La famiglia: quali prospettive? L’impatto dell’ideologia del gender sull’impianto giuridico italiano, la libertà di espressione, di stampa e di educazione

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.11.2022 – Vik van Brantegem] – Il Magistero di San Giovanni Paolo II – confermato dai suoi successori, il Papa emerito Benedetto XVI e il Papa regnante Francesco – ci ha insegnato che la pressione, affinché le relazioni omosessuali siano riconosciute come una diversa forma di famiglia, cui spetta anche il diritto di adozione, è una violazione della legge di Dio e una ideologia del male, che si rispecchia nella teoria, ideologia, cultura, pensiero, impostazione del gender, cercando di usare i diritti umani contro l’umanità e la famiglia.

«La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti. Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta» (Discorso di Papa Francesco nell’Udienza generale del 15 aprile 2015).
Ricordiamo l’insegnamento sull’umanità e la famiglia della Chiesa Cattolica Romana oggi, nel 41° anniversario della promulgazione dell’Esortazione apostolica Familiaris consortio, “circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi”, che Giovanni Paolo II ha firmato il 22 novembre 1981, nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo (ricorrenza che quest’anno cadeva ieri), quarto anno del suo pontificato.
Si tratta di un documento profetico, che contiene delle “riflessioni di particolare importanza per nel tempo presente”, un tempo che stiamo vivendo sempre di più. Ne riportiamo due citazioni dall’incipit.
«Non raramente all’uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana. E’ un’offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obiettività. Molti sono già consapevoli di questo pericolo in cui versa la persona umana ed operano per la verità. La Chiesa, col suo discernimento evangelico, si unisce ad essi, offrendo il proprio servizio alla verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna» (N. 4).
«La situazione, in cui versa la famiglia, presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l’uomo oppone all’amore di Dio. Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall’altra parte, tuttavia non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell’aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva. Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere» (N. 6).
Dopo questa introduzione presa dal Magistero di un grande uomo e Papa santo, riportiamo ampi stralci da un testo di otto anni fa, molto rivelatore per i tempi che viviamo, con il cenno del poi. Sono tratti dal documento Sarà ancora possibile dire mamma & papà? La famiglia al tempo della questione antropologica [QUI], redatto in occasione di un incontro che si è svolto sabato 22 marzo 2014 presso l’Auditorium del Centro Scolastico Gallaratese a Milano, con gli interventi di Gianfranco Amato, Presidente di Giuristi per la Vita; Luigi Amicone, Direttore del settimanale Tempi; Marco Coerezza, Associazione Diesse Lombardia; Filippo Savarese, Portavece de La Manif pour Tous Italia.
La nascita delle teoria del gender, i suoi presupposti culturali e gli sviluppi attuali
La teoria del gender è priva di fondamento biologico-scientifico quando afferma che si nasce omosessuali. I sessi sono due: si nasce o maschio o femmina. Che poi possa esserci nello sviluppo della persona un orientamento diverso della sensibilità è possibile, ma non significa che esistano, come l’OMS (Organizzazione Mondiale della Santità) ha sancito in un suo documento, 5 “sessi”: maschio, femmina, lesbica, gay e trans. No! Dal punto di vista scientifico proprio non è possibile affermarlo. Quello che invece emerge è il radicarsi della logica del desiderio: «Io sono quello che desidero e quello che desidero deve trasformarsi in diritto …». Quello che desidero però è connotato da un’assoluta incertezza o da un’assoluta indefinitezza. Nella situazione attuale la sigla LGBT [allargata a LGBTQIA+ (acronimo che sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali e il segno + che indica inoltre tutte quelle identità di genere e orientamenti sessuali non eterosessuali e non binarie che non rientrano nelle lettere dell’acronimo, in previsione che si esauriscono le lettere dell’alfabeto, anche se sarebbe più corretto il segno ∞] introduce un’evoluzione in senso ancora più indifferenziato: cioè io sono quello che voglio essere in questo periodo che potrebbe diventare di segno opposto nel tempo, perché potrei decidere di essere altro.
Questo mette in una condizione estremamente difficile nella relazione perché tutti noi, nelle relazioni, siamo improntati, impostati, fatti per relazionarci con la persona anche connotata sessualmente.
