In Brasile con il ricordo di mons. Luciano Mendes de Almeida e mons. Helder Camara

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Da lunedì si svolgerà la Giornata Mondiale della Gioventù in terra brasiliana, nazione che ha avuto alcuni fondamentali testimoni della fede cristiana, tra cui spiccano mons. Helder Pessoa Camara, vescovo di Recife, protagonista del Concilio Vaticano II e propositore del documento ‘Il patto delle catacombre’; e mons. Luciano Mendes de Almeida, vescovo di Mariana e presidente della Conferenza episcopale brasiliana.

Due personalità, che ho potuto conoscere: di mons. Camara il ricordo è più sfocato, in quanto ho avuto occasione di ascoltarlo, giovanissimo, a Loreto in un incontro; invece di mons. de Almeida è più vivo in quanto ho avuto modo di ascoltarlo diverse volte e di fargli un’intervista alla Cittadella di Assisi e di fare un viaggio in Brasile insieme al Sermig ed a Ernesto Olivero, in cui ci ha accolto nella sede della Conferenza episcopale, offrendoci un piccolo rinfresco, durante il quale vedendomi un po’ ‘impacciato’ nello sbucciare un frutto me lo porse molto gentilmente pronto in un piattino.

Mons. Helder Camara è stato un protagonista del Concilio Vaticano II per una ‘Chiesa serva dei poveri’ (forse anticipatore di papa Francesco), e nella prima fase del Concilio (7 novembre 1962) scrisse nei suoi appunti, come raccontò a Loreto (conservo i miei appunti): “Il nostro Concilio non è anti-niente. Il Papa e i Vescovi lo vogliono aperto e largo, costruttivo, positivo. Chi si è messo a percorrere altre strade non ha ottenuto il benché minimo seguito”. Ed il 10 ottobre 1963 scrisse: “Per una volta, ci concediamo la libertà filiale di proporre come invitati d’onore alla chiusura della 2ª Sessione del Concilio gli Operai e i Poveri di Roma, in rappresentanza degli Operai e dei Poveri di tutto il mondo. Questa petizione non ha bisogno di giustificazioni con il Vicario di Cristo e vecchio Arcivescovo di Milano. Comprenderete come nessun altro la portata di questo gesto quale simbolo della decisione da parte della Santa Chiesa di essere sempre più povera e serva”.

Invece di mons. de Almeida quello che mi ha colpito al primo incontro era la sua attenzione alle parole dell’altro: sembrava che non stava a sentire, con gli occhi chiusi; invece quando rispondeva non perdeva nessuna delle tue affermazioni. Come vescovo di Mariana ha dato un forte impulso pastorale e fece molti investimenti nell’organizzazione di opere sociali per l’educazione e la promozione dei giovani e dei poveri, assistenza di giovani e anziani: “Mai come in questi tempi la violenza contro i bambini è diventata una realtà comune a qualsiasi nazione, cultura o realtà sociale. Il Brasile non ne è esente. Ho in mente la storia di una bambina sempre coperta di piaghe, causate dalle continue percosse ricevute dal convivente di sua mamma.

O una nonna che mi ha raccontato la triste storia di una nipote di 12 anni, violentata dal convivente della propria madre; la bimba non mangiava più, non parlava più e non andava più a scuola per vergogna e paura. Molte delle violenze sui bambini nascono in casa, dove non esiste più fedeltà coniugale e quindi responsabilità e affetto di genitore. L’amore è molto importante, dove manca è difficile che possano crescere bambini senza squilibri fisici o psicologici… C’è lo sfruttamento sessuale dei bambini, sottomessi a cose inaudite ed alla tortura fisica e filmati a scopo di lucro. E’ una violenza molto grave, perché elimina la trasparenza di cuore di un bambino, la fiducia nei rapporti umani e lo lascia in uno stato di estrema fragilità per tutta la vita. Poi viene la violenza delle istituzioni statali, quando manca una politica che permetta la salvaguardia della salute a chi è malato o portatore di handicap. Questi bambini qui in Brasile hanno nella Chiesa l’unico elemento di aiuto”.

Un grande amico, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, così lo ricorda: “Dom Luciano è un uomo che sta bene in ogni pagina del Vangelo, un cristiano mite e forte, puro e cristallino, che sa ascoltare ma che sa anche parlare, che sa essere tenue ma anche inflessibile, un cristiano buono come il pane ma con un’intelligenza da grande statista. E’ un cristiano da 24 ore su 24, un cristiano numero uno che stava tranquillamente all’ultimo posto, un cristiano che ha avuto tanto potere ma che l’ha usato esclusivamente per servizio e non ci ha guadagnato una lira… Ed era questa completezza che sorprendeva, in un uomo dall’aspetto umile, dimesso nel vestire, capace di alzarsi per primo da tavola e servire i suoi ospiti, con semplicità e naturalezza”.

E nella messa nel trigesimo della sua morte, celebrata all’Arsenale di Torino il 24 settembre 2006, mons. Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo del Brasile, lo ha così ricordato nell’omelia: “Dom Luciano è un santo, come ho detto nell’omelia del suo funerale a San Paolo. E’ santo perché ha saputo amare. L’amore era il suo forte, ciò che lo caratterizzava, proprio quell’amore di cui tratta il Papa nella sua enciclica, ‘Deus caritas est’.

Cosa vuol dire che Dio è amore? Dio è amore di donazione, che si dimentica di se stesso e si dona senza riserva, cioè senza riservare niente per sé… I santi sono santi perché hanno saputo amare, dimenticando se stessi, donando e perdendo la vita per il bene degli altri. Questo ha caratterizzato Dom Luciano, in modo straordinario. Tutti noi siamo in cammino verso la santità, ma la Chiesa prende qualcuno straordinariamente capace di amare, lo presenta come modello e lo dichiara ‘santo’. Anche noi possiamo essere santi e arrivare fino a Dio, ma qualcuno lo è in modo straordinario. Noi sappiamo che Dom Luciano potrà essere, un giorno, scelto dalla Chiesa come modello di santità, potrà essere una luce nel cammino dell’amore per gli altri”.

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