Giappone terra di missione tra collettività e persona

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Il 6 e il 9 agosto vengono ricordati in tutto il mondo per essere state le date in cui gli americani sganciarono le bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Un evento che ha sicuramente segnato la storia del mondo e del Giappone. Proprio in questi giorni il cardinale Turkson è nella terra del Sol Levante per l’iniziativa “Ten days for Peace”, a cui partecipano tutte le diocesi del Paese.

C’è infatti una presenza poco nota dei cattolici in Giappone, che, se non si fa notare per rilevanza numerica (all’incirca 500.000 fedeli, la maggior parte presenti proprio a Nagasaki), è sicuramente vivissima dal punto di vista della fede, soprattutto se si pensa che per molti secoli i giapponesi si sono tramandati la dottrina di nascosto dal potere politico, che aveva vietato la pratica della religione cristiana. Partecipare ad una Messa in una chiesa giapponese è un’esperienza che tocca nel profondo: c’è una fede genuina e una spontaneità nei cattolici giapponesi tipica delle nuove comunità (anche se ad un occidentale può far sorridere vedere i tutti i fedeli fare inchini a destra e sinistra come gesto della pace!).

La presenza dei cattolici in realtà è ben più antica di quanto si possa pensare: i primi ad evangelizzare la terra nipponica, infatti, furono i gesuiti, con l’arrivo di Francesco Saverio nel 1549. Ai gesuiti seguirono dei missionari francescani. Questi due ordini saranno sempre i più presenti in Giappone, e saranno loro le vittime della repressione degli shogun durante tutto il diciassettesimo secolo. Le autorità giapponesi, infatti, dopo aver inizialmente tollerato la presenza dei missionari nei loro territori, iniziarono una dura repressione verso di loro e verso i giapponesi convertiti al cattolicesimo, che aumentavano in misura esponenziale. In tanti casi si arrivò al martirio e all’apostasia, fino a quello che viene chiamato il “massacro di Shimabara”, dove vennero uccisi circa 40.000 fedeli. Successivamente, il governo giapponese vietò l’ingresso agli stranieri sul territorio, e quindi anche ai sacerdoti, fino al diciannovesimo secolo. Durante tutto questo periodo i cristiani vissero la loro fede in segreto, senza l’aiuto di nessun ministro, tramandandosi i sacramenti e il catechismo di padre in figlio. Quando i missionari francescani poterono rientrare in Giappone, si stupirono dell’accoglienza di questi insospettabili fedeli. Nel 1862 papa Pio IX ha canonizzato 28 martiri francescani, torturati e uccisi nel 1597. La Chiesa li ricorda il 22 maggio.

Oggi i sacerdoti sono presenti nella vita quotidiana giapponese con scuole e università, gestite per lo più dai gesuiti. Nagasaki, come detto in precedenza, è la città che conta il maggior numero di fedeli cattolici, anche se è innegabile che la fede cattolica, e in generale quella cristiana (si registrano anche presenze di comunità protestanti e russo-ortodosse, in particolare nella parte settentrionale del Paese che è più vicina alla Russia) faccia fatica attualmente a prendere piede in una società come quella giapponese, che è sempre stata una società panteistica (spesso i giapponesi sono sia buddisti che scintoisti) e poco tesa al primato del singolo. Per capire la difficoltà della ricezione del messaggio cristiano si deve dunque risalire alla cultura millenaria del popolo giapponese, in cui appare poco probabile la venerazione di un solo uomo come Gesù e in generale la visione dell’essere umano prima come singolo, amato e voluto da Dio su questa terra, e poi come membro della società, che invece è un concetto fortissimo nella cultura nipponica, A questo si aggiunge la sovrapposizione della modernizzazione sfrenata e del consumismo su modello americano che il Giappone ha importato a partire dalla seconda guerra mondiale. C’è dunque un eterno conflitto tra collettivismo, di ascendenza confuciana, e soggettivismo di derivazione occidentale che la Chiesa potrebbe accogliere come una sfida in questa terra che è ancora, in tutto e per tutto, una terra di missione.

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