’elezione papale di Bergoglio, vale a dire un tempo obiettivamente insufficiente per il nuovo pontefice di poter mettere mano a tutti i dossier pontifici e, tantomeno, avere lumi su uno dei casi più inquietanti e misteriosi che da oltre 30 anni è in attesa di un chiarimento. Un nuovo pontefice arrivato per di più dalla lontana Argentina dove ha trascorso quasi tutta la sua vita di sacerdote gesuita, vescovo e cardinale senza avere eccessive frequentazioni Oltretevere. Eppure quel giorno Papa Francesco, sollecitato da Pietro Orlandi che gli chiede di essere ricevuto per poter essere messo a conoscenza delle “carte” vaticane relative alla scomparsa della sorella, con tono paternalistoico si lascia sfuggire una frase che nessun predecessore – vale a dire il papa emerito Benedetto XVI e S. Giovanni Paolo II – si era azzardato ad accennare nemmeno vagamente, “Emanuela è in Cielo!…”, dando l’impressione di essere a conoscenza che la ragazza purtropppo era andata incontro ad una tragica fine dopo il rapimento e di voler invitare familiari e conoscenti a mettersi l’animo in pace nella preghiera e nella fiducia della Misericordia divina.

Parole, quelle pronunciate da Papa Bergoglio al fratello di Emanuela, che 5 anni dopo forse potrebbero trovare conferma se veramente le ossa umane trovate durante i lavori di scavo in uno scantinato della Nunziatura Apostolica in Italia, di via Po a Roma, risulteranno appartenenti dopo le verifiche della polizia scientifica alla sedicenne scomparsa nell’83. La notizia del ritrovamento dei resti umani nella sede diplomatica vaticana è stata data ieri sera – martedì 30 ottobre – dalla Santa Sede e confermata dalla magistratura romana. Ma per arrivare all’esito degli esami ci vorrà del tempo. Giorni? Qualche settimana? Qualche mese? Dopo 35 anni, da quando quel 22 giugno del 1983 sparì nel nulla Emanuela Orlandi, la famiglia non si è mai arresa nella ricerca della verità. Anni di dolore, indagini, purtroppo anche di illazioni e depistaggi, che hanno portato ad una estenuante altalena di speranze e delusioni che hanno fatto del caso Orlandi uno dei grandi misteri d’Italia che è aleggiato su due pontificati, quelli di Karol Wojtyła e di Joseph Ratzinger, ed ora su quello di Papa Bergoglio. Misteri che, di volta in volta, hanno avvicinato la sorte della piccola Emanuela a vicende molto più grandi di lei come l’attentato Papa Wojtyła del 1981, lo scandalo dello IOR, la banca Vaticana, presunti coinvolgimenti malavitosi della Banda della Magliana, trame dei servizi segreti dell’Est e dei Paesi arabi. Ma senza nessun esito attendibile. “È un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai”, aveva ripetuto in occasione dell’ultimo anniversario della scomparsa, il fratello Pietro che, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, è tornato a chiedere giustizia direttamente al Tribunale Vaticano. E infatti dallo scorso novembre la denuncia di scomparsa è di nuovo sui tavoli della Gendarmeria pontificia e del Promotore di Giustizia vaticana, il pm papale. Un passo col quale la famiglia Orlandi ha chiesto anche alle autorità pontificie di essere messa a conoscenza di un presunto fascicolo sul caso secretato in Vaticano. Il fascicolo è stato aperto “ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno”, ha denunciato più volte l’avvocato Laura Sgrò, legale degli Orlandi. Che invano ha anche chiesto che venisse sentito il presunto boss mafioso Pippo Calò, oggi 87enne, attualmente detenuto al 41 bis nel carcere di Opera a Milano.

