Una Chiesa aperta alle periferie e chiusa al mondo della tradizione
Condividiamo di segue due articoli sulla guerra papale ai “tradizionalisti”, con una serie di domande. «Come può Traditionis custodes dire il contrario di Summorum Pontificum?». «Come possiamo avere una Chiesa aperta alle periferie e chiusa al mondo della tradizione?», domanda a cui è dedicato un Postscriptum: il Papa condanna le politiche di assimilazione e affrancamento delle popolazioni indigene e loro tradizioni, ma obbliga le famiglie cattoliche di abbandonare la liturgia tradizionale.
La liturgia, nella quale sempre di nuovo Dio si rende presente, è il servizio verso Dio. È quindi chiaro che la crisi della liturgia è il primo segnale della crisi di fede. “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (Joseph Ratzinger, La mia vita).
- «I “tradizionalisti” non stanno per scomparire», Tribuna di Jean de Tauriers, Presidente di Notre-Dame de Chrétienté su Famille Chétienne del 22 luglio 2022. Mentre la Chiesa attraversa una crisi senza precedenti, de Tauriers invita le autorità ecclesiali a interrogarsi sulle ragioni profonde dell’attaccamento dei fedeli alla liturgia tridentina e a contare con loro per lavorare alla sua rinascita. «La fecondità delle comunità tradizionali, la loro giovinezza, il loro ardore al servizio di Cristo non sono forse segni della divina Provvidenza che mostrano che questo movimento è una via possibile per il rinnovamento della Chiesa? Permettetemi di aggiungere che il numero dei pellegrini a Chartres (15.000 quest’anno) mostra la vitalità del mondo tradizionale. Come spiegare una crescita costante da quasi 10 anni, principalmente tra i giovani? Dio non abbandona la sua Chiesa, questa buona salute è segno di speranza!». «Dunque non c’è niente di più urgente da fare che chiedere a queste famiglie di abbandonare la liturgia tradizionale?».
- Tradizione nel mirino. Rieducazione liturgica: questa Messa non s’ha (più) da fare di Stefano Chiappalone su La Nuova Bussola Quotidiana del 25 luglio 2022. A un anno dal Motu proprio Traditionis custodes”, in tre diocesi USA cominciano le operazioni di smantellamento della Messa in rito antico, mostrando che la Santa Sede mira a eliminarla ovunque. A Savannah (Georgia) le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno, a Washington si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico. Insistenti i rumors su Chicago, dove il Cardinale Blase Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote [QUI]. Nella Chiesa “della misericordia” dà fastidio soltanto la liturgia tradizionale? Così la cura pastorale si traduce in una sorta di rieducazione liturgica. Invece, Papa Francesco si è recato in “viaggio penitenziale” in Canada, per “supplicare” perdono per una politica verso le popolazioni indigeni “di assimilazione e affrancamento che veicolano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si suppone cristiana”. Ne parliamo nel Postscriptum.
«I “tradizionalisti” non stanno per scomparire»
Tribuna di Jean de Tauriers, Presidente di Notre-Dame de Chrétienté
Famille Chétienne, 22 luglio 2022
(Nostra traduzione italiana dal francese)
A un anno dal Motu proprio Traditionis custodes, la Lettera Desiderio desideravi di Papa Francesco conferma chiaramente la sua volontà di far scomparire la liturgia tridentina. Proposte incendiarie con il tempo torrido! Alcune reazioni elogiative si sente qua e là, le uniche che osano esprimersi pubblicamente nel nostro strano tempo “di dialogo sinodale e di condivisione dei cammini”. Dopo il Motu proprio Traditionis custodes si è parlato di “stupore”, di “incomprensione”, di “rabbia” dei fedeli, tradizionalisti e non.
