Riflessioni sparse nell’era dei bambini onnipotenti al potere. Per capire (spiegare non è giustificare) cosa sta succedendo realmente in Ucraina – Parte 22
Segue da Parte 21: QUI.
Proseguiamo con la nostra “antologia messo insieme con pazienza” (come è stata definita dall’amico e collega Marco Tosatti), dedicata al conflitto russo-ucraino, con riflessioni sulla guerra in Ucraina. Qui non si fa cronaca di una terribile guerra, di cui siamo già sommersi (non stiamo a ripetere di cui i mainstream media sono già stracolmi), con bassa possibilità di verificare le notizie con cui veniamo bombardati, senza fare un fact checking vero e realmente indipendente. E occuparsi della crisi ucraina significa non solo vedere le atrocità che la guerra porta con sé, ogni guerra, ma anche dedicarsi all’archeologia storica. E facendo ciò si comprende che la questione è un po’ più complicato della scelta pro o contro Putin (anche se “chi studia le complessità e prova a fare analisi è solo un complice di Putin”, un “Putinversteher” da odiare in questi tempi di odio, ma questo non ci fa cambiare idea: non è la pecora nera che è diversa, ma sono le pecore bianche che sono tutte uguali tra loro).
La Russia è l’aggressore, l’Ucraina l’aggredito. E questa guerra è iniziata nel 2014, non nel 2022. Sono un pacifico. Non sono un attivista. Faccio il comunicatore per professione, da una vita. Quindi, comunico. Cerco di mantenere la lucidità e di non farmi influenzare dall’isteria guerrafondaia. Non voglio la guerra, ma non voglio neanche una guerra di propaganda basata su falsità, menzogne e fake news. Perché questo ci porta dritto alla Terza Guerra Mondiale Atomica. Il nuovo maccartismo russofobo è ormai al delirio: il grande inviato di guerra Capuozzo viene messo in croce pubblicamente e l’ispettore ONU Scott Ritter viene bannato da Twitter. La loro colpa? Aver provato a dire la verità sulla guerra.
«Nel 1914 tutti i popoli combattenti si trovarono in uno stato di sovreccitazione: la diceria più stolta si trasformava subito in realtà, la più assurda calunnia veniva creduta. A dozzine c’erano persone in Germania pronte a giurare di aver visto coi loro occhi le automobili cariche d’oro recarsi dalla Francia in Russia; le fiabe degli occhi cavati e delle mani mozzate, che affiorano in ogni guerra sin dal secondo o dal terzo giorno, riempivano i giornali. Non sapevano quegli ingenui che la tecnica di attribuire al soldato nemico ogni possibile crudeltà fa parte del materiale di guerra quanto i proiettili e gli aeroplani, e che essa viene cavata dai magazzini regolarmente al principio di ogni conflitto. La guerra non può essere messa d’accordo con la ragione e con il senso di giustizia; essa esige entusiasmo cieco per la propria causa e odio contro l’avversario» (Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, 1941).
«Shakespeare venne bandito dai teatri tedeschi, Mozart e Wagner da quelli francesi ed inglesi. Bisognava anche dal fronte interno insozzare e vilipendere i grandi morti dell’avversario, che da secoli riposavano nelle loro tombe. Il perturbamento degli intelletti divenne sempre più assurdo. Non vi fu né una città né un gruppo che riuscisse a sottrarsi a quell’isterismo dell’odio. L’ancora intatta credulità dei popoli nella unilaterale giustizia della propria causa costituì il più grande pericolo. A poco a poco in quelle prime settimane del 1914 diventò impossibile scambiare una parola ragionevole con qualcuno. Anche i più pacifici e bonari erano presi dall’ebbrezza del sangue. Amici coi quali non avevo avuto mai dissensi, mi accusavano apertamente di non essere più austriaco» (Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, 1941).