All’epoca dei fatti, nel 1983, era a Roma, era considerato un personaggio di spicco della malavita per cui, a detta di Laura Sgrò, poteva essere a conoscenza “di quello che succedeva” nella Capitale, e quindi anche della sparizione di Emanuela Orlandi. Episodio che ha anche un precedente inquietante, a maggio, con la scomparsa di un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela. I due casi vengono quasi subito collegati, grazie anche alle continue esternazioni di Ali Agca, l’attentatore del Papa, che però non ha mai fornito prove vere. Mirella Gregori, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, a Roma, studentessa, non conosceva Emanuela Orlandi, né le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Mirella scomparve dopo aver detto alla madre che “aveva un appuntamento” presso il monumento al bersagliere di Porta Pia con un vecchio compagno di classe, che peraltro quel pomeriggio era impegnato altrove. Da quel momento la famiglia non ha più avuto notizie della ragazza e sul caso cala il silenzio. Viene però riportato a galla con la scomparsa di Emanuela, che si trasforma in un giallo internazionale che coinvolge in pieno la Santa Sede spingendo Giovanni Paolo II ad intervenire pubblicamente più volte lanciando appelli per la sua liberazione.

La presenza di Emanuela Orlandi, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili. C’è stato persino chi ha sostenuto che la ragazza era stata trasferita in un Paese arabo, forzatamente convertita all’Islam e nel frattempo diventata sposa e madre. Solo illazioni e anche forme deleterie di sciacallaggio. Al punto che la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Il caso riesplode nel giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda della Magliana. In seguito si parla di un presunto assassinio di Emanuela Orlandi che sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all’Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete. Nulla di fatto neanche dopo le analisi svolte sulle ossa rinvenute nella cripta della basilica di Sant’Apollinare, a Roma, nella quale era stato seppellito De Pedis accanto al quale sarebbe stata deposta anche la ragazza. Nel 2016 nuova archiviazione dell’inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione. Ma la famiglia non si arrende e si rivolge alla magistratura vaticana che, ora, insieme alla magistratura italiana ha riaperto il caso dopo il ritrovamento delle ossa nella nunziatura. Di chi sono quei resti? Di Emanuela Orlandi? Di Mirella Gregori? O si tratta di resti di sepolture di secoli passati? La parola alla scientifica.

Orazio La Rocca

Poi, torniamo indietro ad oggi, con la lettura di un’analisi di Gian Paolo Pelizzaro, Complotti strampalati. Caso Orlandi e Papa Wojtyła, perché quella bufala non sta in piedi, pubblicato il 13 aprile 2023 su Reggio Report [QUI]:

Pietro Orlandi è sempre più convinto di un coinvolgimento personale e diretto di Papa Giovanni Paolo II nella tragica vicenda di sua sorella Emanuela, la giovane cittadina vaticana svanita nel nulla all’età di quindici anni nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 giugno 1983 tra piazza Sant’Apollinare e corso Rinascimento a Roma.

L’8 aprile 2023, intervenuto in studio durante la trasmissione DiMartedì, in onda su La7 e condotta da Giovanni Floris, il fratello maggiore della ragazza scomparsa, accompagnato dall’avvocata Laura Sgrò, ha testualmente dichiarato: «L’ipotesi di cui sono convinto io? Che ci sia stato un ricatto, ma nato all’interno del Vaticano, tra due gruppi di persone. L’oggetto del ricatto non poteva essere Emanuela, una ragazzina di… cittadina vaticana. Non poteva essere soltanto lei l’oggetto di un ricatto. Emanuela, secondo me, è stata messa in una situazione per creare l’oggetto di un ricatto molto più forte. Per questo, l’altro giorno, la scorsa volta, quando abbiamo parlato della pedofilia e della possibilità che persone molto in alto, ma veramente molto in alto, ai vertici del Vaticano, possano aver commesso qualcosa e qualcuno possa aver utilizzato quella situazione per creare un ricatto enorme. Io, pochi giorni fa, ho incontrato un vescovo per parlare di questa questione di Emanuela e a un certo punto il discorso è andato sulla pedofilia nella Chiesa. Io avevo raccontato il fatto, che avevo raccontato qua, dei quattro cardinali, della Gendarmeria che era andata con la foto di Emanuela da questi quattro cardinali che, secondo loro, avevano relazioni con ragazzini e ragazzine. Gli ho raccontato questo fatto, e lui [riferendosi al vescovo] … “accidenti, veramente”. Io, quindi, penso che una delle possibilità è che Emanuela possa aver magari subito un abuso, ma che sia stato organizzato quell’abuso. È stata portata da qualcuno per creare l’oggetto del ricatto. E siccome il Vaticano da quarant’anni fa di tutto per evitare che possa uscire la verità… Certo, se normalmente nel ’93 [forse voleva dire 1983, ndr.] si parlava della pedofilia dei cardinali come se fosse una cosa normale e accettata, uno può pensare che anche la pedofilia sia anche più su di quei cardinali. E lui [riferendosi al vescovo che ha incontrato, ndr.] dice “embè, probabilmente”. E io ho detto “forse non mi sono spiegato. Non so se ha capito. Io parlo dei cardinali e quando parlo di più su mi riferisco a Wojtyła”. E l’anonimo vescovo ha replicato: “probabile, ma io penso che non sia un ricatto. Penso che se è successa quella cosa, hanno fatto di tutto per silenziarla. C’è qualcuno che ha contattato…”».

