14 settembre, il Giorno della Santa Croce
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.09.2022 – Vik van Brantegem] – Oggi, 14 settembre la Chiesa celebra la festa dell’esaltazione della Santa Croce, che si collega a due particolari eventi: il recupero della reliquia della Vera Croce da parte di Sant’Elena, la madre dell’Imperatore Costantino, il 14 settembre 320; e la dedicazione nel 335 delle due basiliche fatte edificare da Costantino a Gerusalemme, l’una sul Golgota (ad Martyrium), l’altra presso il Santo Sepolcro (Anastasis, rappresentante la resurrezione di Cristo e discesa agli inferi), come si legge nel Martirologio Romano: «Festa della esaltazione della Santa Croce, che, il giorno dopo la dedicazione della basilica della Risurrezione eretta sul sepolcro di Cristo, viene esaltata e onorata come trofeo della sua vittoria pasquale e segno che apparirà in cielo ad annunciare a tutti la seconda venuta del Signore».
È notevole il leggendario ritrovamento da parte di Sant’Elena, sotto la supervisione del Vescovo Macario, aiutata negli scavi da un uomo di nome Giuda, che poi si farà chiamare Ciriaco. Questi trova le tre croci e in seguito anche i chiodi, che Sant’Elena manderà a Costantinopoli in dono a suo figlio. Il riconoscimento di quale delle tre fosse la croce di Gesù, sappiamo che avvenne attraverso la guarigione miracolosa di una matrona.
Secondo la tradizione, Sant’Elena avrebbe portato una parte della Santa Croce a Roma, in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove oggi possiamo venerare la reliquia, mentre una parte rimase a Gerusalemme. Bottino dei persiani nel 614, fu poi riportata trionfalmente nella Città Santa.
A Roma fu costruita nel 1913 dall’Ing. Aristide Leonori per volere di Papa Pio X una chiesa come solenne celebrazione del XVI centenario dell’Editto di Milano (313). La Santa Croce al Flaminio è una chiesa basilicale dedicata alla Santa Croce che si trova nelle vicinanze di via Flaminia, in via Guido Reni a Roma. Fu lo stesso pontefice a sostenere le spese di costruzione, ed il luogo scelto fu quello in cui, secondo la tradizione, l’Imperatore Costantino I fece suonare le trombe per annunciare alla città la fine delle ostilità contro i cristiani. I lavori di costruzione iniziarono il 17 ottobre 1912 e la chiesa venne inaugurata il 29 dicembre dell’anno successivo. Essa fu però consacrata solo nel 1918 da Monsignor Giuseppe Pallica, Arcivescovo di Filippi. Nel frattempo, il 19 marzo 1914, fu elevata a parrocchia con la Costituzione apostolica di Pio X Quod iam pridem ed affidata ai Stimmatini. Nel 1964, Paolo VI l’ha elevata al rango di basilica minore.
La basilica è sede del titolo cardinalizio di “Santa Croce in Via Flaminia”, istituito da Papa Paolo VI il 5 febbraio 1965.
La chiesa è anche la basilica magistrale e sede della Real Deputazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, di natura equestre-religiosa, con le seguenti finalità: la Glorificazione della Croce, la Propaganda della Fede e la difesa della Santa Romana Chiesa, alla quale l’Ordine è strettamente legato per speciali benemerenze e per molteplici prove di riconoscenza e di benevolenza avute dai Sommi Pontefici. È così, recitano gli Statuti, non solamente precipuo dovere dei Cavalieri Costantiniani di vivere da perfetti cristiani, ma è proprio di essi l’associarsi a tutte quelle manifestazioni che concorrono all’incremento dei principi religiosi e cooperare con tutti i mezzi perché si ridesti nella pratica la vita cristiana.
Tra gli arredi della chiesa è conservata una riproduzione moderna, riccamente ornata con ricami e gioie, dell’antico Labaro Costantiniano, l’insegna militare sulla quale Costantino fece porre il Segno della Croce in seguito alla famosa visione (In hoc signo vinces).