«Va bene, faccio delle domande e nessuno risponde. Stiamo alle immagini, allora. Pubblico le fotografie di una vittima di Bucha – la stessa persona, è nel post precedente – e niente, è stata spostata a nostra insaputa, a beneficio di cosa? Dagospia poco fa scrive un articolo serio e leale sui miei dubbi e lo correda con fotografie della strage di Bucha. Ma solo io mi accorgo che in almeno due fotografie le vittime hanno il bracciale bianco dei filorussi? Cos’è stato, il suicidio di una setta? Attendo risposte dai maestri che distribuiscono sdegno, pur di farci accettare tutto, economia di guerra e guerra stessa» (Toni Capuozzo – L’AntiDiplomatico, 7 aprile 2022).
“Donne e bambini torturati a Irpin”. Il capolavoro di Open: 2 fake diffuse in 1 articolo solo!
di Agata Iacono [*]
L’AntiDiplomatico, 7 aprile 2022
Eletto dal sistema distopico che gestisce il flusso di informazione ai cittadini italiani al ruolo di “censore di verità”, Open ci regala un’autentica gemma.
Con un articolo dal titolo “Le storie di donne e bambini torturati e uccisi a Irpin: «Una ragazzina marchiata con la Z, un’altra stuprata per giorni», Alessandro D’Amato riesce nell’impresa di raggruppare le principali fake news che il regime di Kiev e i battaglioni nazisti stanno mettendo in circolazione ad uso di quei media che tifano per la terza guerra mondiale ormai apertamente.
Con l’ottimo lavoro di “fact-checking” del Comitato per il Donbass Antinazista su Facebook viene subito segnalata la “svista” di utilizzare la donna torturata dai nazisti di Azov a Mariupol (foto scattata da Maurizio Vezzosi) come incredibilmente una civile uccisa dai russi.
L'”aggiornamento” di D’Amato è talmente surreale che va riportato per intero: «Edit: Questo articolo riportava inizialmente il seguente contenuto: “La parlamentare Lesia Vasylenko ha pubblicato la foto di una donna marchiata con la svastica: l’immagine ritraeva la pancia di un cadavere femminile sfregiato”. Seppur Lesia Vasylenko non indicasse nel suo tweet il luogo di provenienza dello scatto, la foto non è legata alle altre vicende narrate in questo articolo. Lo scatto, in realtà, riguarda una persona trovata morta a Mariupol. Per questo motivo abbiamo rimosso il tweet e corretto l’articolo».
Questo il livello di dignità del “censore di internet”.
Ma, sempre grazie al lavoro di fact checking del Comitato per il Donbass Antinazista”, emerge la seconda incredibile bufala spacciata da Open che resta ancora al momento online: “Una bambina con la Z incisa sul petto”. Pensate la fonte di Open è Alina Dubovska che citava, a sua volta, come “fonte” letteralmente “suo cugino”. Il post è stato rimosso da lei stessa perché non aveva alcuna prova da mostrare, dimostrando più dignità pensate un po’ del giornale di Mentana.
Questo il livello di dignità del “censore di internet”.
DUE FAKE IN UN SOLO ARTICOLO DI “OPEN”
Mentana, a questo punto ti conviene cancellare l’articolo! Dopo la vostra prima rettifica, a seguito della nostra segnalazione, in cui facevamo notare che conteneva un fake (rilanciato dalle autorità di Kiev in cui si spacciava la foto della prigioniera del Battaglione Azov con una sv4stica inc1sa sull’addome, come una civile ucc1sa dai russi) ci siamo resi conto che quello stesso articolo conteneva anche la bufala della b4mbina con la “Z” inc1sa sul petto: il post della giornalista Alina Dubovska usava come fonte letteralmente “suo cugino”, ed è stato rimosso da lei stessa perché non aveva alcuna prova da mostrare.
Oggi i giornalisti di Open hanno appreso (ci auguriamo) che sulla propaganda di Kiev va fatto del fact-checking. Funziona così il giornalismo, no? Tutte le fonti nei commenti [QUI].
[*] Sociologa, antropologa, giornalista certificata Wrep Blockchain.
È ovvio chi guadagna dal massacro di Bucha, ma non è rimasto quasi nessun media per dirlo
di Finian Cunningham – Strategic Culture
L’AntiDiplomatico, 7 aprile 2022
L’apparente omicidio di massa di civili a Bucha e in altre località dell’Ucraina ha fatto infuriare l’opinione pubblica occidentale contro la Russia.