La sessualizzazione non è il frutto di un condizionamento culturale che porta a radicare due tipi di sessualità e a escludere gli altri. La neutralità assoluta non esiste in nessuna cultura. Quello che viene bollato come condizionamento è la risposta a un criterio, suffragato dalla natura, che si ritiene utile per la crescita della persona. Le scuole nascenti in Svezia, come Egalia, anzi, ormai più che nascenti, dove si chiede a tutti i bambini, maschi e femmine di fare pipì da seduti per evitare di imporre differenze, di fatto condizionano con un segno diverso, ma, comunque condizionano, perché è proprio impossibile rapportarsi senza trasmettere quello che si ritiene essere una cosa “buona” per la persona.
Un dato di realtà che emerge dalla clinica e che si tende a nascondere è che non tutte le persone gay e lesbiche sono contente di esserlo! Esistono molte persone per le quali questa condizione è una sofferenza e che approcciano una terapia: invise, derise e messe all’angolo da una minoranza – per ora – attiva e presuntuosa, che vede la terapia come un condizionamento della cultura e non ammettono che possa essere un bisogno della persona. Le forze in campo sono violente e rispetto ad esse occorre proprio agire quella simpatia preventiva per non bollare in modo altrettanto ideologico il dialogo. Tuttavia anche all’interno di una simpatia deve essere consentita e possibile una dialettica i cui spazi però si stanno sempre più restringendo e diverranno nulli nel caso venisse approvata la legge sull’omofobia.
Questo non dare la parola, noi lo sappiamo perché non è certamente una novità nella storia passata e recente, è fondamentalmente un indice di debolezza, perché chi ha delle ragioni è aperto al confronto, ma operativamente crea situazioni conflittuali a tutti i livelli, entrando anche nella scuola.
Il processo di individuazione e separazione
Se potessimo sintetizzare la struttura della personalità, diremmo che è sostenuta da due forti colonne che sono: l’affetto e la legge. La presenza di affetto e legge, è vissuta da entrambi i genitori anche se nella madre prevale la carica affettiva ed è sfumato l’aspetto della legge, mentre nel padre dovrebbe essere il contrario. In ogni caso le colonne sono assolutamente complementari nella costruzione: necessitano l’una e l’altra.
La direzione dell’impostazione del gender è quella di negare il bisogno dell’altro per generare. È come dire: «C’è n’è bisogno dal punto di vista organico, ma io faccio da me tutto il resto …». Questo sia per l’inseminazione per donne lesbiche, sia per la cosiddetta “maternità autorizzata”, espressione addomesticata di “utero in affitto” ritenuta espressione offensiva e discriminante.
In ultima istanza la direzione è quella di negare il fatto di aver bisogno dell’altro per generare.
La teoria del gender e l’educazione
È evidente che la teoria del gender pone due questioni all’educazione: una di metodo e l’altra di contenuto. Sul piano del metodo rimane la domanda fondamentale sulla possibilità di un’educazione così detta “neutrale” che lasci il bambino e il giovane in preda all’istintività del momento per un mistificante rispetto della sua (presunta) totale capacità e possibilità di autodeterminazione. Sul piano dei contenuti la teoria del gender chiama in causa i fondamenti dell’educazione e dell’umano mettendo in discussione una visione dell’uomo rispettosa del dato di realtà. Occorre decidere se si vuole promuovere una “ecologia dell’uomo” oppure se ci si vuole avventurare sulle strade pericolosissime dell’accettazione della manipolazione dell’uomo a tutti i costi e a tutti i livelli in base al criterio che tutto ciò che è possibile deve essere perseguito perché in questa attuazione di ciò che è possibile sta il bene. In questa direzione la tecnologia prenderà il sopravvento sull’antropologia portando a compimento la profezia pasoliniana dell’omologazione. Quell’omologazione che il fascismo non era riuscito assolutamente ad ottenere e che invece il potere tecnologico di oggi, cioè il potere della società dei consumi, riesce ad ottenerlo perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. “Il potere ha deciso che siamo tutti uguali”: si sta compiendo così un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.
In ambito educativo parole come realtà, autorità, fine, ideale, esperienza hanno perso il loro significato o l’hanno mutato profondamente sotto i colpi della cultura illuminista che le ha, poco per volta, sradicate dalla loro origine. Il problema però è recuperare l’origine come dice Remi Braque, con un’annotazione che ricorda Péguy, “la civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”, ma di spingere al massimo le conseguenze della loro fede in Cristo. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo. Queste persone erano dei cristiani, e non, come potremmo definirli, dei “cristianisti” [1].
