La tenerezza della Comunione con le mani giunte – Parte Sesta: In Adorazione del Corpus Domini
Santa Solennità del Corpus Domini, a tutti. Pange língua gloriósi | Córporis mystérium, | Sanguinísque pretiósi. “Sappi che il tempo impiegato davanti al Santissimo, è il tempo che più ti frutterà in questa vita, in morte e nell’eternità” (Sant’Alfonso Maria de Liguori).
A chi è capitato nella vita di trovarsi al cospetto di Dio, quando nella Sua Magnificenza sosta radioso sull’altare, osservando anime inginocchiate pronte ad adorarLo, saprà quanta Grazia, che fasci di luce, che momenti soavi promanano dall’Ostensorio, alla presenza di Maria Santissima, Suo perpetuo grembo e permanente residenza, e alla presenza degli angeli e dei santi che gli fanno corona tutt’intorno, cantando unanimi lodi infinite al miracolo di Dio fatto uomo in poca materia, un attimo prima della transustanziazione [*], vilissima. Lì c’è Dio.
Rimanendo in stato di concentrazione, cosa che lo stare in ginocchio consente più a lungo in proporzione di quanto più a lungo così si sosta, potrebbe stare ore ed ore a domandarsi come possa essere che un Dio, Creatore del cielo e della terra che permea incessantemente tutte le cose e tutte le creature col soffio del Suo Santo Spirito, lasciando ovunque nel creato attestati d’amore, possa risiedere, consistere e ridursi alle dimensioni di un’Ostia.
Un Dio così grande, contenuto nel minuscolo spazio di un’Ostia! E via via che la domanda insinuandosi dalla mente in tutte le fibre dell’anima e del corpo, si fa più insistente, pur permanendo nel mistero, diventa sempre più retorica. Eh, sì: Dio è proprio lì. Il Paradiso in terra!
Allora verrebbe quasi la voglia di piangere di stupore, pensando al motivo per cui Dio si è fatto così piccolo; perché abbia voluto rendersi permanentemente raggiungibile all’incontro con la Sua creatura. Quale pazienza e illimitato annichilimento Lo porta a desiderare di restare imprigionato giorni e notti, nell’attesa di essere sprigionano dal Tabernacolo, per imprigionarsi nello sguardo della creatura amante e dentro il Suo corpo, dove ambisce di trovare, non mani che Lo afferrano, né lingue mordaci e velenose, ma un cuore tranquillo in cui riposare dalle bestemmie del mondo? Un cuore tranquillo è il tabernacolo preferito del mio Signore e mio Dio! Vieni Signore Gesù!
Cos’altro viene da pensare, stando in adorazione del Santissimo Sacramento, Dio Vivo e Vero? Ad esempio, quale sia stata la strada che il Cristo ha dovuto percorrere per trovarsi lì. Anzi, per trovarsi qui. Nunc et semper et in saecula, seculorum. Amen. “Sarò con voi fino alla fine del mondo. Io non vi lascio!”.
Deposto dalla Croce tra le braccia di Sua Madre desolata, dopo aver ricevuto la lancia nel cuore che glielo ha trafitto, già esanime dopo le tre ore di agonia e morte sulla Croce, aveva salito il Calvario, spinto, strattonato, frustrato, sputato, offeso, calpestato, dolente. Coperto di sputi, sudore, sangue e fango dappertutto da non trovarsi sul Suo Corpo un centimetro ancora in cui farsi aprire altre piaghe. Avanzò a fatica sotto quell’orrenda corona di spine, che i soldati gli tolsero e gli rimisero sul capo per tre volte, fissandogliela ben bene nelle carni a colpi di bastonate, che le spine Gli penetrarono fin dentro gli occhi.
Che compassione mostrò la Veronica, mentre Pietro, “la Sua Pietra” , lo rinnegava e tutti lo avevano abbandonato, tranne Sua Madre a cui fu impedito di avvicinarsi al Figlio, e che restò viva solo per miracolo, mentre nel cuore viveva ogni stento del Figlio! Che compassione la Veronica, quando incurante del rischio di essere catturata dai soldati, di corsa si insinuò tra la folla crudele e festante che lì urlava, bramava e plaudeva la Sua Crocifissione, per andare, inginocchiata ai suoi piedi, ad asciugarGli il Volto Santissimo insanguinato che Gli riempiva gli occhi fino a non poter vedere dove poggiare i Piedi. Che conforto dovette provare Gesù per quel gesto audace d’amore spassionato, Egli che essendo Misericordia infinita trova consolazione in ogni misero gesto d’amore che la creatura voglia inviare all’indirizzo del Suo Cuore!