La Russia sta affrontando crescenti accuse di genocidio e il suo presidente Vladimir Putin e altri alti funzionari russi sono condannati come criminali di guerra a essere perseguiti in tribunali internazionali simili ai processi di Norimberga contro i leader nazisti.
I media occidentali suonano come sirene da nebbia mentre i media russi e altri organi di informazione indipendenti sono banditi o soffocati dal clima politico tossico contro la Russia. In questa situazione grossolanamente squilibrata, la propaganda viene fortemente amplificata. C’è la sensazione che la chiusura totale dei media prima degli ultimi presunti massacri in Ucraina faccia tutto parte della macchinazione.
Quando il regime di Kiev e i media occidentali avvertono di ulteriori massacri in Ucraina, questa è una previsione sinistra.
Ora ci sono richieste senza precedenti affinché alla Russia venga negato il suo seggio come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un seggio che ha occupato oltre ad avere poteri di veto dalla fine della seconda guerra mondiale (prima del 1991 come Unione Sovietica). Il potere di veto della Russia, insieme a quello della Cina, è stato una costante rovina per gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali che si sono lamentati dell’ostruzionismo di Mosca nei confronti delle loro guerre e di altri intrighi.
Le sanzioni sono inflitte con un’ostilità senza precedenti. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea stanno aumentando le sanzioni economiche e diplomatiche contro Mosca nel tentativo sfrenato di distruggere la sua economia. Il blocco dell’economia russa sarebbe normalmente visto come un atto di guerra dall’Occidente.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ordinato l’invio in Ucraina di ulteriori missili anticarro Javelin e altre armi.
I colloqui di pace in corso tra Ucraina e Russia stanno subendo forti pressioni per farli fallire mentre aumentano le accuse false contro la Russia per “crimini di guerra”. Pertanto, è probabile che la guerra in Ucraina si prolunghi. In particolare, il massacro di Bucha e altre presunte atrocità sono emerse proprio quando i negoziatori ucraini e russi sembravano fare progressi la scorsa settimana per concordare un accordo di pace che coinvolgerebbe l’Ucraina dichiarando neutralità e rinunciando alla futura adesione alla NATO.
Inoltre, qualsiasi tentativo della Russia di contestare le accuse viene respinto con un torrente di derisione e disprezzo. Le normali relazioni diplomatiche sono state bloccate. La richiesta dell’inviato delle Nazioni Unite Vasily Nebenzia di convocare una riunione di emergenza da parte del Consiglio di sicurezza per discutere dell’uccisione di civili in Ucraina è stata respinta dalla Gran Bretagna, che attualmente detiene la presidenza del consiglio.
I diplomatici russi vengono espulsi alla rinfusa dai paesi occidentali in massa. Questa settimana, diversi Stati europei hanno bandito altre dozzine di inviati russi.
I media russi sono stati completamente oscurati attraverso sui social media e Internet in tutta l’Unione Europea e in Gran Bretagna. È necessario utilizzare server proxy arcani per accedere a tali media. Giornalisti, analisti e accademici che mettono in discussione le affermazioni dei media occidentali vengono disprezzati in quanto “apologisti” di un “regime criminale”.
La guerra dell’informazione si è evoluta nel corso di molti anni. In precedenza, la manifestazione di odio contro la Russia nei media occidentali poteva almeno essere compensata con media critici e alternativi. Quando i media occidentali hanno cercato di incriminare la Russia per l’abbattimento dell’aereo di linea malese sull’Ucraina nel luglio 2014, c’erano molte fonti critiche per contestare in modo convincente queste accuse e indirizzare l’attenzione sul regime di Kiev sostenuto dall’Occidente come colpevole.
Quando i media occidentali hanno criticato le presunte prove di tentato omicidio per avvelenamento da Novichok contro gli Skripal in Inghilterra nel 2018 e di nuovo contro il provocatore della CIA Alexei Navalny nel 2020, c’è stato un sano scetticismo pubblico sostenuto dai media alternativi critici.
