La tragedia dell’Aquila e le commoventi frasi che regalano speranza. πάθει μάθος

Condividi su...

Fatalità. Quel bolide impazzito che l’ha ucciso, mentre altri sono stati feriti. E tutti gli altri scolaretti hanno visto e vissuto, questo orrore, come oggi, proprio oggi, capita ai bambini dell’Ucraina (e in altre 39 guerre sparse sul pianeta). I genitori di Tommi e la forza del perdono. Il papà del bimbo travolto da un’auto all’asilo: «Non portiamo rancore, è una tragedia per tutti». La mamma: «Dolore sovrumano». Una bontà che spunta gratuita, da persone che avrebbero tutto il diritto di maledire le stelle maligne. L’umanità non è perduta, questa maledetta razza umana porta con sé una segreta capacità di amore. Imparando dal dolore…

«Non portiamo rancore. Né a quella donna, né al bambino che era nella macchina. Ci rendiamo conto che è una tragedia per tutti», queste sono le parole, le sole parole, fatte trapelare dal papà di Tommaso, a nome anche della mamma, Alessia.

Ammetto la commozione. C’è qualcosa di stupefacente, umano o forse divino, in questa nostra razza così brava a farsi la guerra: ed è il fiore della bontà, che spunta gratuita, persino insensata, da persone che avrebbero tutto il diritto di maledire le stelle maligne e sbattere la porta in faccia a chi si è fatto strumento involontario di un destino che ha loro ucciso il figlio. Questa capacità di sentirsi fratelli nel dolore, di aver cura non di farsi consolare, ma di accarezzare un’altra madre e un altro padre e il loro figliolo undicenne, così che un vento di pace soffi via il senso di colpa, ha una potenza fantastica. Ci dice per che cosa siamo fatti, fa sgorgare sorgenti da sotto le pietre, e diffonde la sola cosa che dà senso a questo nostro correre trafelati sotto un cielo così cupo. Sono fiotti di aria pura, che ossigenano la foresta secca degli uomini “impagliati”, e si chiama perdono, la cui etimologia non viene da “perdere qualcosa” ma c’entra con “dono”. Questi genitori hanno perso un figlio. Sono stati travolti nel loro intimo da qualcosa di peggio del fracassarsi delle ossa del loro piccino.

La storia è nota. Un’auto è scivolata giù da una piazzola, una signora la parcheggiava sempre fi, con le solite avvertenze, tenere la marcia innestata, innestare il freno a mano (o almeno così credeva). Dopo di che andava a riprendersi le due gemelline compagne di Tommaso. Il figlio rimaneva in auto. Un rito come ciascuno di noi ne ha, ripetitivi, banali, innocui. La piazzola non era in pendenza, se non lievissima, inavvertita. La breve precipitosa discesa era qualche metro più in là, la bastarda. La Passat di colore scuro, pesante come un macigno rotolante, si è abbattuta, fregandosene di marce innestate e di freno a mano, sui bambini della scuola materna. Tommaso giocava con i suoi compagnucci nel cortile, attendendo come gli altri l’arrivo della mamma o del papà, non aveva nessun appuntamento con quel bolide impazzito che l’ha ucciso, mentre altri sono stati feriti, e tutti gli altri scolaretti hanno visto e vissuto, questo orrore, come oggi, proprio oggi, capita ai bambini dell’Ucraina (e in altre 39 guerre sparse sul pianeta).

Ci siamo immedesimati in tanti con Tommaso e i suoi cari. Ho un nipotino della stessa età, che in quegli stessi minuti stava anche lui aspettando ansioso di uscirsene schizzando per farsi prendere dispettosamente per mano dalla nonna. Tommaso era mio nipote. Uguale uguale. Non siamo estranei a questo mondo. Per questo lo sappiamo bene che quel che mercoledì pomeriggio è accaduto all’Aquila è tanto più tremendo, infame, crudele proprio perché non è stato generato dall’odio, forse neppure da una blanda negligenza, ma da quell’insieme di cose inesplicabili per cui l’universo ci appare senza senso, e un orribile presa in giro la fatica di partorire delle madri, e stridiamo come uccelli feriti dinanzi all’incomprensibile. Incomprensibile però fino a un certo punto: perché la cattiveria del destino urla attraverso «il dolore sovrumano» di Alessia, Ha usato questa formula degna di Sofocle, che insegnava «impara dal dolore», πάθει μάθος. Che cosa? Che è troppo. E che la vita è sovrumanamente cattiva? E lei la Mater dolorosa, come quelle che portavano in braccio la loro creatura verso la camera a gas di Auschwitz o Treblinka, desiderando di morire mille volte, ma il mio bambino no, è un batuffolo, chi può volergli male? Alessia è questa immagine eterna della Madonna il cui cuore è trafitto da sette spade, nelle cappellette che disseminano le nostre campagne.

Ha dato lei questa definizione («dolore sovrumano») di quanto accadeva in lei dal momento in cui i medici del pronto soccorso infantile l’hanno convocata con il compagno e papà che avrebbe dovuto sposare il 3 luglio in chiesa, ma adesso ha bisogno di “silenzio”, di ascoltare cosa le dice il silenzio. Deve aver detto loro qualcosa, e cioè che la sola risposta a un dolore sovrumano è qualcosa di ancora più sovrumano: un piccolissimo immenso gesto, il tendere la mano, scusare, perdonare, voler bene a chi pure vive le pene dell’inferno. La Signora Zhorova ha risposto: «Sono parole bellissime. Ci aiutano in questi momenti terribili in cui siamo tutti distrutti. Un po’ ci sollevano. Ringrazio tanto il papà e la mamma di Tommaso. Il nostro pensiero è sempre a loro. La loro tragedia è anche la nostra».

Confesso. Ieri mi si è allargato il respiro. L’umanità non è perduta, questa maledetta razza umana porta con sé una segreta capacità di amore.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

Foto di copertina: Tommaso, morto a soli 4 anni.

151.11.48.50