Floris: «Ci vuole dirci il nome del vescovo con cui ha parlato?»

Pietro Orlandi: «C’è qualcuno che ha contattato magari qualcuno di questi criminali che conoscono e ha cercato di mettere a tacere questa situazione [il vescovo, ndr.] non è rimasto sconvolto quando gli ho detto se era normale e accettata la pedofilia nell’83 poi da parte di alcuni cardinali. In Vaticano era accettata da tutti, o che si tratti del sagrestano o che si tratti dell’alto vertice».

Parole pesantissime, che gettano uno spaventoso alone di sospetto sulla figura di Karol Wojtyła, un Papa peraltro beatificato il 1° maggio 2011 e canonizzato santo il 27 aprile 2014.

L’11 aprile scorso, una settimana dopo le sue esplosive dichiarazioni alla trasmissione di Floris, Pietro Orlandi è stato sentito per oltre sette ore dal Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano (l’equivalente del procuratore della Repubblica in Italia), Alessandro Diddi, nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, aperta il 9 gennaio scorso su preciso mandato di Papa Francesco. Per la cronaca, non è la prima volta che la magistratura vaticana indaga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Era già accaduto esattamente nell’aprile di quattro anni fa, quando la Segreteria di Stato, retta dal cardinale Pietro Parolin, aveva reso noto di aver autorizzato una serie di accertamenti interni. Le attività di indagine erano state delegate all’allora promotore di giustizia presso il Tribunale vaticano, Gian Piero Milano, il quale da tempo coordinava gli accertamenti in territorio vaticano sulla sorte della giovane figlia del commesso anziano della Prefettura della Casa Pontificia, Ercole Orlandi.

Il figlio Pietro ha così commentato l’esito della sua deposizione resa al Promotore di Giustizia Diddi: «Oggi [leggi martedì 11 aprile, nda] mi sono sentito bene perché finalmente mi sono potuto sfogare e dire le cose che avrei voluto dire da almeno due o tre anni. Abbiamo parlato di tante cose della famosa trattativa Capaldo [riferendosi al presunto ruolo di negoziatore con le autorità vaticane dell’allora procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, nda], del trasferimento di Emanuela a Londra, di pedofilia, degli screenshot dei messaggi di cui siamo entrati in possesso. Così finalmente, dopo 40 anni ho potuto sfogarmi e ho trovato ampia disponibilità a fare chiarezza, a mettere un punto, qualunque sia la responsabilità. Ho presentato una nota informativa rispetto alle cose che avrei raccontato a voce. Mi hanno ascoltato e hanno accettato tutto quello che avevo da dire, sottolineando che auspicano la massima collaborazione con la Procura di Roma e le altre istituzioni italiane. Sono state verbalizzate tutte le mie dichiarazioni. Ho fatto i nomi delle persone e dei cardinali che, secondo me, dovrebbero interrogare anche di alti prelati come il cardinale Re che stava sempre a casa nostra e che aveva delle relazioni strette con l’avvocato Egidio dell’epoca e che quindi sapeva tutti i movimenti e tutto quello che accadeva. Così come altri personaggi che avrebbero avuto un ruolo o essere a conoscenza dei fatti. Queste sono le cose fondamentali su cui loro devono lavorare. Questo è un momento importante perché a qualcosa deve portare, dopo le mie dichiarazioni ci devono essere delle risposte. Io in 40 anni non sono mai stato interrogato in una maniera così approfondita. Il fatto stesso che il Promotore abbia ricevuto da Papa Francesco e dal Segretario di Stato il compito di fare chiarezza e non fare sconti a nessuno è significativo. Ho riparlato dell’audio di Marcello Neroni…».