Cosa dire, dopo un anno? Perché in realtà, il tanto atteso “dialogo sinodale”, per cercare la comprensione reciproca, non ha avuto luogo. Nessuna riflessione sulle ragioni di fondo delle scelte dei fedeli cosiddetti “tradizionalisti”; nessuna attenzione per la situazione dei chierici delle comunità, che tuttavia sono attaccati alle loro costituzioni in modo definitiva – e quindi per la loro santità! – per la liturgia tradizionale; tutto questo mentre la situazione generale della Chiesa è peggiorata terribilmente in un anno, e non solo in Germania. Sarebbe sembrato giusto e interessante che si facesse uno sforzo particolare per comprendere i fedeli che hanno scelto la liturgia tradizionale. Allo stesso modo, interessarsi alle ragioni dei chierici che hanno dato la vita a Dio all’interno delle comunità avendo optato per questa preferenza liturgica non sembra inutile.
La vitalità del mondo tradizionale
Perché la realtà, quella dei “tradizionalisti”, c’è, e non sta per scomparire. I “tradizionalisti” provengono da tutti i ceti sociali; il loro numero è in aumento e rappresenta quasi il 10% dei praticanti in Francia. Questa cifra è abbastanza significativa da meritare un’analisi seria. Il numero delle vocazioni è relativamente più alto in questi contesti tradizionali che nel resto della Chiesa. Più che voler sopprimere la Messa tradizionale, non sarebbe interessante comprendere l’origine di queste vocazioni e le motivazioni di queste scelte liturgiche?
L’ultimo Concilio, come tutti i Concili, ha voluto un rinnovamento nella Chiesa. Ebbene: la fecondità delle comunità tradizionali, la loro giovinezza, il loro ardore al servizio di Cristo non sono forse segni della divina Provvidenza che mostrano che questo movimento è una via possibile per il rinnovamento della Chiesa?
Permettetemi di aggiungere che il numero dei pellegrini a Chartres (15.000 quest’anno) mostra la vitalità del mondo tradizionale. Come spiegare una crescita costante da quasi 10 anni, principalmente tra i giovani? Dio non abbandona la sua Chiesa, questa buona salute è segno di speranza! Dire questo non significa che il piccolo mondo dei “tradizionalisti” sia l’unica via di salvezza. Questo piccolo mondo, peraltro molto vario, vuole agire con tutti i suoi carismi per il bene della Chiesa. Sappiamo che non è l’unico a lavorare in questa direzione. Perché negargli questo ruolo di “servo buono e fedele”?
«I “tradizionalisti” sono un pericolo per la Chiesa?»
Infine, tra il Motu proprio Traditionis custodes e la Lettera Desiderio desideravi, la Chiesa è entrata ancora più profondamente in una crisi drammatica e senza precedenti: rivelazioni di abuso di autorità, crisi del Sinodo tedesco, messa in discussione del dogma cattolico nella raccolta del Sinodo delle diocesi di Francia. La consapevolezza di questa crisi, che è prima di tutto dottrinale e quindi di fede, spiega la scelta dei “tradizionalisti”, la loro fedeltà e la loro resistenza. Le famiglie volendo rimanere cattoliche e volendo trasmettere la fede ai propri figli scelgono alcune chiese, catechismi, gruppi scout, scuole, associazioni. Spesso, ma non sempre per fortuna, queste chiese, gruppi, scuole sono legate alla liturgia tradizionale. Una normale reazione delle nostre autorità ecclesiali sarebbe quella di rallegrarsi e incoraggiare questi coraggiosi resistenti. Queste famiglie si prendono la briga di fare il pellegrinaggio a Chartres per offrire un ritiro spirituale ai loro figli. Spendono generosamente per la loro istruzione perché le scuole, cattoliche sotto contratto o pubbliche, sono spesso in difetto.
Di fronte a tale crisi della Chiesa, l’incomprensione del 16 luglio 2021 si trasforma oggi in stupore: non c’è dunque niente di più urgente da fare che chiedere a queste famiglie di abbandonare la liturgica tradizionale, fonte della loro spiritualità? I “tradizionalisti”, con il messale del 1962, il loro latino e le loro tonache, sono davvero un pericolo per la Chiesa, mentre i propagatori di eresie si esprimono oggi nella totale impunità?