Questo mutamento simbolico e semantico chiede pertanto una lealtà di fondo che consiste nel recuperare prima di tutto l’origine di quei fondamenti per poter poi ricostruire su basi solide una nuova “grammatica
dell’umano” insieme ad una “grammatica dell’educazione”. Se malauguratamente volessimo partire dalle conseguenze rischieremmo di imbarcarci in una battaglia ideologica dall’esisto molto incerto, ma soprattutto rischieremmo di perdere la possibilità stessa di continuare a pensare l’educazione e quindi ad educare. Come ha affermato il Cardinale Carlo Caffarra commentando un pensiero di Mons. Luigi Giussani sull’ambiente, inteso come clima mentale e modo di vita, e sul potere dispotico di invasione delle coscienze che esso ha acquisito oggi: “Penso che l’ambiente, così inteso, oggi stia rendendo impraticabile l’atto educativo poiché lo ha reso impensabile” [2].
La teoria del gender e la scuola
Proprio nel campo educativo e scolastico è in atto, anche in Italia, una prepotente, ma subdola propaganda culturale tesa a diffondere la cultura omosessualista attraverso l’imposizione violenta e l’indottrinamento di studenti e insegnanti e che ha lo scopo di realizzare una rivoluzione antropologica. Ultimamente stiamo assistendo ad una crescita esponenziale di interventi regolatori, supportati da organismi internazionali, sia del centro (MIUR e Governi Monti, Letta), sia della periferia (la burocrazia amministrativa periferica degli organismi di decentramento ministeriale e delle scuole stesse). Vediamo sinteticamente la situazione.
È in atto una fortissima pressione da parte delle lobby LGBT che godono di un appoggio diffuso all’interno del mondo della comunicazione, della politica, della cultura e delle istituzioni a livello internazionale e che si muove su piani diversi.
Nel caso Barilla, l’industriale che a seguito di alcune, per altro molto educate, affermazioni è stato “processato” e condannato mediaticamente, l’esito è stato il cambiamento dell’immagine pubblicitaria della ditta che pure aveva fino ad oggi garantito ottimi risultati economici; nel caso dell’Istituto scolastico paritario Faà di Bruno di Torino la scuola per genitori avente come oggetto l’educazione sessuale ha dovuto essere sospesa (“censura preventiva”); nel caso di Casale Monferrato un dibattito pubblico sul tema ha richiesto l’intervento della forza pubblica per contenere le “squadre d’assalto” dei sostenitori della teoria del gender. Altri casi potrebbero essere ricordati ma, al di là della quantità che pure in questi casi è un indicatore significativo, impressiona l’articolazione e la concertazione dell’intervento.
Accanto a quello che potremmo chiamare “fuoco di sbarramento” è anche in atto un’azione sistematica, sotterranea, carsica con l’obiettivo di introdurre nella scuola una precocissima educazione sessuale fondata sulla teoria del gender. Siamo in presenza di un fenomeno caratterizzato dal progressivo formarsi di una normativa, che sta diventando cogente per ciascuno di noi, ma che passa attraverso percorsi che raramente vengono riconosciuti o almeno di cui non si parla. Un cambiamento dall’interno dell’uomo e del modo di pensare che in questo modo cerca di imporsi e di diventare maggioritario.
Questa circostanza riveste un significato importantissimo, spesso trascurato, perché essa appare orientata a rovesciare alcuni dei paradigmi fondamentali su cui si è costituita la nostra civiltà.
Le modalità argomentative sono molto differenti, ma sempre, quando dalle affermazioni generali si passa ad esemplificazioni l’educazione sessuale è sempre proposta solo secondo le categorie del “gender”. Anche quando vengono ricordati i “superiori interessi del fanciullo” o che “le misure dovrebbero tener conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli”, tali affermazioni appaiono irrilevanti rispetto alle modalità di azione proposte, anche per la collocazione marginale che ad esse viene data nel testo.
Il quadro che i fatti definiscono appare preoccupante, anzi, gravemente preoccupante, proprio perché legato a parole e motivazioni sempre gratificanti per la coscienza democratica di un normale cittadino. Si sta nuovamente affacciando nella vita del nostro Paese una modalità di affrontare il confronto culturale e politico che pensavamo appartenesse ad un passato ormai lontano.
