La II Giornata per gli abusi sessuali nella Chiesa. Il caso della Diocesi di Piazza Armerina e del Vescovo Gisana in un dossier di Domani

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.11.2022 – Vik van Brantegem] – Oggi viene celebrata la II Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, un titolo lunghissimo di ben 16 parole, quasi un manifesto, da cui però è stata ommessa la parola che conta, come per nascondere di cosa si tratta in sostanza, di crimini sessuali. Si prega per le vittime e i sopravvissuti agli abusi sessuali del clero della Chiesa cattolica in Italia, ed è cosa buona e giusta, ma dalla Chiesa Cattolica Romana in Italia si aspetta altro. Molto altro.

E passo per quella “Chiesa italiana” al posto di “Chiesa in Italia”. Ormai, anche l’ignoranza ecclesiastica va a pari passi con l’insabbiamento dei reati degli abusi sessuali del clero da parte dei pastori. Finché la giustizia civile non se ne occupa.

Dopo le preghiere, diamo il benvenuto anche al primo rapporto della Conferenza Episcopale Italiana, con i risultato dell’indagine sugli abusi sessuali negli ultimi 20 anni all’interno della Chiesa in Italia, che è stato presentato ieri a Roma da Mons. Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI; Mons. Lorenzo Ghizzoni, Presidente del Servizio Nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della CEI; Don Gianluca Marchetti, Direttore del Servizio tutela minori della Diocesi di Bergamo; Sig.ra Chiara Griffini, Referente del Servizio tutela minori della Diocesi di Piacenza-Bobbio; Dott.ssa Barbara Parabaschi e Dott. Paolo Rizzi, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

Però, va osservato che si tratta di un’indagine non indipendente. Inoltre, fa riferimento agli abusi sessuali avvenuti solamente negli ultimi 20 anni e basandosi sui dati dei Servizi tutela minori delle diocesi, entrati in funzione appena due anni fa. Infine, non si può pensare di risolvere la questione con dei rapporti. Finché vescovi insabbiatori vengono lasciati al loro posto dal Papa della “tolleranza zero” e preti abusatori non vengono dimesso dallo stato clericale (e non solo dopo essere consegnati alla giustizia civile, cosa che avviene comunque in casi rari e solo a seguito di denunce da parte delle vittime), rimangono solo parole, parole e parole. Non basta fare rapporti sugli abusi sessuali commessi e denunciarli, occorre anche prevenirli. Res non verba!

Al riguardo è intervenuto il teologo, psicologo e professore presso la Pontificia Università Gregoriana, Padre Hans Zollner, S.I., considerato uno dei maggiori esperti a livello mondiale nel campo della salvaguardia e prevenzione degli abusi sessuali, in una intervista a cura di Gabriele D’Amico, pubblicato il 16 novembre 2022 dal Quotidiano di Sicilia [QUI]: “Dobbiamo agire con onestà, anche quando si tratta di ammettere non solo errori ma anche abusi commessi da parte del clero. Io sono da sempre un avvocato per l’onestà e per la verità. Anche se ci costa ammettere che ci sono persone che hanno ferito la vita di coloro che gli sono stati affidati, soprattutto se si tratta di persone vulnerabili come i minori. Non aiuta rifugiarsi nel silenzio o nella negazione perché prima o poi verranno a galla la verità, i dati, i fatti. A quel punto seguirà una pesante perdita di credibilità della Chiesa, che è costruita sulla testimonianza di coerenza, misericordia e amore per l’altro. Questo fatto lo vediamo in tante parti del mondo, dove si discute molto di più degli abusi della Chiesa. Io mi aspetto che se ne cominci a parlare anche in Italia. Non vedo possibilità e opportunità di negare ciò che è successo in passato. Soprattutto perché dobbiamo fare di tutto perché i minori e i vulnerabili siano difesi. Oggi la prevenzione dipende anche dall’ammettere la realtà del passato”. E questo vediamo anche nella Chiesa in Italia, scandalosamente in ritardo.

