Svizzera: la Chiesa entra nel dibattito pubblico
Oggi, 1° agosto, la Confederazione svizzera festeggia la Festa nazionale per ricordare la sua nascita, avvenuta nei primi giorni d’agosto del 1291. Con la stipulazione del Patto confederale i primi tre cantoni (Uri, Svitto e Untervaldo, detti Cantoni primitivi) davano vita ad un’alleanza per contrastare le pressioni degli Asburgo attraverso l’amministrazione dei balivi. La mattina di questo giorno si svolge la tradizionale festa sul praticello del Grütli (o Rütli), alla presenza del Presidente della Confederazione. Inoltre alla sera tutte le campane della Svizzera suonano a festa.
Ed in occasione della Festa nazionale anche la Chiesa cattolica invia un messaggio a tutti i cittadini svizzeri, chiedendosi se è più doveroso fare un intervento pubblico oppure astenersi, però: “Parlare di intervento pubblico della Chiesa non significa limitarsi alle dichiarazioni dei vescovi, perché riguarda in primo luogo ogni atto posto da persone mosse dalla fede. Essere cristiano, infatti, deve avere un effetto, altrimenti non significa nulla. Se il cristiano crede che Dio vuol bene agli uomini, si sente chiamato a fare la stessa cosa, manifestandolo nell’attenzione verso coloro che nessuno considera e nel perdono fino all’amore verso i nemici.
Troviamo un’ispirazione evangelica molto diretta nella Costituzione federale, il cui preambolo, cominciando con l’invocare ‘Dio Onnipotente’, afferma che la ‘forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri’. Un’attitudine improntata al Vangelo non è mai ovvia: la vendetta è più immediata del perdono ed ogni società tende a soddisfarsi dell’oblio dei suoi poveri. Eppure il perdono e l’integrazione di chi è debole sono essenziali all’esistenza stessa di una comunità umana affiatata. Se si percorre la storia attenti a quest’aspetto, si vedrà fino a che punto il Vangelo ha plasmato la nostra società. La vita quotidiana dei cristiani nel nostro Paese continua a plasmare il nostro mondo. Ogni gesto ispirato dal Vangelo, consapevolmente o meno, incide e rappresenta in un certo senso un intervento pubblico”.
Un recente studio sulla religiosità degli svizzeri, ‘La religiosità dei cristiani in Svizzera ed il ruolo delle Chiese nella società’, afferma: “Sebbene il cristianesimo goda d’un’immagine positiva…, non più tutti gli Svizzeri la considerano come punto di riferimento della società. Eppure una maggioranza tende ancora a ritenere che le Chiese nazionali siano utili per le persone socialmente sfavorite. Un ruolo sociale che risulta tuttavia sempre più precario, se è vero che aumentano coloro che si distanziano dalla religione”.
Prendendo spunto da questa riflessione la Conferenza dei vescovi svizzeri afferma, menzionando il Concilio Vaticano II: “Le posizioni assunte dai cristiani non sono meramente individuali, perché l’essere umano vive in società e la fede integra questa dimensione comunitaria. Certo, a livello sia individuale sia ecclesiale, l’incidenza dei cristiani non è sempre all’altezza del Vangelo. Ciò intacca la credibilità delle nostre posizioni e la Chiesa l’ha riconosciuto a più riprese chiedendo perdono (soprattutto durante il giubileo del 2000)…
Se l’atteggiamento dei fedeli, clero ovviamente incluso, offusca sovente il Vangelo, non significa che questo Vangelo non vada annunciato. Tutt’altro: lo annunciamo, a noi stessi e agli altri, come fonte di rinnovamento offerta da Dio, in grado d’essere accolta dalla nostra libertà. Senza un costante rinnovo, la fede e le sue conseguenze pratiche si affievoliscono e rischiano di scomparire”. Quindi i vescovi propongono alcune esempi per il bene comune della Confederazione svizzera, perché il cristianesimo ricorda che la ‘vita terrena non è l’unica prospettiva’:
“Nella misura in cui il fattore religioso assume un ruolo importante nel mondo, il fatto di conoscerlo dall’interno favorisce la nostra percezione del mondo stesso (e ciò può servire anche da un punto di vista economico); una visione religiosa concorre a dialogare con altre religioni: ciò che molti musulmani temono, per esempio, non è una società cristiana, bensì una società che non lasci alcun posto alla religione. Se qualche volta i vescovi intervengono pubblicamente su temi di società, non è solo per istruire la fede dei cattolici, ma anche per proporre a tutti il contributo d’una visione cristiana. Lo facciamo prestando ascolto alle idee altrui e sperando di essere ascoltati con la disponibilità presupposta da una società democratica”.