La boiata pazzesca delle auto elettriche

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Uno studio sull’impatto ambientale fa arrossire i verdi: chi ha l’auto elettrica inquina più degli altri. Fabbricare batterie “verdi” contamina l’ambiente. E l’elettricità con cui le facciamo funzionare viene prodotta al 48% dalla combustione di gas. La grandissima parte delle batterie agli ioni di litio è sfornata in Cina, 79% del totale globale. Gli Stati Uniti sono secondi con il 6,2%. L’Italia non è neppure citata.

Al “Mondial de l’Auto Paris-Revolution is on” dal 17 al 23 ottobre 2022 a Parigi è rimasto solo il nome. Solo tre i padiglioni occupati dall’unico “Salone” europeo rimasto in vita dopo la rinuncia di “Ginevra” (che emigra in Qatar) e la trasformazione in rassegna della mobilità di quello tedesco spostato da Francoforte a Monaco e che si alterna con quello francese. Protagonisti i marchi del gruppo Renault (Alpine, Dacia e Mobilè oltre al brand capogruppo) e Stellantis (Ds, Jeep e Peugeot), che hanno rintuzzato con le loro novità l’invasione dei marchi cinesi noti e inediti così come la vietnamita Vinfast. Totalmente assenti tedeschi, giapponesi, coreani e americani. In passerella soprattutto auto elettriche e le prime ad idrogeno. In questo video una carrellata di alcune delle principali novità in mostra. A fare notizia soprattutto le dichiarazioni del Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, che invita ad una frenata nella corsa all’elettrico ed a strumenti per limitare l’invasione cinese (Siciliamotori.it).

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.10.2022 – Renato Farina] – Il recente salone mondiale dell’auto a Parigi doveva essere una sorta di concilio ecumenico per sancire il trionfo del dogma: per smettere di inquinare basta cambiare auto. Tutti e pure subito. Emmanuel Macron lo ha proclamato a favore di mondovisione. Ma proprio mentre si stava per incoronare la Vettura Elettrica come smacchiatore universale dei veleni atmosferici, sono emersi problemi a iosa.

Insomma, stringi stringi, con una sintesi alla Fantozzi: l’auto elettrica è una boiata pazzesca. Non per chi la compra, che ha pure la sua bella convenienza (lo vedremo). Non per la Cina, che caverà denaro e potere di ricatto dal miraggio della potenza salvifica delle batterie che sono e saranno quasi tutte prodotte dalle aziende di Xi Jinping. Non per le banche, che – scrive Le Figaro – hanno trovato nel mercato delle auto elettriche «il nuovo Eldorado» da cui cavare oro, con i clienti invogliati a rabboccare con prestiti (o leasing) su misura i bonus generosamente forniti dai governi di tutta Europa.

E una boiata pazzesca per chi allora? Per tutti quelli che non potranno permettersi di acquistare queste vetture a tutt’oggi assai costose (non meno di 20mila euro) e che contribuiranno volenti o nolenti ai sussidi per chi quelle vetture se le può permettere, magari i favolosi Suv-elettrici. Noi classe media, con vecchie carrozze marcianti a benzina o a gasolio, per di più inseguiti da anatemi e divieti da sindaci tipo Beppe Sala, costretti a finanziare e a guardare come eroi i fighetti circolanti su splendide eco-portaerei elettrificate.

Promesse non mantenute

Soprattutto è una boiata pazzesca per il pianeta terra. Perché – per una serie di ragioni che proverò ad illustrare attingendole da studi che la propaganda del pensiero unico verde ignora per non rovinarsi il mercato dei gonzi – alla fine della fiera il mondo si ritroverà, proprio grazie ai veicoli a batteria, con l’atmosfera nient’affatto risanata ma persino peggiorata dall’ingresso in massa di queste macchine fatte passare come panacea mirabolante per rinfrescare il clima azzerando o quasi i mefitici gas serra. Non esiste infatti alcuna ricerca che confermi in modo scientificamente apprezzabile che le quantità di anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N20) iniettate nell’aria del globo, alla fine della conversione generale del parco auto d’Europa e dei Paesi più avanzati, saranno diminuite. Invece esistono studi che mostrano con certezza che in questo momento storico e per chissà quanto tempo, il bilancio sarà negativo.

Infatti capiamo tutti, non siamo ciechi, che dai tubi di scappamento delle auto dotate di motori alimentati a carburante fossile (si dice così) non viene emessa aria tipica delle montagne svizzere, mentre quelle che hanno in dotazione batterie ricaricabili infilando una spina nella presa, i tubi di scappamento non li hanno proprio.

La questione sta nell’inquinamento che la fabbricazione delle citate batterie provoca. Bisogna immaginarsi una ciminiera alta e larga come un vulcano delle Ande, che pompa nel cielo della Cina quantità strabilianti di gas serra. E com’è noto non è previsto che l’anidride carbonica esibisca il passaporto alle frontiere: arriva, eccome se arriva, dovunque. E dove sta il guadagno? Seconda questione. Ad esempio. Quanta dell’energia elettrica iniettata nelle batterie è prodotta con fonti rinnovabili o con il nucleare, e quanta con materiali fossili? In Italia, ad esempio, siamo al 48 per cento prodotta con il gas a cui sommare il 4,9 per cento fornita da centrali a carbone.