La (subdola) “via amministrativa” per imporre – al di fuori di un confronto democratico – una posizione culturale di parte
Non siamo di fronte solo ad indizi maliziosamente interpretati per alimentare polemiche, ma a fatti platealmente e sistematicamente presenti nel nostro contesto pubblico. E questi fatti dicono che in nome dell’uguaglianza, si vuole arrivare all’indifferenza morale, che il fondamento della coscienza va riposto nella legge, che l’ordine e la giustizia sociale sono non solo garantiti ma generati dal potere.
Ciò che sta scritto nella Carta costituzionale e in tutti i trattati e le Carte dei diritti su cui si fonda la comunità internazionale − che sempre fanno riferimento alla tutela della famiglia e all’originale diritto all’esercizio diretto della propria responsabilità genitoriale, all’obbligo di non ingerenza dell’organizzazione superiore quanto ci si trova di fronte a temi rilevanti per l’identità personale e nazionale − viene sostanzialmente ignorato. L’educazione, quella vera, diventa un compito dello Stato che viene esplicitamente investito anche della responsabilità di decidere che cosa sia giusto pensare.
Nell’incertezza e nella confusione che caratterizzano questi anni, segnati dal timore di dover affrontare appuntamenti ben più impegnativi di quelli cui le generazioni immediatamente precedenti hanno dovuto far fronte, si attribuisce all’istituzione pubblica il compito, meglio il potere, di decidere su aspetti che riguardano non le azioni ma le convinzioni dell’uomo.
Proseguendo su questa strada il reato di opinione rischia di non essere più solo un’ipotesi di scuola
Appoggiandosi a ragioni apparentemente condivisibili, ma troppo parziali per poter rispondere adeguatamente al compito che l’istituzione pubblica presume di addossarsi, sta prendendo corpo una fattispecie giuridica, indefinita nei contenuti e per questo pericolosa perché strumento disponibile per affermare per via legale quello che non si riesce ad affermare per via culturale e politica.
Si dimentica così che le diversità, qualunque siano, diventano ricchezza solo quando sono disponibili a confrontarsi tra loro e a trovare in questo confronto un fondamento “secondo ragione” come qualche anno fa ha ricordato Benedetto XVI nel suo discorso di Regensburg del 12 settembre 2006 [QUI].
A questo punto sorge un dubbio. [In riferimento al decreto 104/2013 “Misure urgenti in materia di istruzione università e ricerca”, nella stesura approvata dalla Camera dei deputati è inserito un comma (art.16.1.d) che stanzia 10 milioni di euro per la formazione degli insegnanti proprio sui temi di cui stiamo parlando. Caso unico, per questa formazione è previsto il concorso di un non meglio precisato “associazionismo” (forse LGBT?)]. Se, come messo bene in evidenza dalla dichiarazione presente nel sito del ministero, l’urgenza che giustifica l’uso della decretazione era relativa l’inserimento dell’educazione al “gender”, come mai questa non era in alcun modo presente nella prima stesura del decreto? E se invece altre erano le urgenze che giustificavano l’uso dello strumento del decreto come mai il ministro ha dichiarato prioritaria e qualificante solo quella dell’educazione “al gender” e subito, forse addirittura con qualche settimana di anticipo, un numero significativo di scuole hanno messo in cantiere iniziative di formazione su questo tema?
La vera urgenza appare essere stata quella di avviare una campagna di “rieducazione” di insegnanti, dirigenti allievi, campagna già in atto sul campo ma che occorreva “proteggere” con l’avallo delle istituzioni scaricando i suoi promotori della responsabilità di spiegare come e perché si riteneva importante una formazione su questi temi. Una formazione richiesta dal ministero (anzi, cui il ministro tiene in modo particolare) e che appare anche adeguatamente finanziata, cosa rara di questi tempi, rappresenta un ottimo motivo per non irritare chi questi e altri soldi deve distribuire.
Un tema decisivo per l’educazione delle giovani generazioni e per il futuro del nostro Paese viene in questo modo fatto rientrare in una routine burocratica che soffoca la possibilità di un confronto pubblico, aperto alle differenti opzioni in campo, e permette con relativa facilità di orientare le risorse in una ben precisa direzione.