Ora, però, la guerra dell’informazione è stata ottimizzata dalla chiusura quasi completa dei media alternativi. La narrativa dei media occidentali non ha rivali. Le sirene da nebbia dei media possono suonare tutto ciò che vogliono senza che una voce dissenziente sia tollerata, per non parlare di sentirla.
È tanto più fondamentale mantenere una mente scettica in questi tempi di pregiudizi senza ostacoli in cui i media occidentali e i dipartimenti governativi citano apertamente il battaglione nazista Azov come fonte di informazioni credibili.
Quando le forze russe si sono ritirate da Bucha e da altre località vicino alla capitale Kiev il 30 marzo, lo hanno fatto come concessione per facilitare i negoziati di pace. Il sindaco di Bucha Anatoly Fedoruk in un video il 31 marzo ha celebrato la partenza dell’esercito russo ma non ha parlato di atrocità. Ora sta raccontando ai media occidentali di presunti omicidi diffusi.
Le immagini dei cadaveri sparsi per le strade sono emerse solo dopo il 2 aprile, due giorni dopo il ritiro delle forze russe. È stato riferito che il battaglione Azov è entrato a Bucha e si è posizionato rapidamente dopo che le forze russe si sono ritirate. I combattenti Azov giuravano apertamente di effettuare “operazioni di pulizia” che possono essere interpretate come un cupo riferimento ai rapporti con persone che si ritiene abbiano collaborato con l’esercito russo durante la loro breve occupazione.
Diversi analisti qui citati hanno smentito il filmato ampiamente diffuso che è stato diffuso dalle forze del regime di Kiev che presumibilmente mostrava i cadaveri di persone giustiziate dalle truppe russe. I video presentano strane anomalie come presunti cadaveri in movimento, messe in scena e l’uso di attraenti modelle che pretendono di essere combattenti anti-russi. I cadaveri che presumibilmente hanno alcune settimane sono in realtà persone che sono state uccise negli ultimi giorni, molto probabilmente dopo che le forze russe si sono ritirate. Inoltre, è stato dimostrato che alcuni dei cadaveri indossano fasce bianche al braccio il che indica erano sostenitori filo-russi. Questo suggerisce che i veri autori delle uccisioni di massa siano stati il Battaglione Azov e altri reggimenti sostenuti dalla NATO.
La Russia nega categoricamente le accuse, sostenendo che i video fanno parte di una provocazione sotto falsa bandiera per criminalizzare la Russia agli occhi del mondo. La Russia sarebbe così stupidamente sconsiderata da commettere tali crimini?
Gli stessi metodi mediatici fabbricati sono stati utilizzati nel presunto attentato da parte della Russia all’ospedale pediatrico di Mariupol il 9 marzo e in un teatro nella stessa città. I video rilasciati da una parte vengono trasmessi indiscutibilmente dai media occidentali insieme a condanne già pronte da parte dei leader occidentali. Ciò ricorda il modello mediatico utilizzato dai jihadisti e dai caschi bianchi sponsorizzati dalla NATO in Siria.
La grande differenza ora, tuttavia, è che la propaganda occidentale ha un predominio quasi totale perché tutte le altre fonti critiche e indipendenti sono state messe a tacere o oscurate.
La criminalizzazione del giornalismo indipendente come prefigurata dalla persecuzione di Julian Assange sta ora dando i suoi frutti avvelenati.
Una storia da non dimenticare, Libia Nato 2011
Il Falso delle “fosse comuni” e l’espulsione dal Consiglio diritti umani Onu: il precedente della Libia nel 201
di Marinella Correggia
L’AntiDiplomatico, 7 aprile 2022
Il 25 febbraio 2011 – poche settimane prima dell’avvio dei bombardamenti Nato – la Libia viene espulsa dal Consiglio dei diritti umani Onu di Ginevra, ed è la prima volta nella storia di quest’organo dell’Onu, i cui membri sono a rotazione. La Russia è dunque arrivata seconda. Si vede che tutti gli altri paesi sono buoni, anche chi ha martoriato interi popoli a suon di bombe e sfruttamento coloniale.
