La conferma: padre Dall’Oglio è stato rapito
Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha confermato ciò che probabilmente tutti pensavano: padre Paolo Dall’Oglio, scomparso lunedì 29 luglio a Raqqa, è stato rapito dai terroristi dello ‘Stato islamico Siria-Iraq’, che è la versione locale di Al Qaeda. Ma, nonostante il rapimento, il provinciale dei Gesuiti del Medio Oriente, padre Victor Assouad, conferma la presenza nella regione medio orientale e la ‘solidarietà con la sofferenza di tutto il popolo’, proseguendo la loro azione umanitaria rivolta a tutti con il proposito di operare per la pace e la riconciliazione in Siria.
Inoltre denuncia la situazione critica attraversata da padre Frans van der Lugt e dalle persone che vivono nella residenza gesuita di Boustan Diwan, nel centro della città di Homs, dove secondo fonti Unicef 400.000 civili, quasi tutti donne, vecchi e bambini, sono rimasti bloccati e isolati per la nuova offensiva dell’esercito governativo contro le milizie ribelli, chiedendo che non sia risparmiato nessuno sforzo per proteggere la loro vita.
Ricordiamo che padre Dall’Oglio da anni era entrato in contrasto con il regime di Bashar al-Assad, che ne ha decretato l’espulsione nel 2011 durante le prime proteste popolari, eseguita il 12 giugno 2012. Nonostante il divieto di rientrare, padre Paolo è comunque voluto tornare in Siria per visitare le zone controllate dall’opposizione al regime. A febbraio era penetrato nel Paese passando dal Kurdistan iracheno. In una dichiarazione rilasciata all’Ansa aveva definito quel viaggio un pellegrinaggio ‘del dolore e della testimonianza’, ma anche della solidarietà a ‘un intero popolo’ attraverso città e villaggi sotto incessanti bombardamenti governativi.
Nel 1982 scopre i ruderi del monastero cattolico siriaco Mar Musa, costruito nell’XI secolo attorno a un antico romitorio occupato nel VI secolo da San Mosè l’Etiope, e vi si insedia per un ritiro spirituale dal mondo in un posto di grande solitudine religiosa. Nel 1984, Dall’Oglio è ordinato sacerdote del rito siriaco cattolico e decide di ricostruire le mura del monastero. Nel 1992 vi fonda una comunità spirituale ecumenica mista, la comunità al-Khalil che promuove il dialogo islamico-cristiano. Dal 2007 tiene una rubrica mensile sulla rivista missionaria dei gesuiti italiani ‘Popoli’ (i suoi articoli sono stati raccolti nel libro La sete di Ismaele, pubblicato nel 2011 da Gabrielli).
Negli ultimi anni su questa rivista ha sostenuto la causa della lotta contro il regime di Damasco. Dai suoi corsivi traspare una forte passione per la lotta anti Assad, quella stessa passione che lo aveva portato a inviare il 24 luglio un appello personale al Pontefice, chiedendo una iniziativa diplomatica della Santa Sede, coinvolgendo anche ‘nuovi attori’, ad esempio latinoamericani: “Stimato e caro Papa Francesco, sapendola amante della pace nella giustizia, le chiediamo di promuovere personalmente un’iniziativa diplomatica urgente e inclusiva per la Siria, che assicuri la fine del regime torturatore e massacratore, salvaguardi l’unità nella molteplicità del paese e consenta, per mezzo dell’autodeterminazione democratica assistita internazionalmente, l’uscita dalla guerra tra estremismi armati.
Chiediamo con fiducia al Papa Francesco d’informarsi personalmente sulla manipolazione sistematica dell’opinione cattolica nel mondo da parte dei complici del regime siriano, specie ecclesiastici, con l’intento di negare in essenza la rivoluzione democratica e giustificare, con la scusa del terrorismo, la repressione che sempre più acquista il carattere di genocidio”. E nella sua rubrica dell’ultimo numero (1 agosto) del mensile ‘Popoli’ scrive un ricordo di padre François Murad, ucciso in Siria il 23 giugno scorso:
“Avevo conosciuto bene François, fin dagli anni ‘90, quando perseguiva il suo ideale di vita contemplativa, sognando di rifondare la vita anacoretica presso il monastero di San Simeone lo Stilita. Lo ricordo dolce, caparbio e forte nella sofferenza. Il suo vescovo ha parlato di una lettera nella quale dimostra una generosa, schietta e umile disponibilità al martirio, per amore di Cristo. Non era un teologo della relazione interreligiosa, ma non se n’era andato quando erano arrivati i rivoluzionari, e aveva tentato di salvare un seme di vita cristiana. Deve aver detto qualcosa che non è piaciuto ed è stato punito: una buona scusa per saccheggiare il convento. Il suo martirio è gloria per la Chiesa e pessima notizia per la rivoluzione siriana, che vede bande armate poderose, finanziate e aggregate nelle puzzolenti paludi globali, assoggettare intere regioni a una nuova dittatura”.