Alla domanda: “Una tendenza che è stata rilevata in alcuni dei casi di abuso è quella dei vescovi di “insabbiare” i reati dei loro preti. Questa tendenza a cosa è dovuta e come può essere superata dalla Chiesa?”, Padre Zollner ha risposto: “Come il Papa ha detto alcuni giorni fa alla CNN in Portogallo per un sacerdote abusatore non ci dovrebbe essere spazio nel ministero sacerdotale e quindi dovrebbe essere dimesso. Purtroppo per tanto tempo nella Chiesa universale il primo impulso era sempre la difesa delle istituzioni e dei sacerdoti ad oltranza anche se i superiori erano consapevoli dei crimini commessi. Volevano salvare il sacerdote anziché ascoltare la vittima. Volevano credere nelle confessioni dei rei che promettevano di migliorare e di non commettere di nuovo abuso e così sono caduti spesso nella trappola della falsa benevolenza. In molte parti del mondo la situazione è sempre a stessa: i sacerdoti vengono spostati da una diocesi all’altra, da un continente all’altro. Così alcuni vescovi hanno collaborato con il male dando la possibilità ad un abusatore di continuare ad abusare. Il Papa ha detto mille volte che non dovrebbe accadere”.

A margine, un’osservazione nell’intervista di Padre Zollner degna di nota: “(…) non tutti i sacerdoti che abusano minori sono pedofili secondo la definizione psichiatrica che dice che i pedofili sono le persone che sono attratte dai minori prima dell’inizio della pubertà. La maggior parte degli abusatori del clero cattolico, da quello che possiamo sapere, abusano non bambini ma adolescenti” e i casi di pedofili “coincidono con una percentuale piccola di tutti gli abusatori di minori perché la stragrande maggioranza degli abusatori non sono pedofili né nella Chiesa né nella società”.

In occasione di questa seconda giornata sugli abusi sessuali nella Chiesa e la pubblicazione del rapporto della CEI, ritorniamo sul caso della Diocesi di Piazza Armerina, di cui ci siamo occupato già a più riprese, a partire dal caso Rugolo e non solo. Il governo pastorale di questa diocesi in provincia di Enna continua ad essere affidato, con tutto quello che ne consegue, al Vescovo Rosario Gisana. Costoro continua a godere della fiducia dell’amico Papa Francesco, secondo la consolidata prassi peronista: “Al amigo, todo; al enemigo, ni justicia” [QUI]. E quindi, non viene “sacrificato sull’altare dell’ipocrisia”, come altri e per molto meno.

Il Vescovo di Piazza Armerina, Mons. Rosario Gisana con Papa Francesco, il 15 settembre 2018.

Il tema che accompagna questa seconda giornata di preghiera è tratto dal Salmo 147: «”Il Signore risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”. Dal dolore alla consolazione». Però, nella Diocesi di Piazza Armerina di consolazione non c’è traccia, mentre di dolore se ne è tanto. Sul sito e sulla pagina Facebook della Diocesi di Piazza Armerina non abbiamo trovato traccia della seconda giornata di preghiera di oggi (a differenza di tante altre diocesi. In fin dei conti è anche meglio così, perché non è concepibile una presenza del Vescovo Rosario Gisana in quel contesto.

La Diocesi di Piazza Armerina – già in difficoltà per il caso di Don Giuseppe Rugolo, a processo per violenza sessuale aggravata su tre minori secondo gli articoli 81 e 609 del codice penale, e per il caso di Don Giovanni Tandurella – ha espresso in una nota, pubblicato sul sito diocesano, la sua fiducia nella giustizia per fare chiarezza sul caso del Cappellano del Carcere di Enna, Fra Rosario Buccheri, OFM Conv, arrestato in flagrante per spaccio, vicenda definita dolorosa. La nona udienza per il Caso Rugolo si è svolta il 3 novembre 2022 [QUI] e la prossima è prevista per il 17 gennaio 2023.

Di seguito condividiamo un articolo – che offre un riassunto delle condizioni penose in cui si trova da Diocesi di Piazza Armerina sotto il governo di Mons. Rosario Gisana – pubblicato alcuni giorni fa da Domani nell’ambito dell’inchiesta della testata su La violenza nella Chiesa, a cura di Federica Tourn.

Il vescovo usa l’8 per mille per coprire i preti pedofili
A Enna il processo al prete pedofilo Giuseppe Rugolo scoperchia il sistema di omertà e protezioni guidato dal vescovo di Piazza Armerina. Non solo ha tenuto nascosti alla giustizia altri casi di violenza accaduti nelle parrocchie della diocesi, ma ha anche usato i contributi statali per pagare gli avvocati all’ imputato
di Federica Tourn
Domani, 14 novembre 2022


I vescovi italiani usano i fondi statali dell’8 per mille anche per tutelare i sacerdoti accusati di pedofilia, come se le denunce delle vittime e i processi che ne conseguono fossero una persecuzione contro la chiesa cattolica. E questi pedofili protetti sono numerosi, più di quelli rilevati dalla giustizia dello stato. È l’imbarazzante realtà che sta emergendo dal processo per violenza sessuale su minori (articoli 81 e 609 bis del codice penale) a carico di don Giuseppe Rugolo, in corso al tribunale di Enna.

