Srebrenica, diciotto anni dopo

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La Bosnia Erzegovina ha commemorato le vittime del genocidio consumato a Srebrenica nel luglio del 1995 ad opera delle truppe serbo bosniache guidate dal generale Ratko Mladic. L’11 luglio, una giornata di pioggia e silenzio, si è ricordato, presso il Memoriale di Potočari, a qualche chilometro da Srebrenica, il più atroce crimine commesso in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.La cittadina della Bosnia orientale oggi conta circa 9000 abitanti e un grande senso di depressione quando la si attraversa. Srebrenica è la città martire della Bosnia. Qui sono morte trucidate dalle otto alle diecimila persone se non di più, in gran parte uomini e ragazzi. Nell’enclave musulmana a pochi chilometri dalla Serbia fu genocidio, come proclamato nel 2004 con una sentenza del Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Prima della sanguinosa mattanza Srebrenica era la città dell’argento, sede termale e piccolo centro industriale, contava 36.000 abitanti per la maggior parte musulmani. Diciotto anni fa qui fu l’inferno, con l’Europa complice e spettatrice.

Giovedì scorso, come ogni 11 luglio da 18 anni, a Potočari, (sede dei caschi blu olandesi che avrebbero dovuto proteggere la città dichiarata “zona protetta” e invece la lasciarono senza difesa in mano alle forze occupanti serbo nazionaliste), sono stati seppelliti altri resti, identificati durante l’anno, di 409 vittime scomparse in quel famigerato luglio 1995. Ossa esumate dalle fosse comuni e identificate grazie al test del dna. Un funerale collettivo, l’ennesimo, per dare ai morti degna sepoltura, e ai familiari la possibilità di recarsi sulle tombe dei propri cari a pregare.

“L’opera di identificazione delle vittime è fondamentale per la famiglia”, ha dichiarato a tal proposito Irfanka Pasagic nel corso di un incontro presso la sede dell’associazione Tuzlanska Amica tenuto nel maggio scorso con un guppo di italiani. Irfanka è psichiatra e guida la ong nata nel 1992 per dare aiuto psicologico alle donne che provenivano dai campi di concentramento. Col tempo la sua attività è andata incontro anche ai bisogni dei bambini e oggi si occupa, tra le altre cose, anche di adozioni a distanza, grazie anche ai contatti con associazioni ed enti italiani. “E’ molto importante che si proceda all’identificazione delle persone scomparse. Così come un aspetto negativo è che ci siano numerose fosse comuni ancora non aperte. Questo è letale per una famiglia. Purtroppo ancora oggi ci sono più di 14 mila persone scomparse. Ogni anno a Srebrenica vengono seppellite persone identificate e ogni volta è come se la famiglia vedesse il proprio caro per la prima volta”.

Quando sarà finita l’opera di riconoscimento delle vittime ci saranno più persone morte e sepolte al memoriale di Potocari che vive a Srebrenica. Le 409 bare andranno ad aggiungersi alle più di 5.600 già sepolte. Tanti ancora i corpi non rinvenuti. L’opera di identificazione è resa ancora più difficile dal fatto che le fosse comuni sono state, dagli stessi carnefici, più volte distrutte e i resti dispersi a molti chilometri di distanza.

Un massacro compiuto sulla testa di civili innocenti e pianificato a tavolino. Una ferita ancora aperta perchè quelle morti gridano giustizia. Una giustizia incerta, che latita. Troppi ancora i criminali di guerra che girano impuniti, i carnefici che incrociano, in un giorno qualsiasi, i familiari delle vittime, mogli e madri di uomini e ragazzi separati dal resto della famiglia e portati via a forza, per essere prima brutalmente uccisi e poi gettati nelle fosse comuni.

Per le madri e le donne di Srebrenica pare non esserci pace. E di qualche settimana fa la sentenza (resa pubblica il 27 giugno) della Corte Europea dei Diritti Umani che ha respinto il ricorso dell’associazione “Madri di Srebrenica”. Il sodalizio, formato dai sopravvissuti e dai familiari delle vittime, chiedeva di processare il governo olandese in carica nel luglio del 1995, le Nazioni Unite e i caschi blu olandesi di stanza in quel territorio che avrebbero dovuto difendere i civili dall’esercito ben attrezzato di Mladic e dai paramilitari serbi che compirono i crimini peggiori contro la popolazione. Vennero invece abbandonati a loro stessi e consegnati nelle mani dei loro carnefici. Un appello rimasto inascoltato e respinto a causa dell’immunità dei funzionari internazionali presenti a Srebrenica nel luglio del ’95.

“Per i familiari delle vittime – continua la direttrice di Tuzlanska Amica – è molto importante processare i criminali di guerra, ma non è la cosa più importante. Lo è, ancora di più, che i responsabili dicano che hanno fatto quello che hanno fatto. Dunque, confessare è la cosa più importante”. La psichiatra sostiene anche che “ogni vittima ha un criminale di guerra. Le donne del campo di concentramento vicino a Brcko, per esempio, sono state molto più felici quando sono stati arrestati i capi che le hanno maltrattate che non quando sono stati catturati Mladic e Karadzic, le menti che hanno organizzato il tutto. Conosco molto donne che sarebbero guarite dai loro traumi se solo i criminali locali avessero ammesso le proprie responsabilità e avessero chiesto scusa”.

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