Ecco il nome: Marcello Neroni.

La pista della pedofilia che coinvolgerebbe personalmente e direttamente Karol Wojtyła, battuta da mesi in modo assiduo da Pietro Orlandi e dalla sua legale Laura Sgrò, è strettamente collegata alle rivelazioni di un balordo in qualche modo contiguo con ambienti della criminalità romana, il citato Marcello Neroni di cui ha fatto riferimento il fratello di Emanuela durante il suo punto stampa al termine della sua audizione da parte del Promotore di Giustizia vaticano.

Si tratta delle ennesime rivelazioni a scoppio ritardato, registrate dal blogger veneto Alessandro Ambrosini editore e autore del canale “Notte criminale” nel 2009 e divulgate 13 anni dopo, il 9 dicembre 2022. Neroni – personaggio di secondo piano coinvolto marginalmente nella cosiddetta Operazione Colosseo (l’inchiesta del giudice istruttore Otello Lupacchini contro la Banda della Magliana) e presentato come socio in affari dell’esponente di spicco del clan dei cosiddetti Testaccini Enrico De Pedis – ha parlato per quattro ore (l’audio registrato è stato reso pubblico col titolo “Vatican shock: le radici oscure del caso Orlandi”), durante le quali – stando ad Ambrosini – l’intervistato (consapevole o meno) pensava o credeva di avere di fronte esponenti delle forze di polizia o dei servizi segreti.

Cosa ha detto Neroni in questa registrazione?

Testuale: «De Pedis è sepolto lì per grazia ricevuta. Ma non per quello ce dice quella pazza della Minardi. Ma lei lo sa chi era Casaroli? E allora basta. Quello veniva al riformatorio e ci portava le sigarette. Era pure [bip dell’omissis sonoro] e che er Papa [altro bip] Papa Wojtyła… lasciamo perde’, va’. Ma lasciamo perde [vari bip] e chi gli ha salvato le chiappe è Casaroli. Casaroli, però, non è intervenuto direttamente. Ha fatto intervenire i cappellani, gli ex cappellani di Regina Coeli che portavano whisky, lettere, tutto quello che serviva, droga, all’interno del carcere. Quando è servito qualcosa, a chi s’è so’ rivolti? […] Cioè, allora Wojtyła [serie di bip] pure insieme se le portava a letto. A letto, non so dove se le portava, all’interno del Vaticano. Quando è diventata una cosa, è diventata una schifezza, il Segretario di Stato ha deciso di intervenire, ma non dicendo a Wojtyła, “mo le levo da mezzo”, s’è rivolto a chi? Lui essendo esperto del carcere, faceva il cappellano al riformatorio qua al carcere, s’è rivolto al cappellano del carcere. I cappellani del carcere, uno era calabrese e l’altro era un furbacchione. Un certo Luigi e un certo padre Pietro, non hanno fatto altro che chiamare De Pedis e gli hanno detto “sta succedendo questo. Ce poi da’ una mano?”. Punto. Il resto so’ tutte cazzate».

Facciamo un po’ di ordine.