E quanto generosamente ricompensa i Suoi figli per ogni piccolo gesto d’amore che riceve, Egli che non vuole che la creatura resti defraudata di nulla, ma che tutta si arricchisca di Lui, per potersi presentare intatta e Immacolata agli occhi del Padre, sdegnato dalla mole di peccati che la famiglia umana incessantemente compie, spogliandosi della corona della gloria, deformando la sua immagine e la somiglianza con Dio, fino a ridursi al pari della bestia. Gli era costata anche la flagellazione: legato e incatenato così stretto alla colonna, versò vivo sangue dalle dita e dai polsi tumefatti. Tre coppie di soldati si dovettero alternare per lo sfinimento prodotto dalle infinite battiture (oltre cinquemila) inflitte su Quel Corpo con funi e flagelli, mentre l’Amore del Torturato non fu mai stanco. Neanche quando, slegato e caduto a terra sul Suo Stesso Sangue che baciò e sulle Carni che dal Suo Corpo si erano smembrate (le anime riprovate), guardò con tanto amore i suoi carnefici che dovettero bendarLo per non vedere la sfolgorante luce che promanava dai Suoi occhi, di fronte alla quale si vergognarono di sé stessi, ma non fino al punto di interrompere la carneficina.
Ma il dolore più grande, rispetto al quale la Crocifissione fu un sollazzo, furono le tre ore di agonia nell’Orto degli Ulivi. Egli, nel Getsemani, in una notte fredda, lugubre e sinistra, che prometteva solo lacrime e morte, lì dove né corde, né spade, né flagelli materiali lo colpirono, versò Sangue da tutta la Sua Sacratissima Persona, e tanto fu il dolore che cadde inginocchiato a terra, per lo sconforto. Così, mentre i tre apostoli sotto un albero dormivano, il Padre volle che fosse raggiunto da un Angelo, per consolarlo.
Cosa produsse tanto dolore nel Redentore in quella circostanza? Egli vide i peccati di tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutte le generazioni: passate, presenti e future. La mole dei crimini che lo morse fu così enorme da prostrarLo a terra. Peccati di ogni genere: crimini, omicidi, furti, inganni, oltraggi, suicidi, violenze, abusi, ipocrisie, soprattutto del corpo religioso, ed ogni forma di marciume spirituale e mentale umano. Egli assunse e visse su di Sé tutte le colpe, tutte le pene, tutte le agonie e tutte le morti di tutte le creature e di ciascuna creatura che nel tempo della, storia umana, sarebbe stato dato loro di esistere sulla faccia della terra. Se avessero dovuto costruire una Croce da fargli portare sulle spalle proporzionata al peso dei peccati della famiglia umana, i bracci orizzontali e verticali della Stessa non sarebbero entrati dentro i confini dell’Universo. Visse anche le pene provate nell’inferno da tutte le anime che, nel corso del tempo, lì sarebbero precipitate.
Come ricompensare Gesù di quanto ha voluto patire per evitarci la dannazione eterna, se non ricambiare affettuosamente, costantemente e delicatamente il Suo amore? Si è offerto Quale vittima di riparazione e nostra giustificazione al Padre Nostro, che Egli ama completamente e perfettamente. Il Mistero insondabile è come Gesù Cristo ami il Padre Perfettissimo e noi vilissime creature allo stesso modo. Quanto? Entrambi più di Se Stesso!
In quelle ore di agonia nell’orto provò un dolore incommensurabile, proporzionato ad un amore incomprensibile e tale, che avrebbe la forza di salvare tutte le anime di milioni e milioni di mondi. Provò nel Cuore un dolore così immenso che quello fisico fu solo la punta dell’iceberg: non fu trafitto nell’Orto da tre chiodi, ma da milioni di chiodi, quante sono le azioni malvagie di tutte le generazioni. Non dalle spine della triplice coronazione, ma da milioni e milioni di spine, una per ogni pensiero cattivo e malvagio di ogni generazione, al punto che senti la Sua Testa come nuotare dentro le spine.
