Appunti per Letta e per la sinistra spappolata che dimentica che speronava gli Albanesi

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Un tweet del Direttore di diverse testate Rai, Andrea Vianello, rilanciato dal Segretario del Pd, Gianni Letta, paragona i profughi di oggi all’emigrazione italiana verso l’America. Ma scorda il Governo Prodi-Bertinotti, che nel 1997 respingeva i fuggitivi da Tirana ingaggiando una battaglia navale.

L’immagine twittata dal Direttore Rai, Andrea Vianello, e rilanciata dal Segretario Pd, Enrico Letta: mostra la ressa dei migranti italiani per imbarcarsi verso l’America. Con questo commento: “Quando sulle navi c’eravamo noi”.
E quando a governare era la sinistra…
Questa è la nave albanese Kater I Rades, carica di Albanesi in fuga, affondata da corvetta Sibilla della Marina militare italiana al tempo del governo di Romano Prodi, il 23 marzo 1997, Venerdì Santo. Per Vianello e Letta, la destra di oggi è disumana e scorda come eravamo noi. Ma noi rispondiamo ricordando loro quando affondavano i barconi albanesi.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.11.2022 – Renato Farina] – Le due fotografie sopra mostrano momenti diversi della nostra storia italiana, e ci riguardano entrambe. Abbiamo scelto di accostarle, raccogliendo la provocazione di Andrea Vianello, reiterata da Enrico Letta, e – al suo seguito – da alti papaveri del Pd e della Sinistra di Fratoianni. Sono due navi. La prima è quella usata come strumento di offesa morale al centrodestra e in generale al popolo italiano da Vianello e Letta: la ressa dei migranti italiani per imbarcarsi verso l’America. Con questo commento: “Quando sulle navi c’eravamo noi”. La seconda l’abbiamo ripescata noi: è una corvetta della Marina militare italiana che, al tempo di Prodi, 23 marzo 1997, condusse una battaglia navale affondando una nave carica di Albanesi in fuga. Idea di un Tweet? Ma sì. “Quando la sinistra affogava i migranti”. A una provocazione, una provocazione e mezzo.

Qualche riflessione

Ma come si fa a fingere che il fenomeno migratorio dell’Ottocento e della prima metà del Novecento sia uguale a quello in corso attraverso il Mediterraneo? Sociologi progressisti quali Guido Bolaffi e Giuseppe Terranova hanno insegnato a distinguere l’immigrato dall’immigrazione. L’immigrato è una persona. Essere immigrato implica prima che considerazioni economiche, uno sguardo esistenziale. È giusto così. Gli italiani sanno bene di essere stati immigrati. E gli immigrati di ogni tempo e di ogni Paese hanno sempre quelle caratteristiche, siano stati ieri italiani e oggi polacchi o marocchini. Vogliono stare meglio. Confidano di trovare il modo di sostenere la famiglia. Altra cosa è l’immigrazione. Quella dei nostri connazionali in America, o negli anni ’50 in Svizzera e in Germania non c’entra nulla, in nessun senso, con quella in cui ci troviamo a dover fare i conti in questo millennio. L’America e l’Australia, l’Argentina e il Venezuela, Canada e Brasile chiamavano: la nostra immigrazione era figlia di una domanda di lavoro che proveniva da quei continenti. Si partiva pagando il biglietto. Avendo un riferimento. C’era molta miseria all’arrivo, e anche razzismo sfociato in linciaggi. Ma è una legge orrenda vigente da sempre: chi arriva è trattato come un invasore. I nostri emigranti erano stati però chiamati a viva voce. Questo ha determinato una differenza radicale: non era avvelenata dalla disperazione e organizzata da schiavisti per controllare la prostituzione e il mercato della droga in combutta con le nostre mafie.

Altre ondate

Oggi l’Italia è tornata ad essere un Paese da cui si emigra. Ma è una emigrazione da domanda, che si incrocia certo con una offerta. Dall’Africa no. Esiste certo anche in Italia una domanda di badanti, operai, infermieri, ingegneri, e sono benvenuti. Ma non può essere una sequenza di ondate, con le bande e una guardia costiera libica che regolano, in base ai pagamenti dei nostri servizi segreti, il flusso di povera gente ingannata e tenuta in campi spaventosi, profughi o migranti economici che siano, tutto questo esige un’altra risposta rispetto a quella fin qui data. Diciamocelo: oggi quando vogliono denaro, spediscono in Italia per avvertimento e ricatto, qualche migliaio di persone, che pur di finirla con torture e stupri, salterebbero anche nella lava, altro che barchini o barconi. L’Italia ha perduto la guerra di Libia del 2011. L’hanno vinta Turchi e Russo-Egiziani. L’Europa, occorre l’Europa! Non si può frenare l’immigrazione foraggiando criminali.