Processo esplosivo

Per il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, è durissima l’udienza fiume del 10 ottobre scorso [QUI], durante la quale ha deposto come testimone. Esita, si confonde, non ricorda: di fronte alle contestazioni degli avvocati di parte civile, che gli leggono le intercettazioni con le sue dichiarazioni, si contraddice, in evidente difficoltà, tanto che il procuratore lo richiama più volte fino ad ammonirlo «a mettersi d’accordo con sé stesso». Giuseppe Rugolo è accusato di aver abusato di tre ragazzi, e il vescovo, di fronte alle domande del procuratore capo di Enna Massimo Palmeri e dalla sostituta Stefania Leonte, è in evidente imbarazzo. È dal gennaio 2021, da quando la storia di don Giuseppe è arrivata a conoscenza dell’opinione pubblica, che monsignor Gisana si tormenta [QUI].

Pensava di aver chiuso la faccenda nel 2019 con la cosiddetta “indagine previa” (il procedimento ecclesiastico che si è chiuso con un nulla di fatto) e il conseguente trasferimento di Rugolo a Ferrara, lontano dagli occhi e dai pettegolezzi dei fedeli. Invece il peggio doveva ancora venire. La denuncia alla polizia di una delle vittime, Antonio Messina, ha infatti messo in moto l’inchiesta della procura di Enna e il conseguente arresto e rinvio a giudizio del sacerdote, che abbiamo raccontato su Domani del 3 luglio 2022. Ora il vescovo deve rendere conto in un’aula di giustizia, seppure come testimone, di quel che ha detto e – soprattutto – di quel che non ha detto sul conto dei suoi preti. Dagli atti del processo e dal dibattimento a porte chiuse emerge un’immagine della chiesa fatta di omertà e di sacerdoti preoccupati di salvaguardare il proprio buon nome, anche a costo di compromettere la sicurezza dei bambini. Molti degli abusatori, infatti, non potrebbero continuare a commettere reati se il vescovo li segnalasse subito all’autorità giudiziaria: i preti pedofili possono continuare ad agire indisturbati perché la chiesa li protegge con il silenzio anche di fronte alle denunce delle vittime. Durante una telefonata con lo stesso imputato, intercettata dagli inquirenti, Gisana ammette apertamente di averlo coperto: «Il problema – dice testualmente – è anche mio perché ho insabbiato questa storia». Rugolo, agli arresti domiciliari dal 27 aprile 2021 [arrestato il 27 aprile 2021, con l’accusa di violenza sessuale aggravata su tre minori, ha scontato al seminario dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchia (dove l’avevo spedito Mons. Rosario Gisana) 13 mesi di arresti domiciliari (a suo tempo disposti dal Gip Luisa Maria Bruno per il rischio della reiterazione del reato e la tendenza dell’indagato «a cedere alle pulsioni sessuali in maniera incondizionata») e poi sottoposto all’obbligo di permanenza notturna], però, non è l’unica «patata calda», come la definisce lo stesso Gisana, di cui ha dovuto occuparsi. Secondo un’intercettazione prodotta in aula, ci sono altri preti pedofili tuttora attivi nelle parrocchie della diocesi di Piazza Armerina, casi delicati di cui il vescovo discute al telefono con il suo vicario don Antonino Rivoli, che si mostra al corrente dei fatti.

I silenzi del vescovo

«In aula emerge che il vescovo era a conoscenza di altri abusi – conferma a Domani Antonio Messina – sacerdoti che non ha denunciato ma, anzi, ha provveduto a promuovere con nuovi incarichi in diocesi». Da un’intercettazione letta in aula si apprende che uno di questi, lo chiameremo don Mario, ha abusato di un minorenne, oggi anche lui prete. Gisana nella telefonata dice espressamente che è una fortuna che la vittima non lo abbia mai denunciato perché altrimenti sarebbe stato certamente ridotto allo stato laicale. «Entrambi, l’abusatore e la sua vittima – nota Messina, l’accusatore di Rugolo – sono stati nominati dal vescovo parroci in due chiese della diocesi nelle due settimane precedenti l’udienza». La vittima, insomma, sarebbe stata premiata per il suo silenzio. In udienza, alla richiesta di spiegazioni da parte dell’avvocata di parte civile Eleanna Parasiliti, il vescovo scatta: «E questo cosa c’entra?».