Come sarebbe importante considerare ciò, prima di compiere un atto, prima di pronunciare parole, prima di considerare validi i nostri pensieri, anziché esercitarsi nella virtù che li controlli: il dominio di sé. Il dominio di sé non ferirebbe così tanto Gesù. Teniamo presente quindi nelle nostre giornate, nelle nostre scelte, nei nostri pensieri, nei nostri desideri che Gesù è la prima vittima dei nostri errori e il primo a gioire del più piccolo atto che compissimo, anche e soprattutto contro la nostra personale volontà per favorire la Sua, Divina Volontà.
«Raccogliere uno spillo, per amore, può servire a salvare un’anima» (santa Teresina di Lisieux). Quale anima? Innanzitutto la propria. Questa è la strada che Gesù ha percorso, dopo aver trascorso in prigione l’ultima notte della Sua vita; dopo che in quella notte fu gettato nelle acque putride del torrente Cedron; dopo essere stato scaraventato dalle scale mentre lo conducevano e riconducevano a spintoni, dalla casa di Caifa, a quella di Erode, da Pilato e viceversa. La porta stretta che ha attraversato per ridursi umanamente ai minimi termini, tanto da riuscire a consistere insieme alla Sua Divinità nel minuscolo spazio di un’Ostia, poi maestosamente risorgere. Ma prima di tutto ciò, nell’Ultima Cena del Giovedì Santo, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, cinto di bianca tovaglia e inginocchiato a terra davanti a ciascuno di loro, Giuda compreso, i piedi del quale lavò più con le lacrime che altro, mentre lo guardava implorandolo di non perdere l’anima sua, in un atto di umiltà mai vista, istituti’ il Sacramento dell’Eucaristia, creando Se Stesso dentro la materia vilissima di poco pane e poco vino.
Come andò ce lo rivelano i mistici. In questo caso, Luisa Piccarreta che scrive: «I Tuoi occhi sfolgorano di luce più che se fossero soli. Le tue mani creatrici si mettono in atteggiamento di creare. La divinità pare come traboccare fuori dell’umanità. Gli apostoli presi da un dolce incanto, non osano neppure fiatare. La dolce Mamma corre in spirito ai piedi dell’altare mentre gli angeli scendono dal cielo e si domandano tra loro: “Che c’è? Che c’è? Sono vere follie, veri eccessi: un Dio che crea, non il cielo o la terra, ma se stesso. E mentre sono tutti intorno a te, o Amore insaziabile, vedo che prendi il pane fra le mani, l’offri al Padre e sento la tua voce dolcissima che dice: “Padre Santo, grazie ti sian rese, ché sempre esaudisci il Figlio tuo. Padre, concorri meco. Tu un giorno mi mandasti dal cielo in terra ad incarnarmi nel seno della Mamma mia, per venire a salvare i nostri figli. Ora permettimi che m’incarni in ciascun’Ostia per continuare la loro salvezza ed essere vita di ciascuno dei miei figli. Vedi, o Padre: poche ore restano della mia vita. Chi avrà cuore di lasciare i miei figli orfani e soli? Molti sono i loro nemici, le tenebre, le passioni e le debolezze cui vanno soggetti. Chi li aiuterà? Deh! Ti supplico che rimanga in ciascun’Ostia, per essere vita di ognuno, e quindi mettere in fuga i nemici, ed essere loro luce, forza, aiuto in tutto. Altrimenti, dove andranno? Chi li aiuterà?… non posso, né voglio lasciare i miei figli”. Il Padre s’intenerisce alla voce tenera ed affettuosa del Figlio e scende dal cielo. È già sull’altare ed unito con lo Spirito Santo concorre col Figlio. E Gesù, con voce sonora e commovente, pronunzia le parole della consacrazione, e senza lasciare se stesso in quel pane e in quel vino. Poi ti comunichi agli apostoli e vedo che il primo poggio che fai è sulla loro lingua».