Nel caso libico, strumentalmente si rivela utilissima la richiesta di 70 Ong “Appello urgente ai leader mondiali per fermare le atrocità in Libia” (https://unwatch.org/urgent-ngo-appeal-to-world-leaders-to-prevent-atrocities-in-libya/). Nella richiesta si riportano “notizie” terribili. Molte di queste Ong non ne sanno nulla ma si sono accodate alla fino ad allora ignota Lega libica per i diritti umani (oltre al grande burattino statunitense che è UN Watch). Il suo coordinatore – in seguito diventato ambasciatore del governo insediato a Tripoli dalla guerra Nato – qualche mese dopo cade in contraddizione e rivela agli autori dell’importante documentario La Guerre Humanitaire [QUI] che no, non c’era alcuna prova… aveva ascoltato quanto riferivano i “ribelli”.
Una confessione che passa inosservata e comunque è troppo tardi, la Nato è a buon punto, a suon di bombe, nel regime change in Libia.
Una modesta “Lega libica per i diritti umani” può scatenare una guerra grazie ai suoi contatti alle Nazioni unite? No. Ma di certo può dare ai governi guerrafondai il necessario supporto etico per parlare di intervento “umanitario”. Insomma un perfetto corto circuito di attori.
La Libia nel 2011 è stata un esempio da manuale su come può funzionare un “poligono di tiro dei buoni”: corto circuito fra governi all’Onu, organizzazioni non governative libiche e internazionali, media mainstream e loro inviati embedded con i ribelli, reti sociali, opinion makers, diplomatici libici passati all’opposizione e gruppi armati presi come fonti certe.
E vediamo il susseguirsi di denunce di stragi massacri e via dicendo.
Il 22 febbraio, pochi giorni dopo l’inizio della rivolta, la tivù satellitare Al Arabyia denuncia via Twitter un massacro: “10mila morti e 50mila feriti in Libia”, con bombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi e fosse comuni [QUI]. La fonte è Sayed Al Shanuka, che parla da Parigi come membro libico della Corte penale internazionale – Cpi [QUI]. “Il mondo parli con una sola voce”, tuona il premio Nobel per la pace Barack Obama.
Qualche giorno dopo è Alì Zeidan, della Lega libica per i diritti umani, a parlare di 6.000 morti.
La “notizia” dei 10.000 morti non è corredata da alcuna immagine di una tale ecatombe, malgrado la massa di telefonini nelle mani dei cosiddetti ribelli. Ma fa il giro del mondo e contribuisce a offrire la principale giustificazione all’intervento del Consiglio di Sicurezza e poi della Nato: per “proteggere i civili”. Non fa il giro del mondo invece la smentita da parte della stessa Corte Penale internazionale: “Il signor Sayed Al Shanuka – o El Hadi Shallouf – non è in alcun modo membro o consulente della Corte” [QUI]. In pratica la fonte indicata smentisce ma nessuno se la fila.
Al Jazeera e la Bbc sempre il 22 febbraio affermano che il governo libico ha condotto “bombardamenti aerei a Bengasi e Tripoli”. Ma i satelliti militari russi che hanno monitorato la situazione fin dall’inizio non hanno rilevato nulla e del resto non si vedono segni di alcuna distruzione inflitta da forze aeree [QUI e QUI].
Fra il 22 e il 23 febbraio rimbalzano ovunque le immagini (eccole [QUI] da 0:07 a 0:25) di “decine di fosse comuni scavate sulla spiaggia di Tripoli per seppellire le vittime” della repressione di Gheddafi [QUI]. Si scopre l’inganno molto presto: sono in realtà tranquille immagini del rifacimento di un cimitero sulla costa e risalgono al 2010. Non per niente l’originario mittente, One day on Earth, le ha rimosse [QUI].
Le “fosse comuni” tornano, nel mese di settembre 2011: i “ribelli” alleati della Nato sul terreno annunciano di aver scoperto una fossa comune vicino al carcere di Abu Slim. Peccato che si tratti di ossa di cammello di un locale mattatoio, affiorate [QUI e QUI]. Ma ormai la guerra è in avanzato stato di decomposizione della Libia e smontare le menzogne non danneggia più.