Dunque, secondo questo ex socio in affari di “Renatino” De Pedis, registrato di nascosto da Ambrosini nel 2009, Emanuela Orlandi sarebbe stata coinvolta in un giro di pedofilia con Karol Wojtyła e, quando la scabrosa faccenda divenne un pericolo e una minaccia per il Papa, sarebbe intervenuto il Segretario di Stato, Agostino Casaroli, per far “ripulire” la scena, chiedendo – per il tramite di due cappellani di Regina Coeli – l’intervento di Enrico De Pedis. A rendere il racconto di Neroni ancor più appetibile è il fatto che all’epoca l’aiutante di uno dei due cappellani del carcere era don Piero Vergari, il rettore della Basilica di Sant’Apollinare, adiacente l’omonimo palazzo dove aveva sede la scuola di musica sacra Ludovico Da Victoria, dove andava a lezioni di canto corale e flauto Emanuela Orlandi. Colpisce il sincronismo del racconto di Neroni con le “confessioni” di Sabrina Minardi, la presunta amante di De Pedis. È stata la stessa vedova De Pedis, Carla Di Giovanni (morta di tumore all’età di 70 anni nella clinica Ars Medica a Roma l’11 maggio di tre anni fa), a raccontare come andarono le cose nel 2009, in una intervista sulla testata web Blitz Quotidiano pubblicata il 4 aprile 2012: «La Minardi è stata interrogata dalla Procura della Repubblica il 18 novembre 2009, il giorno in cui tutti i mass media senza avere neppure avuto il tempo di fare mezza verifica hanno suonato la grancassa della soluzione del caso Orlandi. Sette giorni prima, l’11 novembre, ero stata contattata telefonicamente da monsignor Piero Vergari, il rettore della basilica di Sant’ Apollinare che Enrico aveva conosciuto come aiutante del cappellano di Regina Coeli e frequentato una volta libero. Vergari mi riferì di aver ricevuto il 5 di quel novembre un fax con il seguente messaggio: “Sua eccellenza Monsignor Vergari, avrei urgente bisogno di contattarLa. Il mio numero è 348… Dottoressa Minardi”. Mi feci dare il fax da Vergari e il 13 novembre lo consegnai nelle mani dei magistrati Giancarlo Capaldo e Simona Maisto. Cinque giorni dopo, e precisamente la sera del 18 novembre 2009, Sabrina Minardi rese la nuova “testimonianza”. E così, dopo 26 anni, cominciano i suoi miracolosi riconoscimenti, a partire dalla voce di quel “Mario” che telefonava agli Orlandi per tranquillizzarli pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela. Sono convinta che la mia consegna di quel fax ai magistrati e il loro successivo intervento ha fatto molta chiarezza. Nessuno poteva immaginare che quel fax sarebbe finito in mano ai magistrati».

Molte cose si sono mosse in quelle settimane del 2009.

Piano piano qualcuno ha preparato gli ingredienti del complotto relativo alla pista sulla pedofilia, passando attraverso il presunto coinvolgimento delle più alte gerarchie vaticane, tirando in ballo Papa Giovanni Paolo II e il suo Segretario di Stato Casaroli, per arrivare al defunto (è stato assassinato il 2 febbraio 1990) e sempre spendibile Enrico De Pedis, fulcro della cospirazione che avrebbe visto la partecipazione attiva degli uomini della Banda della Magliana come esecutori dell’infernale piano criminale. Dal campo delle ipotesi, nel volgere di 14 anni si è arrivati a delle pseudo verità da molti ritenute inconfutabili, nonostante tutta questa ingarbugliata, scivolosa e contraddittoria materia sia stata archiviata con decreto del GIP di Roma, Gianni Giorgianni, il 19 ottobre del 2015.

Ma come spesso accade, il grande teorema rischia di crollare per via di un piccolo, ma significativo dettaglio che finisce col mettere in crisi l’intera trama dello sceneggiato.

