La diversità dà fastidio?
Alcune notizie diventano opprimenti e forse per questo non finiscono nei titoli dei giornali, perché ci sconvolgono. Quindi è meglio passarle sotto silenzio, in modo che la nostra coscienza sia tranquillizzata ed anestetizzata. Ma la morte non concede alla coscienza tregua e tra le righe ci dice quello che non volevamo conoscere: stiamo uccidendo i nostri figli che non sono perfetti.
In una società perfettamente democratica non possiamo tollerare la diversità, che mette a rischio la fiducia in una scienza illimitata. A Firenze, in un convegno medico il professor Gianfranco Vazzoler, della Consulta di Bioetica di Pordenone, ex primario presso l’Ospedale Civile e Policlinico di Pordenone, ha svolto una relazione su “Il neonato è persona?”. Ecco cosa ha detto.
“I feti, i neonati, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in uno stato vegetativo permanente, cioè senza speranza, costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità fanno parte della specie umana, ma non sono persone”. Parlando di rianimazione dei prematuri, ha aggiunto che “alcuni neonati sono neurologicamente e fisicamente così compromessi da essere impossibilitati irreversibilmente ad acquisire il loro potenziale di conquista dei diritti. Non potranno mai diventare persone e quindi il loro migliore interesse non sta nel perseguire la vita”.
Avete capito bene il significato del punto interrogativo della sua relazione? Serviva a dire che, purtroppo, il concetto di ‘persona’ non può accordarsi a tutti, ma solo a quelli sani e belli. Forse, in questo caso il termine ‘persona’ si potrebbe non attribuire anche a chi, pur potendo, non usa completamente la sua mente. Come è possibile che qualche luminare possa fare questo discorso senza che nessuno intervenga? Senza che l’Ordine dei Medici non abbia nulla da dire? Siamo al colmo della ‘cultura della morte’.
In fondo, tutte le società hanno preferito non avere rapporti con chi è diverso, perché è capace di rompere il nostro gioco: allora uccidiamolo, così purifichiamo la nostra coscienza! Infatti un ragazzo down o disabile è un costo per la società. Lo sostiene anche la società australiana. Un medico tedesco, Bernhard Moeller, sposato con tre figli, due anni fa è andato a lavorare nell’ospedale della cittadina di Horsham, nello stato di Victoria, dove è cronica la carenza di personale qualificato e dove è l’unico medico specializzato in terapia intensiva per una comunità di più di cinquantamila persone.
Moeller, in possesso di un visto temporaneo fino al 2010, si è visto negare dalle autorità per l’immigrazione il permesso permanente perché il più piccolo dei suoi figli, il tredicenne Lukas, è affetto da sindrome di Down. Oggi Lukas frequenta normalmente la scuola, gioca a calcio e a cricket, ma rischia nel tempo di rappresentare un “onere significativo” per la sanità australiana, si è sentito dire Moeller.
Qualche mese fa uguale storia in Italia. In un supermercato milanese una madre di una bambina disabile ha denunciato un episodio successo al figlio disabile, un bimbo bellissimo, ma che non parla e che ha reazioni diverse dagli altri, desiderava essere fotografato, accanto alle auto a grandezza naturale, copie di quelle del film ‘Cars’. Invece il fotografo si spazientisce perché il bimbo non si mette in posa nei due secondi due che sono dedicati a lui, gli urla, lo allontana, e nessuno reagisce. Una hostess del centro commerciale si avvicina e quando capisce, dalla mamma, che il bimbo è autistico, se ne esce con una splendida frase da incorniciare a futura memoria: “Ma se non è norlame non lo deve portare in mezzo alla gente”.
Lo sapevamo che i figli erano solo costi per le nostre società, ma purtroppo fino a questi alti pensieri filosofici non era arrivato nemmeno Goebbels. A distanza di secoli, nel nostro progressista e democratico mondo possiamo dire che ci sono molti più ‘Erode’ che ai tempi di Gesù, senza che nessuno se ne scandalizzi. Anzi è una normalità, visto che nei mass-media queste notizie sono state come sempre relegate alle brevi.