Durante il nostro ultimo pellegrinaggio di Pentecoste, ho incontrato centinaia di pellegrini, spesso sotto i vent’anni e di ogni ceto sociale. Rimango sorpreso dalla buona conoscenza che avevano del divieto di ordinazioni nella Diocesi di Fréjus-Toulon [QUI e QUI], del divieto di indossare la tonaca [per i seminaristi e diaconi, per non mostrarsi “in modo troppo clericale”] nell’Arcidiocesi di Toulouse [QUI] e, naturalmente, delle persecuzioni subite da alcuni sacerdoti (messe al bando, cresime, matrimoni , battesimi, catechismi). I praticanti oggi sono informati, seguono le notizie della Chiesa, in particolare attraverso i social network. E quando non capiscono certe decisioni ideologiche e autoritarie, lo dicono, sono sorpresi, rattristati. L’attuale autoritarismo lascerà cicatrici su tutti questi giovani.
Affrontare la realtà con obiettività
Il primo atteggiamento per curare una malattia è fare una diagnosi, conoscerne le cause, affrontare la realtà con obiettività. L’apostasia generale del nostro mondo è alla radice della resistenza dei circoli tradizionalisti. La questione liturgica è una questione fondamentale perché è l’espressione della fede.
Sorgono un certo numero di domande e l’argomento dell’autorità, sistematicamente presentato oggi, non basterà. A queste domande si dovrà rispondere, con il rischio di vedere un aumento di petizioni, manifestazioni, appelli a Roma, appelli ai vescovi e guai di ogni tipo:
- Come può Traditionis custodes dire il contrario di Summorum Pontificum?
- Come può la Chiesa tornare indietro sulle promesse fatte nel 1988 ai chierici accogliendo le proposte di Roma dopo le consacrazioni di Monsignor Lefebvre? Il Cardinal Ratzinger ha poi promesso che “il mondo tradizionale aveva il suo posto nella Chiesa, così com’era”.
- Come possiamo avere una Chiesa aperta alle periferie e chiusa al mondo della tradizione?
- Come capire questa implacabilità nei confronti di un movimento minoritario, missionario e dinamico?
- Sarebbe possibile fare il punto sulle riforme intraprese quasi sessant’anni fa?
- I cattolici hanno diritto ai sacramenti da cui dipende la loro salvezza. Come è possibile vietare la celebrazione di Messe, cresime, matrimoni, battesimi e persino impedire i catechismi?
Tradizione nel mirino
Rieducazione liturgica: questa Messa non s’ha (più) da fare
di Stefano Chiappalone
La Nuova Bussola Quotidiana, 25 luglio 2022
Negli USA suonano le campane a morto per la “Messa in latino” e i rintocchi provengono da Roma. Un caso istruttivo a Savannah, in Georgia, un decreto a Washington e probabili rumors da Chicago, a un anno dal Motu proprio Traditionis custodes chiariscono, a chi ancora non lo avesse capito, l’intento dichiarato della Santa Sede e (non da ora) di parte della gerarchia: non semplicemente regolamentare il rito antico, ma condurlo all’estinzione.