In questo caso, il presunto coinvolgimento del Papa polacco nello spaventoso giro di pedofilia interno alla Chiesa e nel quale sarebbe stata inghiottita Emanuela Orlandi urta contro un semplice dato cronologico: Wojtyła dal 16 giugno 1983 era in viaggio in Polonia, insieme a Casaroli. Il giorno della scomparsa della ragazza, Giovanni Paolo II era a Cracovia e quindi – visto che non poteva certo aver avuto un ruolo personale e diretto nella sparizione della giovane cittadina vaticana, si dovrebbe ipotizzare che il Cardinale Casaroli – seguendo le varie ipotesi avanzate fino a oggi e in qualche modo rilanciate dallo stesso Pietro Orlandi – abbia lasciato ai suoi referenti cappellani del carcere di Regina Coeli la direttiva di procedere alla soppressione della ragazza proprio nei giorni della loro assenza da Roma, motivata dal secondo viaggio apostolico in Polonia (il primo fu quello dal 2 al 10 giugno 1979). Un apparente astuto espediente per precostituirsi un alibi d’acciaio. Un piano, questo se fosse vero, degno di una mente criminale di altissimo livello. Ma…

C’è un altro piccolo granello che va a inceppare le ruote degli ingranaggi di questo teorema. Che senso aveva – da parte dei presunti esecutori materiali, entrati in scena o personalmente o per interposta persona la sera stessa della scomparsa di Emanuela Orlandi, tra le ore 20 e 21 di quel mercoledì 22 giugno 1983, così come ha raccontato Monsignor Carlo Maria Viganò nella sua intervista ad Aldo Maria Valli pubblicata sul suo blog il 1° novembre del 2019 – telefonare alla Sala Stampa della Santa Sede per fare sapere che la ragazza «è stata rapita»? Enrico De Pedis e i suoi scagnozzi che interesse avrebbero avuto nell’uscire immediatamente allo scoperto, telefonando due ore dopo aver sequestrato e soppresso la ragazza (sempre che non sia stata «trasferita a Londra» come ipotizzano coloro che danno per attendibile un documento-patacca uscito dal Vaticano e pubblicato da Emiliano Fittipaldi nel settembre 2017), chiedendo di parlare (fingendosi degli stranieri anglofoni) con il Segretario di Stato, in quel momento in Polonia con il Papa, se Agostino Casaroli – a detta di Neroni – fosse stato il mandante dell’intera operazione?

In questo caso, non ci troveremmo di fronte a una mente criminale di altissimo livello, ma a un improvvisato sceneggiatore di un giallo di serie B e cioè un maldestro mandante che si affida incautamente a personaggi sui quali non ha nessun controllo che mettono in scena la commedia di una falsa trattativa che andrà avanti per mesi.

Qual è il senso di questo pasticcio?

Possiamo immaginare lo schivo e prudentissimo Cardinale Agostino Casaroli (che il compianto decano dei vaticanisti italiani Benny Lai descrive in questo modo: «Uomo dai modi garbati e suadenti, facile al sorriso e pronto a lasciarsi avvicinare dai giornalisti, ma abilissimo nel difendersi dalla eccessiva curiosità, celandosi dietro la cortina di un linguaggio fumoso») mettere la propria vita e la propria reputazione nelle mani di due furbacchioni cappellani di Regina Coeli per chiedere loro l’interessamento di un carcerato (De Pedis) per far eliminare una povera quindicenne, al fine di evitare uno scandalo nella Curia? E i criminali che avrebbero aderito alla richiesta del Segretario di Stato, due ore dopo aver fatto quello che gli era stato richiesto, decidono di telefonare tamburo battente in Vaticano chiedendo di parlare con il mandante, in quel momento a oltre 1.576 di km di distanza da Roma?

A nostro modesto avviso, la verità sulla sorte di questa povera ragazza – continuando a battere piste sempre più strampalate come questa – rischia di allontanarsi per sempre.

Gian Paolo Pelizzaro

Indice – Il “giallo Orlandi” anno 2023 [QUI]

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