E poi ancora altre domande, fino ad ora senza risposta. Perché si è voluto stabilire un collegamento diretto con la legge per il femminicidio? Forse per potersi collegare ad iniziative già avviate che coinvolgono l’associazionismo promotore della cultura del gender?
Perché la formazione prevista non lascia nessuno spazio decisionale ai soggetti cui compete l’educazione: “istituzionalmente” l’insegnante, “costituzionalmente” padre e madre?
Perché, per la prima volta dopo la caduta del fascismo, un ministro della Repubblica si fa promotore, usando del suo ruolo istituzionale, di una campagna ideologica, fondata su forme di “indottrinamento” che non lascia spazio ad un confronto di posizione educative, culturali e politiche?
Perché, infine, il Governo non sembra avvertire il peso anche politico che una questione di questa rilevanza pone?
Le risposte a queste domande non ci sono, ma devono essere date: per il rispetto dovuto alle istituzioni (in primo luogo il Parlamento), ai cittadini, a chi crede che la democrazia non sia solo un gioco di potere ma il modo con cui si governa senza violenza. Diversamente non saremmo più cittadini ma sudditi.
Le nuove Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola primaria e l’editoria scolastica a confronto con la teoria del gender
Una lettura dei passi delle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, evidenziando come in questi testi tanto il processo di identificazione, quanto il concetto di famiglia segua le regole dello sviluppo naturale della persona. Ma occorre vigilare attentamente perché, attraverso Decreti ad hoc (Fornero 2012 – Strategia Nazionale contro le discriminazioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere [QUI] [3]) e la proposta di legge sull’omofobia in discussione in Parlamento, queste posizioni potrebbero essere totalmente vanificate e “riscritte” dal MIUR.
La penetrazione discriminante e non democratica dei rappresentanti LGBT nella scuola Ritornando al documento “Strategie nazionali per la prevenzione …” rileviamo che esso ha l’intento “di porre un contrasto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere […] è, dunque, quello di contribuire alla attuazione di un piano di misure sul piano amministrativo, che, al di là di un quadro normativo incompleto, possa essere di supporto alle politiche nazionali e locali nella materia in questione nel rispetto degli obblighi assunti a livello internazionale ed europeo”. Vale a dire che se una legge non c’è ancora che ad esempio legittimi i “matrimoni” omosessuali o che sbatta in galera chi pensa che l’omosessualità è condizione contro natura, ci penseranno gli enti locali – comuni, province, regioni -a “legiferare” attraverso il diritto amministrativo e la prassi. Ed infatti quali sono gli ambiti privilegiati in cui intervenire per diffondere la cultura “gender”? Scuola, lavoro, media e sicurezza-carceri. Esclusa l’area dei mezzi di comunicazione di massa, gli altri ambiti sono quelli che classicamente spettano come competenza alle amministrazioni locali.
Va da sé che tale strategia non può essere lasciata all’estro e all’arbitrio del singolo sindaco o del singolo presidente della regione: occorre coordinare gli sforzi. Ed ecco che veniamo a sapere che da tempo esiste “Ready”: una “rete nazionale delle pubbliche amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale ed identità di genere”. Trattasi di una pubblica amministrazione ombra, cioè sconosciuta ai più (e quindi non pubblica), una sorta di servizio segreto gender dedito alla cripto-rivoluzione omosessualista. Una rete che agisce in modo carsico mentre l’etero signor Rossi è ignaro di tutto; ignaro, come vedremo tra qualche riga, che il proprio figlio dovrà giurare fedeltà ai “valori” gay e che avrà docenti abilitati all’insegnamento da associazioni omosessuali; ignaro che se dice una parola in più sull’omosessualità potrà essere denunciato sul posto di lavoro e magari perderlo; ignaro che non farà carriera dal momento che gli omosessuali saranno privilegiati perché discriminati.
Si prevede l’istituzione anche di un “Tavolo di lavoro di coordinamento interistituzionale” il quale servirà come interfaccia tra le amministrazioni locali e ben sei ministeri, la Conferenza delle regioni e province autonome e l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). È previsto inoltre un tavolo di lavoro con i sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) e con dieci sigle del mondo del lavoro: Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, Coldiretti, etc. Si spera che ne facciano parte persino l’Ordine dei giornalisti e la Federazione Nazionale Stampa Italiana. Tutti sono coinvolti in questa rivoluzione di velluto e paillettes, anche i “centri scout, palestre, asl, Università della terza età e Università popolari”. Qui sembra che siamo davanti ad un complotto per un nuovo ordine nazionale-europeo pan-omosessualista che non risparmia niente e nessuno.
