Ai confini dell’universo, una luce accecante ci avvicina alla creazione. Il desiderio della pace

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Un gruppo di scienziati, soprattutto astrofisici giapponesi, ritengono di aver individuato la galassia più lontana e antica di tutte, che è stata battezzata “HD1”. Il cielo trapuntato di stelle, lo stupore dinanzi alla scoperta di quella galassia antica e lucentissimamente ultravioletta, dicono un’altra parola a cui aspiriamo: pace.

Una notizia ci invita a guardare in alto. Su la testa, spalanchiamo gli occhi. E stavolta non per scrutare nel cielo dell’Ucraina la luce di un missile (i missili di notte sono davvero comete luminose e mentitrici) ma per immaginare sopra di noi, tra le galassie, quella più lontana di tutte, forse la più potente, quella che ha creato la mareggiata cosmica nella quale fluttuano le nostre vite e vibra il firmamento. La madre di tutte le galassie o almeno la sorella maggiore, ma proprio tanto maggiore.

Com’è grande l’universo, e quanto poco ne sappiamo. Sarebbe proprio un peccato che l’umanità fosse inghiottita dal niente causa guerra nucleare, mentre si dischiudono porte prima sigillate. Che sia un segno dall’Alto? Dio o la Natura hanno sempre usato il Cielo per dare avvertimenti, profezie. Ricordate i Magi? E i Maya? Se nell’800 gli esploratori cercavano le sorgenti del Nilo, oggi gente non meno audace cerca le sorgenti dell’immensità, qualcosa che sia il più vicino possibile all’inizio del tempo e dello spazio (senza la materia e l’energia non esisterebbero né l’uno né l’altro). Gli astrofisici, che è il nome tecnico dei cacciatori di stelle, hanno annunciato all’inizio di aprile con un certo tremore, e la speranza che non sia una chimera, l’avvistamento di una strana luce ai confini estremi dell’universo.

Ipotesi

Sull’ultimo numero di The Astrophisycal Journal, un team di ricercatori, il cui nerbo è costituito da scienziati giapponesi, fornisce una serie di elementi che “potrebbero” spostare più in là le frontiere del sapere. Il condizionale è prova di onestà di questi eroi della conoscenza, e dice due verità: la scoperta è troppo grossa per tacerla, ma proprio per questo è bisognosa di verifiche rigorose.

La scienza procede così. Lo stupore dinanzi alla bellezza sconfinata – trovata forse per caso, ma di sicuro con la pazienza – lascia il posto all’ansia. Immaginiamo gli astronomi pionieri di un viaggio la cui meta neanche l’Enterprise di Star Trek ha mai osato segnare sulla sua mappa astrale: adesso se ne stanno fi come quel calciatore che aspetta il responso del Var. In questo caso il loro gol meraviglioso e impossibile deve superare l’esame della matematica, deve sconfiggere ipotesi alternative e minimaliste. «Ma va’, esagerano, è una galassia qualsiasi, il troppo entusiasmo li ha illusi», è la reazione più comune nel milieu degli studiosi del ramo. Tutto molto normale: valgono, anche per il mondo di quella scienza che vagabonda nei cieli, i sentimenti molto terra terra della rivalità e dell’invidia. Meglio così. «Per il momento resto piuttosto circospetto», avverte François Hammer, astronomo dell’Osservatorio di Parigi. «Sarebbe emozionante se avessero ragione, ma i dati che presentano sono ancora molto fragili».

Fragili gli elementi? Fischieranno il fuorigioco ai giovani fuoriclasse gli azzimati Maestri? Li capiamo. Erano i concorrenti nella corsa al Graal, e sono stati scavalcati dagli outsider. Ho scritto Graal. La scoperta (ipotetica, la circospezione ci impone di mettere le mani avanti) ha infatti un richiamo mitologico. È qualcosa di molto più importante dell’individuazione di un altro satellite di Nettuno, o di un corteo di comete mai viste né previste.

Come è andata? In un determinato istante è apparso un barbaglio sfolgorante (o in un abbaglio?) che “rivelerebbe” l’oggetto più lontano e più antico mai osservato dagli uomini. Non solo. La potenza delle radiazioni ultraviolette è stata a tal punto eccezionale da far ritenere quella galassia una entità astrale primigenia, nata in estrema prossimità al momento e al luogo della creazione, o – più prosaicamente – dell’esistenza delle cose. La luce infatti è velocissima dal nostro punto di vista di bipedi, ma è lentissima rispetto alle pretese dei nostri desideri: abbiamo sempre fretta. Ma questa lentezza ha un merito: consente di vedere le cose esattamente com’erano quando quel barbaglio partì dalla sua sorgente.

In termini tecnici “HD1”, così è stata battezzata questa galassia candidata al primato, potrebbe spingere indietro di 100 milioni di anni il precedente record detenuto dalla galassia GN-z11, scoperta nel 2016 dal telescopio spaziale Hubble. La luce di HD1 ha infatti impiegato 13,5 miliardi di anni per raggiungerci. Ci consente di vedere (ho dimenticato di usare il condizionale, per un paio di volte) il firmamento così come era poco più di 300 milioni di anni dopo il big bang, nei primi giorni dell’universo.

Il responso

I ricercatori – racconta Le Figaro – si sono così immersi nei dati di quattro telescopi infrarossi che possono vedere “più lontano” di Hubble: Subaru (Giappone), Vista (Cile), Ukirt (Hawaii) e Spitzer (in orbita). È così che hanno scoperto l’HD1. Hanno poi utilizzato il potente radiotelescopio Alma per cercare di osservare la luce molto speciale emessa dagli atomi di ossigeno a quella distanza. E hanno trovato un debole segnale di qualcosa di potentissimo, luminosissimo, Aspettiamo il responso finale che è stato promesso entro il 2023.

Domanda: quest’attesa è un lusso per anime belle, nel senso di vaganti tra le nuvole? Guardare a questi fenomeni che ci regala la scienza è roba futile, una distrazione rispetto agli eventi di guerra che ci minacciano? Forse no. Forse bisognerebbe prestare il radiotelescopio Alma ai potenti cosi che per un attimo dimentichino la valigetta con i codici per spedire missili N (a testata nucleare) ma anche a tutti i tifosi della guerra purificatrice. Guardare su, girare gli occhi al Cielo ci rammenta chi sia questa bestia capaci delle peggio atrocità che è l’uomo: come sostenne Pascal siamo esseri finiti che sanno pensare l’infinito, e le stelle ci costringono a ricordarci che siamo fatti per qualcosa di meglio della guerra. La bellezza del cielo trapuntato di stelle, lo stupore dinanzi a quella galassia antica e lucentissimamente ultravioletta, dicono un’altra parola a cui aspiriamo: pace.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

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