Non è tutto. Il vescovo, oltre a don Mario, si è “preso cura” di altri preti speciali. Alcuni nomi vengono letti in udienza; fra questi c’è quello di un sacerdote, don Vincenzo Iannì, rinviato a giudizio nel 2019 per violenza sessuale su una ragazzina minorenne. Come si legge nella relazione della Corte d’Appello di Caltanissetta che riporta il caso, qualche anno prima il prete, oggi 81enne, approfittando della situazione di indigenza della famiglia, aveva invitato l’adolescente ad andare da sola in canonica, dove aveva abusato di lei. Eppure Iannì nel 2018 è stato nominato da Gisana viceparroco della parrocchia di Santa Lucia a Gela, in uno dei quartieri più disagiati della città; risulta sempre incardinato nella diocesi ma al momento è irreperibile.

«Oltre a questi – spiega Messina – avevo segnalato sin dai miei primi colloqui con il vescovo, e anche durante l’indagine previa, un altro sacerdote che adescava ragazzini, compagno di seminario di Rugolo. Me ne aveva parlato Rugolo stesso quando frequentavo la parrocchia ad Enna». Rugolo è accusato di aver abusato di Messina, oggi 29enne, dal 2009 al 2013. Poco tempo dopo il ragazzo ha rivelato alla diocesi tutte queste cose.

«Nessuno però ha fatto nulla e oggi questo prete è parroco della diocesi con incarichi importanti a contatto con i minori», accusa.

Ancora a Gela, un carabiniere, catechista della chiesa Madre, è stato rinviato a giudizio lo scorso febbraio per violenza sessuale sul figlio minore e maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie. Nonostante questo, rimane un punto di riferimento in parrocchia, tanto che a Pasqua 2022, durante la celebrazione della settimana santa, lo si vede portare il Cristo morto in processione e compare anche sull’altare lo scorso settembre, in occasione della ricorrenza di Maria Santissima dell’Alemanna, patrona di Gela.

Sono tante, quindi, le “patate calde” che monsignor Gisana è abituato a gestire dalle stanze del palazzo vescovile, con la collaborazione del consiglio episcopale e dei sacerdoti a lui più vicini, senza mai informare le autorità civili. All’agenzia Ansa, quando è scoppiata la bomba di don Rugolo a Enna, alla richiesta di spiegazioni sul sacerdote accusato di avere abusato di un minore, il vescovo aveva risposto candidamente: «Non ho capito di chi si parli. Abbiamo tanti casi». Casi di cui però non si deve sapere, risolti spostando i preti “inquieti” di parrocchia in parrocchia (ma senza badare a tenerli lontano dai bambini) e scoraggiando le denunce che, quando raggiungono le orecchie dei sacerdoti, vengono quasi sempre opportunamente blindate dentro il segreto confessionale.

Il sacramento come arma

Il sacramento della confessione è infatti l’arma a cui il clero ricorre quando è messo alle strette: lo si vede proprio da come Gisana e il suo entourage gestiscono il caso Rugolo. Sentito come persona informata dei fatti nel gennaio 2021, il vescovo dichiara che non ha avuto nessun’altra segnalazione a carico del sacerdote sotto accusa, a parte quella già nota di Messina, e omette di rendere noto agli inquirenti che un altro ragazzo, Cesare (nome di fantasia), già nel 2015 era andato da lui a denunciare di aver subito molestie da Rugolo.

Dalle intercettazioni emerge come Gisana sia preoccupato per questa sua reticenza, tanto da discutere con il fido Rivoli di come riparlarne in un secondo tempo: «E quindi, non so… per questa cosa… eventualmente gli dirò: io ho avuto delle confessioni, le confessioni non si dicono, mi dispiace!». Per chiedere consigli su come comportarsi, chiama addirittura un certo don Paolo, sia prima che dopo l’interrogatorio in procura. Don Paolo, che risponde da un’utenza del Governatorato della Città del Vaticano, prima lo invita a non andare da solo in procura ma a farsi accompagnare dall’avvocato, e poi lo rassicura dicendogli che ha fatto bene a non raccontare di Cesare, perché per la legge canonica non può riferire né il contenuto né il fatto stesso dell’avvenuta confessione. Quando a marzo viene sentito nuovamente dal procuratore, il vescovo decide comunque di correggere il tiro e ammette di aver parlato tre volte con Cesare ma, appunto, soltanto in confessione; circostanza poi smentita in udienza dal ragazzo stesso, che ha sottolineato di aver avuto con il vescovo anche un colloquio in episcopio.