A questa stessa logica potremmo addebitare l’istituzione in numerosi comuni italiani del registro per le coppie di fatto anche omosessuali; l’introduzione del doppio libretto, maschile e femminile, per gli studenti transessuali che frequentano il Politecnico di Torino, l’Università degli Studi di Torino, di Bologna ed ultimamente di Padova; la possibilità che la compagna omosessuale della partoriente lesbica possa aver al polso un braccialetto con scritto non “padre” ma “partner”, come è avvenuto a gennaio presso l’ospedale di Padova; e l’introduzione del voto di genere nelle elezioni amministrative, già legge a Bologna e in Sicilia.
La cultura del gender per mettere radici deve trovare terra buona e feconda. In questo senso gli adulti sono ormai una battaglia persa, “legati ad una cultura che prevede soltanto una visione etero normativa”, cioè imprigionati nell’idea retriva che un uomo possa e debba amare una donna e viceversa. Occorre invece intervenire – sempre muovendosi all’interno della Pubblica Amministrazione – sulle nuove leve, le quali sono sprovviste di filtri critici particolari. Ecco allora che si prevede l’“accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR (Ministero per l’istruzione, l’università e la ricerca), in qualità di enti di formazione”. Detto in altre parole: le associazioni LGBT potranno entrare in classe per indottrinare i bambini e porre alcuni criteri di arruolamento del personale docente. Fuori gli omofobici quindi. Inoltre la formazione su queste tematiche rientrerà nel Piano nazionale di aggiornamento e si prevedono crediti formativi: quindi se lo studente non ripeterà a voce alta che è favorevole all’omosessualità non passerà l’anno.
La rete Ready permetterà una diffusione del pensiero del gender davvero capillare. Ad esempio è prevista sempre per le scuole pubbliche una “predisposizione della modulistica scolastica amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa delle nuove realtà familiari, costituite da genitori omosessuali”. Un altro modo di riconoscere le coppie gay seppur solo a livello amministrativo. Inoltre ci sarà un “coinvolgimento degli Uffici scolastici regionali e provinciali sul diversity management per i docenti”. Per “diversity management” si intende la capacità di valorizzare nelle scuole le differenze di etnia, culturali, religiose e dunque anche di “orientamento sessuale”. Si afferma anche la necessità di predispone un “monitoraggio e analisi quanti/qualitativa sugli atti di bullismo nelle scuole, con particolare focus sui casi di bullismo omofobico, trans fobico e sessuofobo”: un Grande Fratello Gender dove la delazione, come ai tempi di Stalin, è considerata una virtù sociale.
La strategia, ammettiamolo, è furba e produrrà frutti abbondanti e velenosi. Porre il focus sulla pubblica amministrazione permetterà di creare una prassi pro-omosessualista che poi il legislatore dovrà per forza di cose legittimare in Parlamento. Occorre creare le premesse fattuali perché successivamente chi fa le leggi registri un dato di fatto ormai esistente. In tal modo poi si risparmierà tempo e risorse scavalcando di un sol colpo infinite discussioni parlamentari e sterili scontri tra partiti, e si eviterà infine di metter sul tavolo del Parlamento qualsiasi merce di scambio – tu mi dai il “matrimonio” gay ed io evito di far sfilare Gay Pride davanti a San Pietro ad esempio -. La rete Ready invece permette di correre dritti, dritti alla meta. E la meta è un mondo apparentemente arcobaleno, ma in realtà sprofondato nelle tenebre dell’ideologia.
[1] R. Brague, Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Milano 1998, p. 148.
[2] Card. Carlo Caffarra, L’educazione: una sfida urgente, Relazione all’interno del Convegno regionale A scuola di valori in parrocchia, organizzato dal Centro Sportivo Italiano (CSI), Bologna, 29 aprile 2004.
[3] Ripescato negli ultimi giorni di vita del Governo Draghi (che avrebbe dovuto occuparsi solo degli “affari correnti”, soprattutto della situazione drammatica in cui versano le famiglie e le imprese, anche a causa delle sue decisioni sciagurati) con la “STRATEGIA NAZIONALE LGBT+ 2022 – 2025 per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere” [QUI], lettera morta senza i decreti applicativi, ma tanto è.