L’Imperatore Costantino e la conversione al Cristianesimo
di Antonio Piscitelli
L’adesione di Costantino al Cristianesimo è un avvenimento molto importante sia dal punto di vista storico che religioso. Questo perché, nonostante fino a pochi anni prima i Cristiani continuavano a subire forti persecuzioni, grazie alla conversione si realizzò un nuovo rapporto tra Stato e Chiesa che vide il Cristianesimo, nel giro di pochi anni, passare da religione permessa a religione favorita, e a ritrovare in essa una maggiore coesione e stabilità dell’Impero.
Imperatore romano dal 306 fino al 337, anno della sua morte, Costantino si ritrovò a essere in conflitto con Massenzio dal 306 fino al 312. Personalmente devoto al culto orientale di Elio, il Dio del sole, l’Imperatore cominciò a cercare sostegno in un Dio più potente e universale. La conversione di Costantino avvenne prima della battaglia presso ponte Milvio a Roma, il 28 ottobre 312. L’episodio è descritto in due tradizioni differenti: una riguarda quella di Lattanzio, precettore dei suoi figli, l’altra è quella di Eusebio, vescovo di Cesarea. Lattanzio afferma che Costantino subito prima della battaglia vide in un sogno il monogramma di Cristo XP, ricevendo la promessa divina che se lo avesse fatto incidere sugli scudi dei soldati avrebbe vinto (Le morti dei persecutori, 44,5). Eusebio di Cesarea narra (nella Vita di Costantino, verso il 340) di una croce luminosa che apparve all’esercito mentre marciava verso Roma, con la scritta “In questo segno vincerai”; l’imperatore stesso glielo aveva riferito sotto giuramento.
Costantino riuscì a sconfiggere Massenzio e poco dopo a Milano attuò quello che è conosciuto come l’Editto di Milano del 313, che stabiliva libertà di culto e restituiva alle chiese i beni tolti. Dichiarando l’Impero aperto a tutte le religioni e scegliendo per sé il Cristianesimo l’imperatore si presentava come “pontefice massimo”: il supremo rappresentante terreno dell’unico Dio e massima istanza di riferimento per gli apparati ecclesiastici.
Nel 325 riuscì a riunire a Nicea, in Bitinia, il primo concilio ecumenico, a cui parteciparono circa trecento vescovi. Costantino assunse la presidenza del concilio e lo inaugurò con un discorso in cui si presentò come l’uomo più importante dopo la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden.
Costantino ricevette il battesimo cristiano solo in punto di morte, da Eusebio di Nicomedia, vescovo ariano.
La battaglia di Ponte Milvio (27-28 ottobre 312)
L’antefatto e le conseguenze della battaglia sono descritte in DallaTetrarchia all’Impero romano d’Oriente, parte I, secondo quanto riportato da Bisanzio.it.
Nella primavera del 312 Costantino mosse da Treviri alla testa del suo esercito e penetrò in Italia attraverso il passo di Monginevro. Dopo aver assediato e preso Susa, fedele a Massenzio, sconfisse le truppe che l’usurpatore gli mandava contro prima nei pressi di Torino e poi a Verona, dove perse la vita il prefetto del pretorio Ruricio Pompeiano che le comandava. Discese quindi la penisola lungo la via Flaminia senza più incontrare resistenza e si accampò alle porte di Roma al XIII miglio della Flaminia, una località oggi nota come Malborghetto.
Come spesso accade, le fonti divergono circa la consistenza numerica dei due eserciti: da un massimo di 100.000 ad un minimo di 40.000 per Costantino e da 170.000 a 100.000 per Massenzio. Concordano invece su un rapporto di forze di circa due a uno a favore di Massenzio.
Massenzio attestò le prime linee del suo esercito nella località di Saxa Rubra, in un punto teoricamente a lui favorevole, ossia collinare e impraticabile alla cavalleria nemica. Le prime schermaglie iniziarono al XII miglio e si trasformarono rapidamente in uno scontro generale che, dopo un iniziale successo delle truppe dell’usurpatore, terminò con il loro arretramento verso la città.