Gli intrighi a Enna, però, non si limitano al clero. Dalle intercettazioni telefoniche emerge anche un incontro privato fra il vescovo e il colonnello dei carabinieri Saverio Lombardi, poi rinviato a giudizio per tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità, cioè in sostanza accusato di aver abusato del suo potere a fini personali. Il colonnello, infatti, avverte il vicario Rivoli, con cui è in un rapporto di evidente confidenza, che vuole incontrare in via riservata il vescovo a proposito di Rugolo. Avvisato dal vicario, Gisana acconsente e l’ufficiale lo raggiunge di sera e in borghese.

Omertà e veleni

Qual è il motivo di tanta prudenza? Lo spiega candidamente il vescovo stesso agli inquirenti: Lombardi voleva consigliargli di cercarsi un altro avvocato, per il presunto coinvolgimento di quello scelto da Gisana (su consiglio di Rivoli) in un’indagine per associazione mafiosa. Il processo al colonnello Lombardi, trasferito a Lecce come capo ufficio del personale, è iniziato al tribunale di Enna il 5 luglio scorso.

È un altro dei tanti tasselli che non combaciano nella diocesi di Piazza Armerina e che l’azione giudiziaria nei confronti di don Rugolo sta portando a galla. Reticenze, contraddizioni e coperture tratteggiano una comunità ecclesiale divisa da un clima avvelenato, in un’intricata ramificazione di confidenze e pettegolezzi che si estende dal palazzo vescovile alle canoniche, con l’unico obiettivo di far emergere il meno possibile sui peccati e i peccatori della diocesi. Per il bene della chiesa, ovviamente, e con buona pace delle vittime dei preti pedofili.

Questi sacerdoti dal doppio volto, uno per gli intrighi e il peccato e l’altro per le messe e le processioni, sembrano quasi personaggi di Leonardo Sciascia. Fra tutti, il più ambiguo è proprio il vescovo: mentre proclama di aver condotto l’indagine ecclesiastica con zelo, ascoltando tutte le parti in causa, tralascia di menzionare il fatto che ha lasciato passare anni prima di occuparsi concretamente di Rugolo, per poi trasferirlo altrove, come se fosse uno studente in trasferta e non un pedofilo recidivo.

Come emerge dagli atti, nel 2015 Gisana riceve la prima segnalazione da Cesare e l’anno successivo un sacerdote, padre Fausciana, gli racconta di aver ricevuto da Antonio Messina una denuncia di abuso a carico di Rugolo, ma lui attende ancora più di tre anni prima di allontanare il prete da Enna e di instradarlo verso un periodo di “cura e riflessione” a Ferrara, sotto l’ala protettrice del vescovo della città estense Gian Carlo Perego. Periodo in cui, tra l’altro, Rugolo continua ad avere contatti con i minori e anche ad intrattenere relazioni sessuali con giovani adulti, come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare. In tutto questo tempo, Gisana non sente mai la necessità di verificare le accuse a questo giovane prete tanto brillante, né di rivolgersi all’autorità giudiziaria per raccontare quello che sa; anzi, nel 2018, dopo che ha già ricevuto la denuncia dei genitori di Antonio Messina, lo promuove a parroco della chiesa di San Cataldo a Enna.

I soldi dell’8 per mille

Monsignor Gisana, con il suo prendere tempo e voler risolvere le cose “in famiglia”, è sordo anche ai richiami di papa Francesco, che con il motu proprio “Vox estis lux mundi”, invita il clero e la chiesa tutta alla segnalazione degli abusi. A tratti sembra trascinato dagli eventi, quasi incredulo che tutto stia capitando proprio a lui, che ha cercato di occuparsi dei suoi preti peccatori come un padre premuroso fa con i figli. Anche assistendoli economicamente con i fondi dell’8 per mille. Come si apprende in udienza, ha coperto ventimila euro di un debito di don Rugolo nell’ottobre 2019, a cui ha aggiunto altri quindicimila nell’estate del 2021 perché il prete lamentava di non farcela nel suo esilio ferrarese soltanto con i soldi della retta. Senza menzionare le spese legali (di Rugolo e almeno l’anticipo per l’avvocato di Gisana, altri ventimila euro), anche queste pagate con i soldi dell’8 per mille. Invece, come racconta la famiglia Messina, è dalla Caritas che Gisana aveva pensato di prelevare venticinquemila euro da dare ad Antonio: accordo che non si è concretizzato «perché – dice Messina – ho ritenuto illecita e immorale la proposta di una donazione come risarcimento per la violenza subita, soldi che in più il vescovo voleva darmi in contanti».