In seguito arriveranno altre notizie di efferati delitti (per esempio stupri di bambini e donne), mai documentati. E sempre, ovviamente, compiuti dai “mercenari di Gheddafi”.
Russi sgozzati e giustiziati: il video dell’orrore degli ucraini vicino a Bucha
A 11km da Bucha il video choc degli Ucraini. Capuozzo: “È un crimine di guerra”
di Toni Capuozzo
Nicolaporro.it, 7 aprile 2022
Mi trattengo. Come tutti posso commettere degli errori, ma ci sono errori che so di non voler fare. Ho davanti un video, girato nei dintorni di Bucha, di un’imboscata ucraina a un gruppo di soldati russi in ritirata. I soldati russi sono a terra, e dalle pozzanghere di sangue e dalla gola di qualcuno si capisce che sono stati sgozzati. Gli ucraini si aggirano tra loro, uno a terra muove un braccio, gli sparano. È la scena di un piccolo crimine di guerra. Che senso ha mostrarla? Entrare nella curva delle tifoserie contrapposte? Far vedere che gli ucraini, per quanto aggrediti, non sono dei boy scout? Bilanciare il piatto dei crimini commessi? Lo conservo, quel filmato. Perché si vedono i volti degli autori, fieri, mentre dicono “Gloria all’Ucraina”, e magari un giorno ci sarà una piccola inchiesta (il video è loro, non è rubato, è esibizione tronfia). No, non aggiunge nulla che io già non sappia: la guerra peggiora tutti, giorno dopo giorno, e anche se agli ignoranti sfugge, in guerra i nemici tendono ad assomigliarsi, alla fine: odio e paura, vendetta per l’amico ucciso, perdita dell’innocenza.
Non mi trattengo, invece, dal fare altre domande. Perché non è stata coinvolta, sulla scena del massacro di Bucha, la Croce Rossa Internazionale? Lo sanno tutti che è il primo passo per denunciare un crimine, fare i rilievi, raccogliere testimonianze indipendenti. Una svista? Il timore che vedessero, ad esempio la scena che vi ho descritto prima? O che facessero domande indiscrete? Ho postato ieri il giornale ucraino che il 2 aprile annunciava un’operazione dei corpi speciali per stanare sabotatori e collaborazionisti dei russi. Com’è finita? I giornalisti andati sul posto lo hanno chiesto, se lo sono chiesti? Nessuno risponde.
C’è una documentazione, piuttosto sofisticata, che circola in rete che dimostrerebbe che la famosa foto satellitare del New York Times sarebbe stata scattata il 1° aprile. Non mi interessa molto perché se pure fosse stata scattata il 19 marzo non esiste che dei corpi restino all’aperto per quasi quindici giorni conservati in quel modo. Il New York Times fa il suo mestiere. Lo fa anche il “Corriere della Sera”. Non gli passa per la testa che sia improbabile che i corpi siano rimasti in strada 15 giorni. Ma avete mai visto il luogo di un massacro, anche dopo soli 2 giorni?
Torno a domandare: dando per certo che i russi durante l’occupazione di Bucha hanno ucciso e commesso crimini, testimoniati dalle fosse comuni, dove i cittadini di Bucha hanno sepolto i loro morti sfidando l’occupante, perché improvvisamente, all’inizio di aprile, i morti per strada non vengono più sepolti, in quelle fosse? Se hai sfidato l’occupante nel gesto pietoso di seppellire, perché non lo fai più quando Bucha è libera? Erano morti altrui? Il primo fotografo giunto sul posto raccontò a Repubblica di aver visto in una cantina vittime con il bracciale bianco, collaborazionisti. Poi quel dettaglio è sparito. Lo intervistano, non glielo chiedono più. E lui, dovendo lavorare sul posto, non si dilunga.
Ho sentito e letto di Bucha come spartiacque valicato, di punto di non ritorno. Se cercavano un’autorizzazione a procedere sulla via della guerra, l’hanno trovata. Non lo so se dietro quella strage ci siano menzogne o altro, so che, alla fine, è stata una strage, chiunque fossero quei morti e chiunque li abbia uccisi. Ma so che perfino lo spostamento di un corpo da esibire ai fotografi mi fa una pena infinita. Lo stesso morto, ma cambiamo la posa.