A Savannah le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno. Applicando le indicazioni del Motu proprio e dei successivi Responsa dell’allora Congregazione per il Culto Divino, Mons. Stephen D. Parkes ha chiesto a Roma l’autorizzazione per continuare nelle chiese parrocchiali: autorizzazione concessa, ma con data di scadenza. Lo ha reso noto lo stesso vescovo in una lettera datata 15 luglio 2022. Va detto che il vescovo riconosceva la positività di questa esperienza, ma evidentemente non è bastato. Finora le celebrazioni si svolgevano una volta a settimana in cattedrale e una volta al mese in altre parrocchie, come stabilito recentemente dal vescovo in una lettera del 4 novembre. Il 18 dicembre con la pubblicazione dei Responsa, si specificava che per poter continuare la celebrazione nelle chiese parrocchiali (di per sé escluse da Traditionis custodes), il vescovo doveva chiedere l’autorizzazione della Santa Sede, cosa che Mons. Parkes ha fatto a metà aprile. La risposta di Roma, giunta a fine maggio e resa nota ora, indica che:
1) la Messa celebrata in cattedrale una volta a settimana va spostata nella parrocchia del Sacro Cuore, a partire dal prossimo 7 agosto;
2) nelle altre 3 parrocchie coinvolte (ad Augusta, Macon e Ray City) può continuare una volta al mese;
3) in entrambi i casi tutto ciò è possibile fino al 20 maggio 2023 (giorno indicato dallo stesso dicastero romano).
E dopo la fatidica data? Le parole di Mons. Parkes lasciano poco spazio all’immaginazione: «I sacerdoti che celebreranno queste Messe accompagneranno i fedeli nei mesi a venire nella transizione alla Messa secondo i decreti del Concilio Vaticano II».
La data del 20 maggio 2023 potrebbe essere inoltre un indizio, colto dal blog Messainlatino, della possibile «emanazione di qualche provvedimento vaticano (già noto a qualcuno nel Dicastero?) che limiti ulteriormente (o peggio…) la celebrazione della Santa Messa tradizionale». In effetti non si tratta di una “cifra tonda” (un anno, sei mesi…) ma di una data ben precisa. Comunque vada, l’impressione è che, a dispetto del ruolo di «moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica», affermato nell’art. 2 di Traditionis custodes, di fatto il vescovo sia libero, sì, ma solo di chiudere il rubinetto. Quelli desiderosi di andare incontro ai fedeli legati al rito tradizionale dovranno rivolgersi alla Santa Sede, la cui volontà è piuttosto chiara e reiterata. Sin dalla Lettera accompagnatoria del 16 luglio 2021 si evidenzia che l’obiettivo del Motu proprio è «provvedere al bene» di questi fedeli che «hanno bisogno di tempo per ritornare al rito romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II». Quindi nei Responsa del 18 dicembre il Prefetto del Culto Divino, Mons. Roche (che sarà creato cardinale il 27 agosto) ripete più volte che ogni concessione è «in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del rito romano», ovvero quella riformata. Infine, il n. 31 della recente Lettera Apostolica Desiderio desideravi ribadisce il desiderio del Santo Padre.
Prove di estinzione anche a Washington, con un decreto di 7 pagine del cardinale Wilton D. Gregory pubblicato il 22 luglio, che entrerà in vigore a settembre. Si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico: niente Messe tradizionali a Natale, Pasqua e Pentecoste. E in ogni caso niente nozze né battesimi né altri sacramenti. Il cardinale ammette che che «la maggioranza dei fedeli che partecipano a questa santa Messa nell’arcidiocesi di Washington sono sinceri, pieni di fede e ben intenzionati» (parole sue). E allora perché restringerle? Perché «è chiaro che la sincera intenzione del Santo Padre è di portare a una maggiore unità nella Chiesa attraverso la celebrazione del Messale Romano di Papa Paolo VI». Altrimenti detto: la cura pastorale di questi fedeli deve spingerli ad abbandonare il rito antico, dispiegando «risorse catechetiche per illustrare loro i principi del rinnovamento liturgico del Vaticano II e la bellezza della Messa riformata». In vista dell’ormai conclamata volontà di estinzione della liturgia tradizionale, il card. Gregory concede – bontà sua – che questi fedeli partecipino a Messe riformate in latino e gregoriano (come se si trattasse di una preferenza puramente estetica), ma in ogni caso con l’altare versus populum (cosa di per sé mai imposta neanche dal Messale di San Paolo VI).
