Caritas italiana: è allarme povertà

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Ripartire dai poveri. E’ questo il titolo del Rapporto 2008 su povertà ed esclusione sociale in Italia redatto da Caritas e Fondazione Zancan. Ripartire dai poveri, evitando di reputarli marginali e mettendo la lotta alla povertà al centro di azioni di sistema, sia nazionali che territoriali, nell’ottica di un federalismo solidale, dove Regioni, Province e Comuni reputino la spesa verso i più deboli un investimento.

“É risaputo che la povertà in Italia è sempre stata aggirata e mai affrontata direttamente. Questo, non certamente per mancanza di risorse economiche, dal momento che l’Italia è classificata tra le dieci nazioni più ricche del mondo”, scrivono nell’introduzione al Rapporto il direttore di Caritas Vittorio Nozza e il presidente della Fondazione Giuseppe Pasini. “Probabilmente la causa determinante è da attribuire all’assenza di una volontà politica efficace nel ridistribuire le risorse disponibili. C’è anche un’inerzia, tipicamente italiana, nell’affrontare i problemi che si presentano difficili e complicati”.

E ancora: “Se il governo nazionale non affronta il problema della povertà in maniera adeguata, un piano di contrasto efficace può essere attuato da Regioni e Comuni, magari con la collaborazione della società civile”. Il volume, di 268 pagine, descrive la situazione di oltre 7 milioni e mezzo di poveri in Italia, con una serie di proposte per risolvere una situazione definita “strutturale, radicata nell’incapacità di dare risposta al problema”.

“Lotta alla povertà, promozione del mezzogiorno, garanzia dei livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni sociali in tutta Italia, tutela della non autosufficienza, integrazione degli immigrati, accesso all’abitazione – ha sottolineato mons. Nozza -, sono le priorità che devono impegnare parlamento e governo per ridurre la vulnerabilità nel Paese”. “Più di altri Paesi europei – ha osservato – l’Italia presenta grandi differenze fra chi vive in un discreto benessere, chi tutti i giorni lotta per non oltrepassare la soglia della povertà e chi dentro la povertà ci sta da tempo e non intravede nulla di nuovo nel futuro”. “Il desiderio e l’ambizione di passare da una condizione all’altra – ha sottolineato -, è più difficile da realizzare da noi che altrove”.

Mons. Nozza inoltre ha ricordato che Paesi come l’Inghilterra, ad esempio, destinano alla lotta all’esclusione sociale l’1,7% del Pil, contro lo 0,1% italiano. Mentre in Europa la media è dello 0,9%. La questione povertà, ha ammonito, “non è né di destra né di sinistra” e “non può essere affrontata con colpi di genio e ad effetto ma solo con un piano nazionale strutturato e permanente”: “Un piano che l’Italia non ha e non ha mai avuto. Insieme alla Grecia e all’Ungheria siamo in Europa l’unico Paese non dotato di misure basilari di intervento. Assistiamo in questi giorni, ha osservato mons. Nozza, a montagne di soldi pubblici che, con il giusto accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Perché non fare altrettanto per soccorrere chi lotta quotidianamente per sopravvivere all’indigenza e alla precarietà? Perché non tentare una seria alleanza tra politica, società, terzo settore e associazioni di volontariato?” Tra le proposte contenute nel Rapporto: l’adozione di una misura universale di sostegno al reddito; nel mezzogiorno investire in servizi pubblici essenziali; tutelare anziani e portatori di handicap, che costituiscono una “emergenza” per molte famiglie italiane; nella crisi degli alloggi intervenire con sostegni agli affitti, garanzie ai proprietari e edilizia pubblica.

Mons. Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan, ha denunciato le “profonde disuguaglianze” in Italia, dove “il quinto delle famiglie con i redditi più bassi percepisce solo il 7,0% del reddito totale” mentre “il quinto delle famiglie con il reddito più alto, percepisce il 40,8% del reddito totale”. Mons. Pasini ha invitato a “ristabilire un equilibrio organico, che consenta a tutti di fruire di sufficienti risorse e di offrire il proprio contributo”. “Non si tratta di un’operazione indolore – ha osservato -. Essa comporta rinunce a privilegi ingiustificati da parte di tutti, dei cittadini garantiti e anche da quelli in disagio ma meno sfortunati di altri; la creazione di nuove scale di priorità nella spesa pubblica da parte dello Stato e degli enti locali, rinunciando a scelte forse utili ma non essenziali, per destinare le risorse a chi è privo del necessario; l’assunzione di nuovi stili di vita improntati alla sobrietà ed escludenti sprechi ed esibizioni sfacciate di lusso”.

Accanto all’analisi e alle proposte, non mancano i dati numerici che danno le dimensioni del fenomeno povertà oggi: nel 2006 vivevano sotto la soglia di povertà 7.537.000 cittadini italiani (il 12,9%, dato di poco inferiore al 13,2% del 2005), con punte di 25% al sud e un aumento di povertà in certe categorie sociali, come le persone con tre o più figli (dal 27,8 al 30,2%) e i maggiori di 65 anni (dall’11,7 al 12,6%), che al nord sono cresciuti del 40% in un anno. A livello europeo, per l’Italia arriva una triste conferma. Per il decimo anno l’Italia è tra i più alti come percentuale di popolazione a rischio povertà: è al 20%, preceduta solo dalla Grecia (21%) e ben al di sopra della media dell’Europa dei 25, che si ferma al 16%.

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