L’eredità di Papa Francesco
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.04.2023 – Andrea Gagliarducci] – La notizia del deterioramento della salute di Papa Francesco ha aperto la via a speculazioni su diversi scenari. Il punto ora non è più individuare un successore di Papa Francesco ma capire come risolvere i problemi di governo che si sono presentati durante questo pontificato. Papa Francesco ha detto più volte di essere stato eletto con il mandato di realizzare delle riforme. Ma queste riforme sono efficaci, benvenute e comprese? Oppure costituiscono un andare troppo oltre, e quindi il prossimo pontificato sarà portato a correggerle, a emendarle?
Non è una domanda per la quale c’è una risposta facile. Papa Francesco ha cercato di generare dei cambiamenti in molti modi. Ma, finora, il suo pontificato è stato anti-istituzionale e informale, e un pontificato centralizzante, capace di prendere decisioni contro tutto e tutti. Il Papa non ha una cerchia di fedelissimi. Ogni volta che attira intorno a sé gli alleati necessari per raggiungere un obiettivo, lui è sempre al centro dell’attenzione. Se leggi Papa Francesco con le categorie classiche, non puoi capirlo. Invece, andrebbe letto secondo canoni diversi che vanno al di là dei criteri che hanno sempre guidato la Chiesa.
Rompere delle vecchie abitudini a volte è necessario, e infatti i cardinali, quando hanno eletto Papa Francesco, hanno pensato che fosse uno scossone necessario. Probabilmente non si rendevano conto fino a che punto sarebbe andata questa revisione. Anche Papa Francesco, in una recente intervista, ha commentato quasi ironicamente che probabilmente non avevano pensato in cosa stavano andando a finire. In ogni caso, molti pensavano a un pontificato breve. Nel pre-conclave, Andrea Tornielli, uno dei pochi che ha fatto il nome dell’Arcivescovo di Buenos Aires come un possibile candidato al soglio pontificio, ha ricordato in uno dei suoi pezzi pre-conclave [QUI] un detto che “tre o quattro anni di Bergoglio sarebbero utile”. Sono passati dieci anni.
Innanzitutto, dopo dieci anni, Papa Francesco lascia un Collegio cardinalizio rinnovato di quasi due terzi. Già si ipotizza un altro concistoro entro l’anno, visto che il numero dei cardinali elettori scenderà a 114 entro la fine dell’anno. Questo Collegio cardinalizio, però, è diviso, raramente consultato se non quando ci sono motivi o simpatie personali, e soprattutto, è composto da cardinali difficilmente riconoscibili al di fuori degli ambienti ecclesiastiche. Non c’è stato un vero cambio generazionale, e ai grandi personaggi non sono succeduti i grandi personaggi, rendendo tutto più incerto. Perché i cardinali votano per chi conoscono e ritengono autorevole, salvo rare eccezioni. Bergoglio non ha fatto eccezione, perché la campagna per lui era iniziata molto prima, pur mantenendo un profilo basso per la candidatura davanti ai media. Anzi, forse proprio per questo.
Tuttavia, i nuovi cardinali scelti da Papa Francesco non sembrano dare pienamente i loro frutti. A livello locale, le conferenze episcopali in genere non hanno scelto cardinali creati da Francesco per guidarle o come punti di riferimento, salvo rare eccezioni. Non è solo il caso di luoghi che sembrano “recalcitranti”, come gli Stati Uniti. La nomina del Vescovo Mariano Crociata a Presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea è stato un segnale che anche i vescovi in Europa, dove le pulsioni riformatrici di Francesco sono sfruttate, guardano altrove. Di un altro gruppo episcopale europeo, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, il Cardinale Angelo Bagnasco è stato Presidente per cinque anni con clamorosi consensi, anche se era chiaro a tutti che il Papa non lo amava.
Da qualche tempo, le istituzioni nella Chiesa stanno cercando delle “rivoluzioni silenziose” per affrontare alcune situazioni. È un modello di auto-protezione, che non si pone in disobbedienza con il Papa, ma mostra al Papa quali linee ritengono giusto seguire. Prendono ciò che ritengono opportuno dal Papa, ma cercano una guida calma, non rivoluzionaria, che mantenga salde le istituzioni. In un mondo privo di vette intellettuali, i vescovi si accontenterebbero di buoni vescovi e non di campioni. È un tema eccellente: servono paladini della riforma, grandi annunciatori di rivoluzioni o semplici preti? E, soprattutto, proclamare le riforme a tutti i costi non porta a non fare alcuna riforma o a fare riforme solo per il gusto di farle?
La domanda vale anche per le riforme del Papa. Per coincidenza, nella settimana in cui il Papa si sente male, c’è anche la chiassosa uscita del gesuita Hans Zollner dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, da lui fondata. Al di là dei problemi generali e personali, una dichiarazione di Zollner [QUI] ha evidenziato il problema dell’inserimento della stessa Commissione nel Dicastero per la Dottrina della Fede senza che nulla sia stato stabilito circa il suo lavoro e la dipendenza da esso. Insomma, c’è una riforma incompleta, che ha funzionato bene sulla carta, ma che necessita di vari aggiustamenti. Ed è a questi che il Papa non pensa. Non si preoccupa nemmeno che una commissione per un dicastero è diretto da un cardinale con lo stesso grado del capo del dicastero stesso.
A Papa Francesco, si sa, di questi dettagli non si preoccupa. Ma sono questi i dettagli che cambiano il linguaggio dell’istituzione, e questo è un linguaggio che si è formato nei secoli. L’istituzione sembra così accantonata in nome di un ricambio generazionale che non viene dall’istituzione e che non è stato pensato per l’istituzione. Il risultato è anche un cambio di vocabolario, di cerimoniale ma anche reale, e quindi una differenza nella sostanza delle cose. Solo che tutto appare sradicato, tranne per alcune dichiarazioni estemporanee di Papa Francesco.
Insomma, resta il fatto che forse la Chiesa non ha compreso fino in fondo il messaggio di Papa Francesco. Ma si è reso comprensibile?
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].