Il dogma e la libertà

Dicevamo di Parigi. Quanta ipocrisia. Macron ha visitato la sezione del “Mondiale” (lo chiamano semplicemente così i francesi: oh la grandeur) occupata dalla Peugeot, e l’ha elogiata per la promessa di adeguarsi al comandamento formulato dall’Unione Europea di produrre ovunque e subito auto elettriche. Poche ore dopo, ancora zuppo dell’acquasanta sparsa da Emmanuel le Petit, Carlo Tavares, l’amministratore delegato della immensa ditta che raduna Peugeot-Citroën e Fiat-Chrysler, ha esposto come Martin Lutero le sue tesi eretiche: «La decisione dogmatica di vendere solo auto elettriche nel 2035 (nell’UE) ha sin d’ora conseguenze sociali ingestibili». Ha aggiunto: «Non è accettabile il dogma del veicolo elettrico per tutti, perché è troppo costoso: come possiamo proteggere la libertà di movimento delle classi medie che non potranno acquistare un veicolo elettrico? Dire alla classe media “stattene in casa” non è politicamente gestibile».

Dunque c’è un problema di libertà e di giustizia sociale. E ad essere punito è il ceto medio. In Italia, il provvedimento del governo dello scorso 5 ottobre prevede contributi fino a 7.500 euro per i veicoli elettrici e fino a 6.000 per le ibride, inoltre è stato anche stanziato un contributo fino all’80% della spesa per l’installazione di punti di ricarica nelle strutture private. Avete notato che in centro le auto elettriche trovano sempre parcheggio libero e si attaccano a colonnine sovvenzionate da noialtri fessi. Va bene così?

È accertato che la produzione di una batteria per auto elettriche è un’operazione altamente inquinante. La grandissima parte delle batterie agli ioni di litio è sfornata in Cina (nel 2021 era al 79% del totale globale, gli Stati Uniti erano secondi con il 6,2%, l’Ungheria con il 4%, e la Polonia con il 4,1%, l’Italia non è neppure citata nelle ricerche). E la Cina consuma energia all’80% ad emisssione di gas serra. Inoltre, l’estrazione e la lavorazione dei materiali necessari per la produzione delle batterie richiede molta energia e altera l’equilibrio ecologico. Queste operazioni «sono la fonte di un decimo delle emissioni globali», secondo France Stratégie, con acciaio e alluminio che hanno un peso considerevole a causa dei volumi estratti. Questi due metalli rappresentano quasi il 40% della composizione di una batteria per auto elettriche, oltre a rame, grafite, cobalto e litio.

Noi Italiani non ne abbiamo uno zic di questa roba preziosa ormai più dell’oro. Per questo l’auto elettrica è una boiata pazzesca. Ci impicchiamo alla corda cinese, e per di più inquiniamo il mondo.

Gli ultimi studi dicono – facendola breve, e senza considerare i costi di riciclaggio delle batterie – che solo le piccole city-car hanno conseguenze meno dannose per l’ambiente di quelle tradizionali. Quelle più grosse, dotate di batterie del peso fino a 750 kg (!), che filano per quasi mille chilometri, sono secondo l’Agenzia francese per la transizione ecologica (Ademe) perniciose più del Diesel. Questo in Francia, dove l’energia elettrica è basata sul nucleare. In Italia il calcolo boccerebbe anche le city car elettriche. Ma – come diceva Totò – “Io pago”.

Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2022 su Libero Quotidiano.

Articolo collegato

Segue l’inizio e la fine dell’articolo La Belt and Road Initiative della Cina comunista che distrugge l’ambiente di Judith Bergman pubblicato sul sito del Gatestone Institute-International Policy Council del 17 ottobre 2022.

Il danno ambientale che il Partito Comunista Cinese sta causando con la sua Belt and Road Initiative (BRI) è incommensurabile. Secondo il professor William Laurance della James Cook University di Cairns, in Australia: “In tutto il mondo, in quasi tutto il continente, la Cina è coinvolta in una strabiliante varietà di progetti di sfruttamento delle risorse naturali, energetici, di sviluppo agricolo nonché di opere infrastrutturali, come strade, ferrovie, dighe idroelettriche, miniere, che stanno provocando danni senza precedenti agli ecosistemi e alla biodiversità”. (…)

La BRI non sta soltanto minacciando l’estinzione delle foreste e delle specie animali. Gli ambientalisti ritengono inoltre che la Belt and Road Initiative abbia conseguenze potenzialmente negative per il clima: anche il Partito Comunista Cinese la sta utilizzando “per perpetuare l’uso del carbone e di altri combustibili fossili, quasi ovunque arrivi la BRI (…) E questo significa aumentare le emissioni di gas serra”.

Secondo Jennifer Hillman e Alex Tippett, scrivendo per il Council on Foreign Relations nel marzo 2021: “Dalla creazione della Belt and Road Initiative (BRI), miliardi di dollari di fondi cinesi sono stati destinati a progetti di combustibili fossili in tutto il mondo. Questi investimenti promettono di rendere l’attenuazione dei cambiamenti climatici molto più difficile…

“Finora, i settori dell’energia e dei trasporti sono stati l’obiettivo primario degli investimenti della BRI, con l’energia che secondo le stime costituirà il 44 per cento delle complessive spese della Belt and Road Initiative.

“La maggior parte dei finanziamenti energetici cinesi va a fonti non rinnovabili. Tra il 2014 e il 2017, il 91 per cento dei prestiti del settore energetico concessi da sei grandi banche cinesi ai Paesi aderenti alla BRI era destinato a progetti di combustibili fossili. Nel 2018, il 40 per cento dei prestiti del settore energetico è andato ai progetti nel settore del carbone. Nel 2016, la Cina è stata coinvolta in 240 progetti di centrali a carbone nei Paesi aderenti alla BRI, un numero che probabilmente è cresciuto”.

Articolo completo QUI.

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