La luce che attraversa il tempo. Parlare con il Signore come con un amico
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.04.2023 – Renato Farina] – Può la verità essere insieme inquietante e rasserenante? Le cose vere dell’esistenza, i momenti di verità, hanno sempre dentro di sé una polarità, un’apparente insanabile antinomia: «La pace, chi la conosce, sa che la gioia e il dolore in parti uguali la compongono», scrive Paul Claudel nel suo dramma L’annuncio a Maria.
È in queste valli scoscese e fiorite di pace e di verità esistenziali che ci conduce il libro di Massimo Camisasca, vescovo ma prima di tutto uomo intero. È un’introduzione al cristianesimo. Insieme teologica e autobiografica, con la quale condivide il suo credo e la sua intimità con Cristo. Il titolo del volume dice: La luce che attraversa il tempo (San Paolo 2023, 320 pagine [QUI]). E la luce è la verità che non puoi trattenere tra le dita, è movimento, corre. Si dice appunto velocità-della-luce. E per Camisasca la fede è essenzialmente il risveglio dell’alba, la luce che sfianca le tenebre. Il suo racconto di che cosa sia questa luce (=Cristo=Dio incarnato=amore) e come riaccada ogni giorno è sorprendente. Nessuna invenzione fantasmagorica o rossetto sulle labbra della Chiesa o del Messia per renderli attraenti. Sono proprio belli in sé. La fede è vedere-credere come bambini in questo Mistero, che non vuol dire da scemi o da ignoranti, ma aperti allo stupore aprendo gli occhi il mattino. Il Nazareno è bellissimo, piccolo in braccio a Maria, commosso davanti alla folla senza pastore, insanguinato sulla Croce, risorto. Non ha bisogno di essere imbellettato. Bisogna però che la Chiesa non se ne vergogni, e non lo chiuda nelle cantine, ma lo lasci uscire assumendo la carne dei battezzati per consegnare al mondo la misericordia del Padre. Della sua «carezza ho bisogno anch’io», ha confessato a nome di tutti il papa Francesco domenica scorsa, dopo essere uscito dall’ospedale in cui era entrato avvertendo lo sguardo della «brutta morte».
Fin qui è chiaro che i lettori cui si rivolge Camisasca sono di tutti i tipi: fedeli o infedeli, credenti o agnostici, tutti peccatori comunque. Ma Camisasca si rivolge anche specificamente a chi frequenta consigli pastorali, sinodi, e così via. Ed è coinvolto nei processi per riformare la Chiesa, deciso a portare un contributo. Da cui il sottotitolo: Contributo per una riforma nella Chiesa.
Il Vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla – originario di Milano, nato e vissuto in una casa popolare, quarto piano senza ascensore, zona Corvetto – oggi prega, studia, celebra e confessa sul Lago Maggiore, ma l’unzione episcopale non gli concede tregua riguardo alla responsabilità per la Catholica. Ma la riforma come la pensa e la propone l’allievo di Don Giussani al liceo Berchet non è una protesi artificiale che si aggiunge ad una fede privata. Non è una riforma della Chiesa, ma nella Chiesa. La differenza che sta concentrata in una letterina (n al posto della d) è abissale. Implica che la Chiesa deve lasciarsi condurre dallo Spirito. Lasciarsi cambiare da Dio. E questo non vale per le strutture o in generale per i fedeli, ma per ciascuna persona. Cristo non accarezza in generale. Non guarisce con una magia l’umanità, si avvicina a ciascuno/a, spalma sugli occhi terra e saliva dice il Vangelo, dà la luce così.
A proposito, sarebbe anti ciclico, come si dice in economia, puramente difensivo e di corta lena, se nella liquefazione dei basamenti della società coloro cui è affidata la fiaccola del Vangelo si limitassero a offrire il rimedio di un pontile dove poggiare i piedi. Invece del segno della roccia, i profeti cristiani indicano il segno della luce. Se non si alza lo sguardo, se non si ritorna al desiderio di luce, l’approdo sulla terraferma di valori saldi rischia di esaurirsi in una soluzione sociale. Senza fede cercata e vissuta i valori si sfaldano, come gli assi di una piattaforma alla deriva. La luce è un Dio vivente.
Nel manifesto diffuso da Comunione e Liberazione per la Pasqua, c’è un breve testo dettato da Francesco: anche qui, la luce! «All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo Dio stesso ha voluto condividere con noi quella strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce». E torniamo al titolo di Camisasca: La luce che attraversa il tempo. Leggere questo libro significa accettare un viaggio intimo. E questi giorni sono perfetti per cercare luce e pace. La settimana prima della Pasqua si chiama – lo sappiamo tutti – «Santa». Da qualche anno il rito ambrosiano (quello che si pratica a Milano) ha ripristinato nella liturgia il nome delle origini: «Settimana Autentica». Non c’è bisogno di inerpicarsi sulle cime della filologia per capire. È un aggettivo molto semplice, e non è equivocabile. Settimana Autentica perché in questo tempo attraversato dal dolore, dal tradimento e dall’amore, la liturgia svela autenticamente, cioè in pienezza, chi è Gesù Cristo e parla di noi, dice chi siamo davanti al destino. Occorre guardarlo mentre inchiodato alla Croce dà la sua vita per gli amici. Ha chiamato «amico» Giuda. C’è posto per noialtri. Sediamoci qui intorno al focolare. Secondo Camisasca infatti «il primo compito della Chiesa oggi è di costruire dei focolari, (che) sono le piccole o grandi comunità al cui centro c’è l’esperienza di comunione vissuta tra sacerdoti e famiglie. Sono come città poste sul monte, che attraggono con la luce della loro fede profonda e sincera, della loro carità verso i fratelli, della loro amicizia, della loro speranza creativa. Che costituiscono quella casa per i popoli di cui parlano i profeti, in particolare Isaia (cfr. Is 56,7)». Un posto dove si sperimenta la santità, unica vera riforma, e la santità non è «nient’altro che parlare con Dio come un amico parla con l’amico».
Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.