Guerra in Congo. Medici senza frontiere: la comunità internazionale non diventi complice

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Mentre continuano i combattimenti a Rutshuru e nella vicina Kiwanja, dove la situazione rimane estremamente tesa, migliaia di persone sono dovute fuggire per l’ennesima volta. Un’équipe di Medici senza frontiere ha cercato di raggiungere Kiwanja ma ha dovuto fare marcia indietro a causa dei combattimenti. “L’ospedale di Msf a Rutshuru è pieno di sfollati, e Msf ha messo in piedi delle tende per ospitarli”, dichiara Claudia Lodesani, coordinatore medico dell’organizzazione nel Nord Kivu.

“Negli ultimi due giorni le équipe mediche di Msf hanno curato 43 feriti di guerra, e altri stanno ancora giungendo”. “Tutte le organizzazioni – prosegue – continuano a concentrarsi solo su Goma, così a Rutshuru Msf è spesso l’unica organizzazione a prestare assistenza alle centinaia di migliaia di sfollati e residenti nelle zone colpite dal conflitto”, mentre si registrano altri “43 nuovi casi di colera presso il centro Don Bosco”.

Con 52 operatori internazionali e oltre 700 operatori congolesi, in tutta la regione del Nord Kivu Msf cura i feriti, le persone colpite dal colera e fornisce agli sfollati e ai residenti cure mediche, acqua potabile e generi di prima necessità. Nel frattempo Pax Christi Italia sostiene le richieste contenute nell’appello per la pace nel Kivu (Repubblica democratica del Congo) sottoscritto e diffuso la settimana scorsa da Beati i Costruttori di Pace, Commissione Justitia et Pax degli istituti missionari italiani, Gruppo Pace per il Congo, Unimondo, Chiama l’Africa, Cipsi, Tavola della Pace. Pax Christi esprime oggi “forte preoccupazione per la situazione che sta generando sofferenze e distruzioni” e si associa agli organismi che finora hanno levato la propria voce “perché la comunità internazionale, nelle sue diverse articolazioni, non resti indifferente diventando complice”.

Le diverse realtà cattoliche e laiche chiedono, tra l’altro, di “organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza; partire dagli accordi firmati tra le parti”. Le organizzazioni e i missionari italiani sottolineano soprattutto la necessità di “ribadire il mandato, unificando le regole di ingaggio dei contingenti delle Nazioni Unite presenti nel Kivu, perché possano svolgere il compito che è loro assegnato, cioè quello di far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio; creare un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname; arrivare ad accordi stabili per evitare sconfinamenti da parte dei Paesi confinanti; risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l’intera comunità; ripristinare l’embargo delle armi per i paesi della Regione”.

Insieme si rivolgono all’Italia, in quanto membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, “perché svolga un ruolo attivo in quella sede e in Europa affinché vengano rispettati i diritti delle persone, sviluppata la democrazia, fermata ogni aggressione armata e finalmente perseguita la pace”.

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