Il “ritorno” di Joseph Conrad e il suo “Caso”
Per ore il mondo esterno sembra non esistere più. I rumori, incessanti, della spiaggia, poi dell’albergo, e delle strade piene di gente, arrivano attutiti. Uno scenario poco credibile, perché noi ora viviamo totalmente immersi nel mondo di Flora de Barral, sfortunata e patetica eroina del romanzo “Il caso” di Joseph Conrad, uscito nel 1913 con gran successo, per anni scomparso dagli scaffali delle librerie e oggi riproposto da Adelphi. E’ uno di quei romanzi che hanno il potere – sempre più raro – di trascinare via con se’ il lettore e non tanto per la trama avvincente, che pure sostanzia il racconto. Ma proprio per la capacità straordinaria della scrittura, potente, penetrante, avvolgente, capace di mettere al mondo creature di carne e di sangue, capace di scavare nei loro pensieri e nelle loro anime, che nel frattempo, per osmosi, sono diventate quelle di chi legge.
Perché il romanzo si intitola così? Perché l’autore si sforza di raccontare, attraverso vicende concrete, che cosa accade quando interviene il destino, o meglio il caso, appunto,una forza “assolutamente irresistibile, per quanto si manifesti spesso in forme delicate, quali ad esempio il fascino, reale o illusorio, di un essere umano”. Ed ecco quindi la storia di Flora, giovanissima figlia di un banchiere rovinato e travolto dalla speculazione: finendo in carcere rovescia la propria disgrazia sulla figlia, che diventa una sorta di “paria” nella società inglese di fine Ottocento. Una creatura ostinata, fragile, silenziosa, come “un filo di nebbia”, che vuole resistere all’«infatuazione del mondo», e alle attenzioni «di persone buone, stupide, coscienziose». Questa ragazza sfortunata incontra un uomo, il capitano Anthony, che si innamora totalmente di lei soprattutto considerando di poter rappresentare, per lei, l’univa via di salvezza. La sposa e la porta nella sua nave. Tutto bene, dunque? L’happy end è assicurato?
No, per niente. Sarà ancora lunga la via per potersi dichiarare al riparo dagli strali del caso. Che però rivela anche inattese scoperte del cuore umano. Si dovranno affrontare guerre sorde e intestine, crudeltà più o meno esplicite, persino l’ombra dell’omicidio. Un piccolo incidente, un incontro imprevedibile, trovarsi ad una certa ora in una certa stradina di campagna, o in un tenebroso ufficio dei Docks londinesi sono fatti che conducono i protagonisti laddove mai avrebbero pensato di trovarsi, di fronte alle scelte cruciale delle loro esistenze. Poi c’è una domanda centrale, che tutti si pongono, a partire dallo stesso autore: vale la pena di mettere tutto in gioco per afferrare, anche solo per un attimo, «un filo di nebbia». Qualcosa che ha corpo e anima, ma assomiglia a quell’assoluto che spinge l’uomo ad azioni inimmaginabili, assurde, grandiose. Conrad eredita e reinterpreta la grande tradizione romanzesca dell’Ottocento, riuscendo a coniugare la felice presa sulla realtà dei grandi romanzieri inglesi, la minuziosa indagine introspettiva e dell’ambiente propria dei francesi, la vertiginosa prospettiva spirituale dei russi, che si pongono davanti alle grandi domande ineludibili, sul male e sul desiderio di grandezza dell’uomo.
Non è strano, allora, questo stato di totale immersione nelle pagine di questo romanzo, da cui è quasi impossibile staccarsi, dovendo però permettere a quel la scrittura tanto raffinata e complessa di farsi comprendere e di ammaliare, per noi ormai abituati alla sciatteria, quando non alla volgarità e alla banalità di quel che leggiamo e sentiamo praticamente ogni giorno.