Alla vigilia dello scontro decisivo, prima del tramonto l’imperatore affermò di vedere un simbolo nel cielo in cui riconobbe le iniziali di Cristo con un’affermazione esortativa: «Un segno straordinario apparve in cielo. (…) quando il sole cominciava a declinare, egli vide con i propri occhi in cielo, più in alto del sole, il trofeo di una croce di luce sulla quale erano tracciate le parole in hoc signo vinces. Fu pervaso da grande stupore e insieme a lui il suo esercito» (Eusebio di Cesarea, Vita Costantini).
Lo stesso Messia (o un angelo suo messaggero) gli sarebbe apparso in sogno durante la notte esortando Costantino ad apporre quel simbolo sugli scudi dei soldati con quei segni celesti di Dio e ad iniziare quindi la battaglia. Egli fece dunque in questo modo e ruotando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera greca X (chi), segnò gli scudi con il monogramma del chi-ro (Chrismon), abbreviazione della parola Χριστός (Lattanzio, De mortibus persecutorum).
Costantino sostituì anche l’aquila di Giove che sormontava lo stendardo imperiale con il Chrismon circondato da una corona d’alloro.
Ancora oggi sulla via Flaminia, un sobborgo di Roma porta il nome di Labaro. Da ciò possiamo dedurre che, prima della visione e quindi dello scontro definitivo, siano avvenuti almeno altri due scontri, poiché se il primo impatto avvenne nei pressi dell’arco di Malborghetto questo si protrasse, con un avanzamento vittorioso dell’esercito d’oltralpe, almeno fino a Labaro, dove probabilmente avvenne un secondo scontro questa volta non favorevole a Costantino, tanto che fu necessaria un’infusione di coraggio o, se vogliamo, l’intervento divino perché al momento del terzo scontro, probabilmente quello di cui parlano le fonti avvenuto ai Saxa Rubra e che corrisponde all’incirca alla piana tra Labaro e Saxa Rubra, dove l’esercito costantiniano riuscì probabilmente a mettere in fuga quello di Massenzio che decise di ripiegare ulteriormente verso il fiume e attendere il nemico a Ponte Milvio. Qui Massenzio aveva fatto distruggere il ponte originale in calcestruzzo e aveva fatto costruire un ponte di barche facilmente rimuovibile, che, secondo i suoi piani, al momento del passaggio dell’esercito avversario doveva essere abbattuto, provocando la caduta delle milizie di Costantino nel Tevere.
«Inspiegabilmente Massenzio, anziché riparare all’interno delle mura e sostenere un assedio che difficilmente le truppe di Costantino, inferiori di numero, avrebbero potuto condurre a buon fine, rischierò l’esercito sulla riva destra del Tevere, costringendo i suoi uomini a dare battaglia con il fiume alle spalle, con i soldati dell’ultima fila che avevano praticamente i piedi bagnati dall’acqua» (Anonimo, XII Panegirico – IX secondo altra numerazione – 313).
Entrambi gli eserciti si disposero con la cavalleria sulle ali e la fanteria al centro. Costantino guidò personalmente la carica della cavalleria leggera gallica che, potendo contare su una maggiore agilità di manovra, travolse la cavalleria catafratta di Massenzio sulle ali della formazione nemica, scoprendo i fianchi dello schieramento centrale di fanteria che, caricata a sua volta, collassò e sbandò, ripiegando disordinatamente sul ponte di barche che si sfaldò sotto il suo peso. Un gran numero di soldati, tra cui lo stesso Massenzio trascinato a fondo dal peso dell’armatura, morirono annegati.
Soltanto la guardia pretoriana, schierata a difesa della testa del ponte, serrati i ranghi attorno al vessillo dello scorpione, mantenne la linea e combattè fino all’ultimo uomo la sua ultima battaglia (Costantino, dopo la vittoria, sciolse infatti il corpo della guardia pretoriana che non venne più ricostituito).
Il giorno seguente Costantino I fece il suo ingresso a Roma, acclamato dalla popolazione festante. Con la sua sfavillante armatura portava in mano la testa mozzata dell’usurpatore Massenzio, colui che si era autoproclamato augusto, il cui corpo era stato trovato poco lontano dal luogo dello scontro decisivo.