Neanche gli apostoli toccarono il Corpus Domini. Chi durante la vita terrena ha mai toccato Gesù Cristo se non la Madre Sua Immacolata e il Suo padre putativo San Giuseppe? Tu che afferri l’Ostia con le mani, chi sei? Pretendi forse che al tuo segnale Dio venga a te, oppure ti ricordi che Dio è Colui che si dona per primo e spontaneamente? Non c’è bisogno di afferrarlo, né di forzarlo! C’è bisogno di essere in Grazia. Ecco, questo sì! Quindi entra nella stanza del tuo cuore e chiedi che ti perdoni, che venga a riposare in te, a colmarti dell’amore da cui è incendiato!
In chiesa non troverai scritto, quello che si vede entrando nei negozi che vendono i preziosi gioielli e cristalli. Ma se ti inginocchi al Suo cospetto, se vai ad adorarLo davanti al Tabernacolo, se entri nella stanza del tuo cuore e chiudi la porta alle sirene del mondo, lì sì che lo troverai scritto: “NON TOCCARE IL CORPO DI DIO”. Prova a vedere! Ci risentiamo.
Sia lodato, adorato e ringraziato in ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento!
Tantum ergo Sacraméntum, venerémur cérnui. | Gloria Patri et Filio et Spiritui Santo. Amen
Veronica Cireneo
[*] La transustanziazione è il termine che indica la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e della sostanza del vino nella sostanza del sangue di Cristo, che avviene, durante la Celebrazione Eucaristica, al momento della consacrazione. È un dogma di Fede: «Dogma datur christianis, quod in carnem transit panis, et vinum in sanguinem [Un dogma è dato ai cristiani: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue]» (San Tommaso d’Aquino, inno Lauda Sion Salvatorem). Il momento preciso in cui avviene la transustanziazione: secondo le Chiese orientali essa avviene quando il sacerdpte, durante la preghiera eucaristica, invoca Dio Padre affinché mandi lo Spirito Santo che trasformi il pane ed il vino in corpo e sangue di Cristo; secondo la Chiesa cattolica essa viene operata nel momento in cui vengono ripetute (in persona Christi) le parole di Gesù durante l’Ultima cena (la teologia scolastica identifica il momento preciso della transustanziazione nell’istante in cui è pronunciata la parola est nella frase Hoc est enim corpus meum).
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la consacrazione si opera «la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue. Questa conversione si attua nella preghiera eucaristica, mediante l’efficacia della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo. Tuttavia, le caratteristiche sensibili del pane e del vino, cioè le “specie eucaristiche”, rimangono inalterate» (283).
Nei documenti pontifici la transustanziazione compare la prima volta con il Concilio Lateranense IV del 1215 che parla del pane e del vino come “transustanziati” nel corpo e nel sangue di Cristo: «Il suo corpo e il suo sangue sono veramente contenuti nel sacramento dell’altare sotto le forme del pane e del vino, il pane e il vino essendo stati transustanziati, per la potenza di Dio, nel suo corpo e nel suo sangue». in seguito, con il Concilio di Trento (1545-1563) riceve la sua formulazione definitiva con la definizione dogmatica della XIII sessione dell’11 ottobre 1551, che al capitolo IV dichiara: «con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione». Il dogma ricevette la sua più coerente formulazione in seno alla filosofia scolastica, che interpretava efficacemente la transustanziazione attraverso la ripresa della teoria dell’ilemorfismo aristotelico (ovvero l’unione inscindibile di forma sostanziale e di materia prima), facendo sì che ogni cosa riceva la sua propria determinazione grazie al principio formale (che crea, che fa sì che ciascuna cosa sia quello che è) concreto contenuto in ciascuna sostanza. Nel contesto della Controriforma, il Concilio di Trento puntò tutta la sua energia nel rilancio dell’Eucaristia come vera presenza reale di Cristo ed anche le chiese vennero concepite in modo che fosse chiaro che il centro della vita liturgica e religiosa dei fedeli fosse il Tabernacolo.
Articoli precedenti
– La tenerezza della Comunione con le mani giunte – Parte Prima: “Com’era, come sta diventando e la Comunione Spirituale” – 24 settembre 2021
– La tenerezza della Comunione con le mani giunte – Parte Seconda: “È volontà di Dio” – 2 febbraio 2022
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– La tenerezza della Comunione con le mani giunte – Parte Quinta: Gesti della Messa Antica che sono segno di unità – 16 aprile 2022