Prete, “buttana” e “troia”

Il vicario generale Rivoli, dal canto suo, si preoccupa solo per il vescovo, che è stato travolto dagli eventi, mentre in privato non ha certo parole di comprensione cristiana per Rugolo, definito senza mezzi termini «buttana» e «questa troia» nelle conversazioni con altri preti intercettate dagli inquirenti. Non è tenero nemmeno con la vittima, che viene definita un «bastardo». Interrogato in procura il 27 gennaio 2021, però, è imbarazzato, le parole gli mancano e a domanda esplicita dice di non sapere se Rugolo abbia adescato anche altri minori o intrattenuto rapporti consenzienti con adulti. È talmente reticente che gli inquirenti devono ricordargli che il vescovo è già stato interrogato e dunque sanno che lui, il vicario, è al corrente dei fatti.

Al telefono con sacerdoti amici, però, è tutta un’altra musica: fra bestemmie e imprecazioni, don Rivoli non risparmia epiteti nemmeno per i Messina, che ritiene responsabili di aver fatto emergere la vicenda, e per don Giuseppe Fausciana, il parroco di Enna che ha incoraggiato Antonio a denunciare il suo abusatore e che, secondo il vicario, sarebbe stato spinto da gelosia nei confronti di Rugolo. Qui la torbida vicenda assume i toni del più crudo neorealismo. Il vescovo Gisana al telefono spaccia a un altro prete, tale don Angelo, la teoria che il ragazzo abbia dichiarato di essere stato violentato per giustificare la propria omosessualità a spese di don Rugolo: «Tu li conosci questi omosessuali, non è che noialtri veniamo da Marte, sono fatti così – si sente in un’intercettazione letta in aula durante l’ultima udienza – amano o odiano in maniera viscerale, questa è una pura vendetta di una persona innamorata e che è stata respinta». «In aula sono emersi chiaramente i pregiudizi di Gisana nei confronti degli omossessuali – commenta la vittima di Rugolo – Il vescovo ha messo in dubbio l’attendibilità delle mie accuse sulla base della mia identità sessuale».

Omofobia e pregiudizi vanno a inquinare ulteriormente un clima già avvelenato, pieno di segreti e gelosie. Eppure Gisana, alla fine degli anni Ottanta, quando era un giovane prete ordinato da poco, aveva un atteggiamento diverso verso le persone lgbt. Disponibile e accogliente, aveva anche supportato a Modica, la sua città natale, la fondazione dei Fratelli dell’Elpis, un gruppo di credenti gay. «Don Rosario era la mia guida spirituale e in un clima che nella chiesa e nella società era di totale chiusura sul tema, lui era l’unico a parlare dell’amore omosessuale come di una cosa normale», testimonia Carmelo Roccasalma, fondatore dell’Elpis. Dato che all’epoca Carmelo non aveva ancora fatto coming out in famiglia, don Gisana aveva messo a disposizione l’indirizzo di casa sua per la posta dell’Elpis, fino al trasferimento del gruppo nella chiesa del Santissimo Crocifisso della Buona Morte a Catania. È stata talmente determinante l’influenza di Gisana sui primi anni dell’Elpis che nel 2015 è stato chiamato a partecipare come ospite, insieme all’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina, alla celebrazione del venticinquesimo anniversario del gruppo parrocchiale. Difficile far combaciare il ritratto del giovane sacerdote progressista dipinto da Roccasalma con il vescovo a cui oggi viene chiesto di dare conto delle dichiarazioni omofobiche nei confronti di un ragazzo vittima di abusi.

Che cosa dirà la Cei?

Ancor più difficile riconoscere in questo quadro l’immagine di una chiesa che dichiara di seguire papa Francesco sulla tolleranza zero per gli abusi contro i minori e sulla conseguente trasparenza sui sacerdoti pedofili o i vescovi insabbiatori. Ne parlerà la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) il 18 novembre, in occasione della Giornata nazionale di preghiera della chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi? Interpellato da Domani, il vescovo Gisana si è rifiutato di rilasciare interviste. La prossima udienza del processo a Giuseppe Rugolo è fissata per il 17 gennaio.

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