Rom e pregiudizi. Inchiesta della Migrantes
Molti operatori così come molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come “soggetto di una situazione di pregiudizio solo e proprio perché è rom o perché vive su quel pezzo di terra dove si trova il campo nomadi”. E’ quanto emerge da un’indagine commissionata dalla Fondazione Migrantes della Cei al Dipartimento di psicologia e antropologia culturale dell’Università di Verona sull’adozione di minori rom e sinti da parte di famiglie non rom.
L’indagine ha preso in esame i dati relativi a circa 200 dichiarazioni di adottabilità registrati presso otto delle 29 sedi dei tribunali minorili ed ha corredato l’inchiesta svolgendo una serie di colloqui con i servizi sociali di riferimento. Tre i principali “pregiudizi” riscontrati nel corso della rilevazione: “la cultura rom è da considerarsi mancante, sempre e comunque, con tutti i bambini; “nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali”; “da parte dei genitori o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela dell’infanzia. “Sono proprio questi i presupposti – osservano i ricercatori – in funzione dei quali l’intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura”. Ma – si legge nella ricerca – “laddove le Forze dell’ordine tramite le proprie indagini verificano che è stato solo un equivoco o una percezione errata della situazione, la stampa dà poca o nessuna notizia”.
Dei 29 casi presi in esame, solo 6 hanno portato all’apertura del procedimento e dell’azione penale. Questi sei casi rappresentano ‘il cuore del lavoro di ricerca’ che vengono presentati discussi uno ad uno attraverso lo studio dei fascicoli processali. Per quanto riguarda invece gli episodi di sparizione, la ricerca ha ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavano dall’attività investigativa, sono stati sempre ‘sempre negativi’: “la drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo: l’opposizione fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l’immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante”. Nella ricerca gli operatori pastorali dei rom e sinti della Fondazione Migrantes si augurano che questi dati giungano ad un vasto pubblico, in “un momento in cui c’è grande bisogno di razionalità e ragionevolezza che contrastino l’intolleranza, il fanatismo e i pregiudizi”.
Nel corso della presentazione del dossier mons. Piergiorgio Saviola, direttore generale della Fondazione Migrantes, sui presunti tentati rapimenti, addebitati ai rom nell’arco di tempo che va dal 1986 al 2007 in Italia, ha ribadito che purtroppo corre una voce, che “è così comune che non ha bisogno di conferme, rimbalza di bocca in bocca con martellante. Ma rapiscono davvero le zingare?. Dalla ricerca emerge un dato sorprendente, direi anzi sconcertante: nessuna prova certa, nessun verdetto di condanna a carico di qualche figlia o moglie di zingari per un simile misfatto”.
Tale conclusione è “sconcertante non tanto in riferimento agli zingari, quanto in riferimento a chi punta il dito verso di loro in base a questo famoso ‘sentito dire’, magari tradotto in un altro famoso e pericoloso tutti dicono così”. Infatti, se è reato ‘infamante rapire un bambino’, “non meno infamante e criminoso – ha concluso mons. Saviola – è attribuire a qualcuno questa infamia senza averne le prove; atto criminoso forse giudiziariamente non perseguibile, che tuttavia grava pesantemente nella coscienza. Accusare e diffondere la voce sul rapimento di bambini quando questo fosse falso o non supportato da prove inequivocabili è un modo estremamente grave di ledere la dignità e i sacrosanti diritti delle persone e persone sono anche gli zingari”.