Appaiono quasi scontati i rumors su Chicago, dove il Cardinale Blase Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Secondo diffuse indiscrezioni (tra cui il ben informato Padre John Zuhlsdorf) dovranno andar via il 1° agosto. Il Cardinal Cupich non ha avuto bisogno di “spinte romane”, dato che a Natale 2021, pochi giorni dopo i Responsa, si era già mosso con un decreto per implementare Traditionis custodes nella sua diocesi (per inciso: nel 2007 vi fu altrettanta sollecitudine nell’applicare il Summorum Pontificum di Benedetto XVI?). Il decreto indicava il consueto obiettivo: «aiutare i fedeli che hanno regolarmente partecipato alle Messe nella forma precedente a comprendere i principi essenziali del rinnovamento liturgico» (anche qui concedendo un po’ di latino e gregoriano nelle Messe riformate per convincerli a mollare il rito antico). In breve: la cura pastorale si traduce in una sorta di “rieducazione” liturgica.
Com’è noto, ci si appella a (presunti) atteggiamenti antiecclesiali legati all’uso di questo rito. Ammesso (e solo parzialmente concesso) che ve ne siano, l’argomento si può ribaltare: quanti fautori della liturgia postconciliare si comportano come se la Chiesa sia stata rifatta ex novo negli anni Sessanta? In effetti, l’inammissibilità dell’antico si spiegherebbe solo nell’ottica di una cesura tra pre- e postconcilio: ma allora chi è davvero a volere questa rottura? E quanti partecipanti alle ordinarie celebrazioni riformate sono davvero consapevoli del mistero eucaristico? Quanti preti prendono a pretesto la riforma liturgica per infarcire il rito di invenzioni personali? Se si vuole buttare via il proverbiale bambino con l’acqua sporca, allora correrebbe seri rischi anche “il bambino” postconciliare…
Inoltre, se la Santa Sede in mezzo secolo afferma una cosa e il suo contrario non rischia di ridurre la propria autorevolezza? Ciò che era sacro fino al 1970 improvvisamente viene accantonato, poi nel 1984 e nel 1988 si chiede di concederlo generosamente, nel 2007 viene considerato una ricchezza e nel 2021 deve invece sparire. Di fronte a questo groviglio si staglia, limpida e cristallina l’affermazione di Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».
Infine, perché tanta ostinata determinazione nel decretare a tutti i costi la fine di una liturgia venerabile? Tanto più che le precedenti concessioni di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI non provocavano alcun danno alla riforma liturgica: la maggioranza che segue la liturgia nuova continuava indisturbata a frequentarla senza che la coesistenza della liturgia tradizionale le togliesse alcunché. Nella Chiesa “della misericordia”, che proclama accoglienza a ogni piè sospinto, a destra e a manca (soprattutto a manca), dà fastidio soltanto la “minoranza” tridentina?
Postscriptum
1. Una Chiesa aperta alle periferie e chiusa al mondo della tradizione
«Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana. L’educazione deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone. Non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita. (…)
La Chiesa è la casa dove conciliarsi nuovamente, dove riunirsi per ripartire e crescere insieme. È il luogo dove si smette di pensarsi come individui per riconoscersi fratelli guardandosi negli occhi, accogliendo le storie e la cultura dell’altro, lasciando che la mistica dell’insieme, tanto gradita allo Spirito Santo, favorisca la guarigione della memoria ferita. Questa è la via: non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti, ma mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme. Questa è la Chiesa e questo sia: il luogo dove la realtà è sempre superiore all’idea. Questa è la Chiesa e questo sia: non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente; la Chiesa è una casa accogliente per tutti! Questo è la Chiesa e questo sia: un tempio con le porte sempre aperte, come abbiamo sentito da questi due nostri fratelli, che questa parrocchia è così: un tempio con le porte sempre aperte, dove tutti noi, templi vivi dello Spirito, ci incontriamo, ci serviamo e ci riconciliamo» [Papa Francesco – Incontro con le popolazioni indigene e con i membri della Comunità Parrocchiale presso la Chiesa del Sacro Cuore a Edmonton, 25 luglio 2022].
