L’oro da Mosca. La storia insegna, sono solo i compagni ad essersi presi i rubli

Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer e Armando Cossutta… I rubli da Mosca li hanno presi solo i compagni. Fino alla caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il Partito Comunista Italiano è stato foraggiato dai denari di Mosca. Il patrimonio, stimato in mezzo miliardo, a disposizione dei “nipotini” di Togliatti.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.09.2022 – Renato Farina] – Ci tocca scoprire l’acqua calda. O, data la localizzazione, la vodka gelata. I rubli sin dal 1919 hanno camminato come un corteo di milioni di formiche verso le tasche della sinistra italiana sempre bisognose di grana. Una vecchia storia, direte. Anche da destra si è propensi a minimizzare, a relegare a un passato lontano queste simpatiche interferenze orientali. Be’, non è così. II patrimonio dei comunisti, nel frattempo diventati formalmente ex, se ne sta Ti, immenso, valutato almeno mezzo miliardo di euro, ed è a loro disposizione. E una specie di riserva strategica, un tesoro su cui sta seduto – come sul leggendario puff imbottito di banconote e lingotti della famiglia Poggiolini – il Partito democratico di Enrico Letta. Non che Letta possa schioccare le dita e farsi portare su un vassoio qualche bel lingotto. E un democristiano. Non ha perciò la chiave della montagna incantata vigilata da guardie eternamente rosse, le quali si comportano come i custodi dell’Arca dei film di Indiana Jones. I beni sono ripartiti in 67 fondazioni coordinate dalla Fondazione Madre, che porta il nome di Enrico Berlinguer, ed è presieduta dal glorioso compagno Ugo Sposetti. E in questa cornucopia multitasking sono confluiti i cespiti sopravvissuti alle vicissitudini di PCI-Pds-Ds. Questi beni sono stati messi da parte al momento della confluenza dei “rossi” con i bianchi della Margherita nel Partito democratico.
Il deposito milionario
II Pd non ha la disponibilità formale di questo deposito da Paperon de’ Paperoni. Ma tutti coloro che discendono dai lombi di Togliatti e Berlinguer ne sono di fatto azionisti. Si vociferava che Andrea Orlando stesse per defenestrare Sposetti. II quale, come gli immortali che custodiscono il Sacro Graal, non ha ceduto di un millimetro. Siccome Sposetti è un galantuomo, e spande intorno a sé un profumo di antichi ideali, si osserva questa faccenda addirittura con simpatia e ironia complice. Sbagliato! Sarebbe ora di farci una battaglia morale. Come la chiamava Berlinguer? Questione morale. Questa colossale fortuna in realtà non andrebbe ripartita tra i discendenti di Togliatti ma restituita ai figli e nipoti degli zek, quei milioni di prigionieri del Gulag dal cui lavoro forzato i compagni italiani hanno tratto gli strumenti per truccare la democrazia. Insomma L’oro da Mosca – titolo del libro monumentale di Valerio Riva scritto con Francesco Bigazzi- è sangue cavato a questi disgraziati, e oggi se ne sta bel bello, lustrato e stoccato a disposizione dei reduci del PCI.

Un po’ di storia. Lenin cominciò nel 1919 a finanziare Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti quando il PCI non era ancora nato, e gli ultimi quattrini arrivarono al PCI ancora nel 1990 da Gorbaciov. I rubli del «Fondo di assistenza» andarono, per settant’anni, a settanta partiti «fratelli» del mondo intero, che accettavano di essere strumenti al servizio del progetto sovietico di comunismo mondiale. Comunisti, ma anche socialisti purché solidali con Mosca, come Pietro Nenni che si meritò ampiamente, prima della sua resipiscenza, il Premio Stalin. Ovviamente anche la CGIL. Oggi conosciamo copeco per copeco quanto l’URSS ha pagato ai partiti schierati al suo fianco.
II PCI è stato il partito che l’ha fatta da padrone nell’avere oro di Mosca. Ad esso andava un terzo del budget complessivo destinato a tutti i partiti comunisti mondiali. Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni Novanta incassò circa 1.000 miliardi. Ma l’URSS non dava solo rubli. Centinaia di imprese economiche intestate a uomini fedeli al PCI ricavavano sporte di soldi dal commercio e dal turismo con la Russia. Che forniva carta, due tonnellate e mezzo di pelli pregiate e comprava 20mila tonnellate di agrumi dalla Sicilia per pagare i debiti de l’Unità.
E anche Berlinguer…
Cosa chiedeva l’URSS in cambio dei rubli? Informazioni, organizzazione insurrezionale pronta nel momento opportuno a scendere in campo per appoggiare l’invasione dei russi. Una delle più risibili fake news è la tesi che nel 1972 Enrico Berlinguer rifiutò nuovi contributi. Balle. Ci sono verbali della direzione del PCI, scovati da Fabrizio Cicchitto, che provano il contrario. Vero è che il Cremlino preferì foraggiare le correnti antiberlingueriane, Armando Cossutta in primis, ma il compianto amico Riva ha accertato «che il “gran rifiuto” o non c’è stato o per lo meno non è stato così perentorio: il flusso dell’oro da Mosca non si è affatto arrestato a una certa data, ma è continuato fino e oltre la fine dell’URSS» (Riva, p. 5). Il Cremlino non pagava soltanto l’«ideologia», o «l’appartenenza», ma forse qualcosa – ha annotato il professor Gianfranco Morra su Italia Oggi – che potrebbe essere chiamato «spionaggio».
A proposito, è il Sole 24 Ore che ha provato a censire il tesoro dei comunisti buono per altre avventure: 2.399 immobili, 410 opere d’arte, mezzo miliardo di euro.
Renato Farina
Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2022 su Libero Quotidiano.

Foto di copertina: 10 rubli sovietiche.