La cordata

Gli atti studiati dalla cordata Vianello-Letta-Fratoianni (Rai de sinistra + sinistra spappolata) hanno un senso chiaro. L’opposizione mediatica e politica non intende proporre soluzioni al traffico vergognoso di uomini, donne e bambini. Ma passa dall’identificazione di un nemico (“La Destra disumana”) per ritrovare una qualche forma di unità e di visibilità. Il prezzo? Morti su morti, infelici su infelici. La tattica criminale dei negrieri include come momento preordinato il naufragio e l’annegamento di tanti sventurati migranti, insieme all’appuntamento con le navi Ong battenti bandiera nordica. Su questo non hanno speso una sola parola, niente da dire. Bensì abbiamo assistito all’uso sciacallesco delle emozioni e della memoria patria per criminalizzare il Governo Meloni. Neanche mezzo tweet è stato speso a sinistra per prendere in considerazione l’invito di Papa Francesco di domenica scorsa: «Salvare i migranti, ma la Unione Europea non può lasciare sola l’Italia». Nessuno come lui ha denunciato sin dall’inizio del suo Pontificato l’infamia di quanto sta accadendo nel Mediterraneo. Ed ecco che Bergoglio offre una palese apertura di credito all’esecutivo di destra-centro, che sulla carta non gli somiglia neanche un po’ su questa tematica. Invece sì. Dà sostegno e lo suggerisce. C’è modo e modo di fare opposizione, su questioni che implicano la vita di tanti. Perché non seguirne l’indicazione che, prima ancora che politica, è morale, attinge ai valori costitutivi che sostanziano la nostra Repubblica?

Le due immagini in apertura ci toccano profondamente. Abbiamo scelto di accostare all’icona della emigrazione dei nostri connazionali verso l’America la foto della corvetta Sibilla che il Venerdì Santo del 1997, 23 marzo, speronò e affondò nel Canale d’Otranto, in conseguenza delle disposizioni del Governo Prodi-Bertinotti contro le migrazioni dall’Albania, la motovedetta Kater I Rades. Un blocco navale aggressivo: furono 108 i morti causati da quella politica francamente criminale. Silvio Berlusconi raggiunse il porto di Brindisi, non si mise ad accusare, soccorse i superstiti, aprì a loro la sua casa.

Siamo stati incerti se usare un’immagine della “strage di Lampedusa” del 3 ottobre 2013, quando si consumò nel canale di Sicilia una delle tragedie marittime più gravi del terzo millennio: 368 persone persero la vita su un peschereccio salpato da Misurata (Libia) il 1° ottobre. I superstiti furono 155, di cui 41 minori (uno soltanto accompagnato dalla famiglia). Il Premier allora era Enrico Letta. Che si fa? Mettiamo una foto di quei giorni e poi gli diciamo: «Guardati allo specchio, intona il mea culpa»? Non ci pensiamo neanche.

Questo articolo è stato pubblicato il 9 novembre 2022 su Libero Quotidiano [QUI].

Il naufragio del piroscafo “Sirio”: la copertina della “Domenica del Corriere” del 19 agosto 1906, disegnata da Achille Beltrame…
Nel 1892 in Italia 30 agenzie di emigrazione e 5.172 subagenti per convincere la povera gente a partire. Gli agenti erano assunti dalle società di emigrazione e molti di loro erano noti per la mancanza di onestà. Dietro all’emigrazione gli interessi degli armatori e delle compagnie italiane di navigazione responsabili delle tante morti che accadevano durante la traversata. Povertà e rabbia spinsero circa 9 milioni di italiani ad attraversare l’oceano tra il 1876 e il 1920. Emigravano e affrontavano l’incognita di un viaggio lungo e straziante per cercare migliori condizioni di vita. Ebbe inizio la Speranza, il grande sogno di una terra lontana, dipinta come una sorta di paradiso terrestre: l’America. Si dirigevano principalmente verso Stati Uniti, Argentina e Brasile. Per molti contadini e artigiani, l’emigrazione fu l’ultima possibilità per sconfiggere la fame e non morire di stenti (Antonella Rita Roscilli – Migranti italiani: una drammatica epopea – Patria Indipendente, 7 dicembre 2018).
Quando Prodi mandò la Marina militare italiana a fermare l’esodo degli albanesi…
La sinistra che oggi dice no al blocco navale, non era dello stresso avviso anche in passato. Nel 1997, quando Presidente del Consiglio dei Ministri è Romano Prodi, Ministro dell’Interno Giorgio Napolitano e Ministro della Difesa Beniamino Andreatta, il problema non si chiama Libia, ma Albania. Una nazione veramente in preda alla guerra civile e dalla quale partono migliaia di disperati che tentano di raggiungere l’Italia sui barconi. La sera del 28 marzo 1997, Venerdì Santo, al largo di Brindisi, non appena al largo dell’isola di Saseno, l’imbarcazione albanese Kater I Rades viene avvicinata dalla nave Zeffiro della Marina militare italiana, che poi lasciò alla corvetta Sibilla (nella foto) il compito di convincere il natante albanese a tornare indietro e poi speronato e affondato. Si scatenano le polemiche sul blocco navale e i respingimenti adottati. Ma se i vertici di quel governo negano e parlano di “pattugliamento”, pochi giorni prima di quel disastro le navi della Marina militare ricevono l’ordine di spingersi fino ai limiti delle acque territoriali albanesi per intercettare le imbarcazioni di profughi. Non solo. L’ Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, analizzando le scelte messe in atto dall’Italia nell’Adriatico, aveva anche posto sotto accusa proprio il blocco navale. Pochi mesi dopo l’affondamento della Kater I Rades, Monsignor Luigi Di Liegro, Direttore della Caritas di Roma, afferma che “il blocco, scelta razzista, va condannato insieme a chi l’ha autorizzato”. Questa era la politica di allora. Il regista Nanni Moretti, nel suo film Aprile, del 1998, inveisce contro i membri del governo che si mostrarono tanto indifferenti verso quella tragedia, della quale, evidentemente, avrebbero dovuto considerarsi i responsabili morali.

Il 14 maggio 2015 la Sibilla è uscito dai ranghi della Marina militare italiana, ceduta a Fincantieri, che dopo la ristrutturazione l’ha venduta al Bangladesh.

Foto di copertina: lo scafo arrugginito della Kater I Rades.

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