Questo è il motivo fondamentale per cui Papa Francesco si è recato in “viaggio penitenziale” in Canada, per “supplicare” perdono per qualcosa di cui lui non ha colpa, come non avevano colpa i suoi predecessori che avevano già chiesto lo stesso perdono in Canada.
Invece, attendiamo che Papa Francesco si ricorda che è lui il primo custode della tradizione e che dimostra di voler conciliarsi nuovamente con il popolo del Summorum Pontificum e con i membri delle Comunità tradizionali, abbandonando la politica di rieducazione liturgica che ha ordinato lui e che ha fatto applicare lui (contro le disposizioni in materia dei suoi predecessori), una politica “di assimilazione e affrancamento che veicolano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si suppone cristiana”. Attendiamo nel frattempo che ci spiega perché la Chiesa è “non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente; la Chiesa è una casa accogliente per tutti”, quando si tratta di popolazioni indigene, mentre chiude la porta al popolo del Summorum Pontificum.
2. La nuova Chiesa di Karl Rahner
Ecco in cosa consiste la rivoluzione portata dal gesuita tedesco Karl Rahner: la Chiesa, non avendo una verità esclusiva da comunicare, deve convertirsi al mondo.
Da un’inchiesta, condotta nell’immediato postconcilio tra gli studenti della Pontificia Università Lateranense, emerse che il più grande teologo cattolico di tutti i tempi fosse non san Tommaso d’Aquino o sant’Agostino, bensì Karl Rahner. E, alla luce della situazione della Chiesa oggi, è vero, Karl Rahner sembra aver vinto.
Quali sono gli elementi del suo momentaneo trionfo? Il giornalista Stefano Fontana, nel suo libro La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo (Fede & Cultura 2017, 110 pagine [QUI]), ne ha fatto una sintesi: «Si è diffusa la tendenza a far precedere alla dottrina la pastorale; si pensa che non possano più darsi precetti assoluti; che il dogma sia anche frutto di interpretazione; che la prassi contribuisca a fare la verità; che il Vangelo non abbia senso se non letto a partire da una situazione concreta; che la morale tradizionale della Chiesa circa la sessualità sia superata; che non si possa mai giudicare e quindi valutare alla luce della ragione e della fede nessuna situazione oggettiva di vita; che possano essere ordinate preti anche le donne; che il centro della vita cristiana sia la misericordia senza la verità e la giustizia; che Dio in Cristo abbia già salvato tutti e che l’inferno sia un mito, come anche il peccato originale, i miracoli o la stessa Creazione; che i Cattolici possano approvare le leggi sull’aborto; che pretendere di influire sulle leggi dello Stato per motivi religiosi significhi trasformare la fede in ideologia; che la Chiesa non dica di no a niente, ma si limiti ad accogliere e ad accompagnare; che i dogmi si evolvano».
La momentanea, ma concreta vittoria del modernismo è il dato di partenza di Stefano Fontana, che però ci conforta sull’impossibilità di una sua vittoria finale: «Sembra, ma non è così, per due motivi: il primo è che l’impostazione teologica di Rahner è sbagliata e l’errore non può vincere sulla verità; la seconda è che nella Chiesa ci sono risorse di auto-aggiustamento impensabili. Nella Chiesa la verità vince, anche se gli uomini di Chiesa e le strutture della Chiesa dovessero sopportare gravi danni» [Gianandrea de Antonellis – Radici Cristiane N.129, dicembre 2017].
Traditionis custodes – Indice: QUI.
Foto di copertina: “Il numero dei pellegrini a Chartres (15.000 quest’anno) mostra la vitalità del mondo tradizionale. Come spiegare una crescita costante da quasi 10 anni, principalmente tra i giovani?” (Jean de Tauriers, Presidente di Notre-Dame de Chrétienté).