La crisi vista da Korogocho. Padre Moschetti: serve un’inversione di rotta

Padre Daniele Moschetti è il missionario che ha preso il posto di padre Alex Zanotelli nella bidonville di Korogocho, a Nairobi. Pochi giorni fa, ha ricevuto dalla regione Abruzzo il premio per la pace e i diritti umani. Un’occasione per parlare della sua esperienza, alla vigilia del trasferimento a Gerusalemme, per un anno di approfondimento biblico, prima di essere destinato a una nuova missione (‘probabilmente un’altra baraccopoli africana’, dice).
Korogocho è un piccolo inferno di 150 mila esseri umani inscatolati nelle baracche fatiscenti della periferia della capitale; il suo nome dice molto: in lingua swahili significa confusione. È una delle 200 baraccopoli, dove la disoccupazione è al 60% e pochi superano il dollaro al giorno di reddito; dove l’ acqua da bere si compra e la polizia ha paura di entrare; dove le fogne scorrono a cielo aperto e il racket gestisce anche la raccolta dei rifiuti della vicina discarica di Dandora. “Da Korogocho si vede il mondo, sicuramente, capovolto, – spiega padre Daniele – perché quello che si vede a Korogocho è il risultato di un sistema economico e politico impazzito. Quando tu vedi in un chilometro quadrato di territorio 120.000 persone che vivono in condizione subumane, è veramente difficile capire come questo mondo stia andando. O meglio, lo si intuisce come lo intuiamo noi oggi, ma non ne vediamo le conseguenze. Il crollo delle borse ci sta facendo capire che il sistema economico-politico sta scricchiolando in molte parti. Un miliardo di persone vive in condizioni di estrema povertà o ad un livello di povertà con meno di un dollaro al giorno: questo è il risultato di una politica per pochi”.
A proposito del sistema che sta scricchiolando, i missionari lo dicevano da circa 25 anni ed erano presi per menagrami?
“Purtroppo dal Sud del mondo si vede quello che poi il Nord del mondo sta causando. Fino a qualche anno fa si vedeva solo l’aspetto economico, cioè il saccheggio delle risorse economiche nel Sud del mondo: uranio, diamanti, petrolio. Le denunce fatte dai missionari e dalle ONG non venivano ascoltate. Oggi, quando capiamo che il mondo della finanza e dell’economia sta subendo alcuni stop molto chiari e mette paura a tutti, ci troviamo tutti con le spalle al muro. Quindi, o invertiamo la rotta, anche dal punto di vista dei nostri stili di vita e del nostro uso delle risorse, altrimenti la barca affonda”.
Ma in Italia è possibile avere uno stile di vita non consumistico?
“Credo di sì. Dipende molto dalla volontà personale e comunitaria e dalla volontà politica, che deve essere nazionale. Quando nel mondo il 20% della popolazione consuma l’86% delle risorse, viviamo una grande ingiustizia sociale. Allora, è importante che facciamo qualche passo indietro noi per far fare qualche passo in avanti a chi sta indietro. Occorre riuscire a far equilibrare, anche non proprio al 100% le proporzioni. Nei prossimi 30 anni alle nuove generazioni non daremo più niente. Il rischio è quello dell’autodistruzione”.
L’Africa si conferma terra di conflitti, l’ultimo in Congo. Come stanno veramente le cose?
“Sicuramente l’Africa grida il suo dolore. Vorremmo più giustizia, più pace e più solidarietà e meno saccheggi. Comunque, non dimentichiamo che oggi molti africani ci stanno dando messaggi di speranza. Gli africani, generalmente, non sono aggressivi come lo siamo noi. C’ è un desiderio di miglioramento da parte delle generazioni più povere. Il grido degli africani è giustizia sociale, partendo dalle cose semplici”.