Le persecuzioni a Capuozzo, Scott Ritter e gli altri: chi ha paura della verità su Bucha?
di Andrea Sartori
Visione TV, 7 aprile 2022
Per anni l’hanno menata con i giornalisti perseguitati in Russia, ma l’Occidente non si sta certo dimostrando migliore. E l’esempio più lampante ce l’abbiamo in casa ed è Toni Capuozzo. Il giornalista ed ex inviato di guerra è stato messo nel mirino per aver messo in discussione la versione ufficiale del massacro di Bucha. È stata anche richiesta la revoca del premio Ischia. “Ve lo rimando subito” ha subito scritto il giornalista sul suo profilo Facebook. Aggiungendo però “le mie non sono frasi pro-Putin. Pro ricerca della verità, piuttosto”.
Capuozzo non ha mai tenuto una linea definibile “putiniana” e ha sempre specificato che “La Russia è l’aggressore, l’Ucraina l’aggredito”. Ma detto questo cerca di mantenere una lucidità che lo porta a non volere una guerra basata su falsità. Ed ecco che Libero lo attacca praticamente in tempo reale dopo la pubblicazione di uno dei suoi post dubitativi.
Un giornalista dovrebbe andare alla ricerca della verità, non accontentare il padrone. Non dovrebbe nemmeno prendere una vera posizione, ma scavare, ed è quello che fa Capuozzo. Ma non possiamo non parlare anche di Carlo Freccero, che anche lui porta avanti i suoi dubbi, dubbi simili a quelli di Capuozzo. E si trova attaccato da un obbediente dei poteri di destra, Alessandro Sallusti, interpellato da un obbediente dei poteri di sinistra, Giovanni Floris. Manca il bipartisan Bruno Vespa e abbiamo fatto l’en plein. Il Giornale, creatura di Indro Montanelli fatta a pezzi dal suo editore che l’ha trasformata in un fogliaccio se la prende con tutti: Orsini, Freccero, Agamben e Mattei, rei di aver messo in dubbio sia la narrazione pandemica che quella bellicista.
Qui non si tratta più di un dibattito con lecite visioni divergenti su uno stesso evento, ma la criminalizzazione di chi mette in dubbio la propaganda del Draghistan. Questo copione lo abbiamo già visto con la pandemia. Inoltre persone come Orsini e Capuozzo hanno ben sottolineato il loro non essere dalla parte di Putin. Qual é la loro colpa? Vedere la situazione nella sua complessità, essere consapevoli del fatto che già in passato ci hanno spinto in guerre disastrose verso “dittatori” che certo non erano santi, ma che avevano avversari ben peggiori di loro (il caso di Saddam, Gheddafi e Assad contro Al Qaeda e Isis è emblematico) spesso per massacri mai avvenuti.
Ma non solo giornalisti italiani vengono presi di mira. Persino un ex ispettore delle Nazioni Unite è finito nel fuoco del nuovo maccartismo russofobo: si tratta dell’ispettore ONU Scott Ritter, che è anche un ex marine decorato. Ritter si è visto sospendere l’account Twitter per aver scritto la seguente frase: “La polizia nazionale ucraina ha commesso numerosi crimini contro l’umanità a Bucha. Biden, cercando di spostare la colpa di questi crimini sulla Russia, è reo di aiutare e favorire questi crimini. Congratulazioni, America, abbiamo un’altra criminale guerra presidenziale“.
Apriti cielo! Ritter è comunque un personaggio pericolosissimo per i neocon americani: è l’ispettore ONU che smascherò le bugie sulle armi di distruzione di Saddam e quasi certamente ha ragione anche ora.
In guerra la prima vittima è la verità, scriveva Eschilo due millenni e mezzo fa.
Parla Mariana Vyshemirskaja, la ragazza dell’ospedale di ostetricia di Mariupol
Ricordate la ragazza del Roddom (ospedale di ostetricia) di Mariupol? Il suo volto diventò noto in tutto il mondo per le foto di Evgeny Maloletka, un fotografo freelance lavorando per The Associated Press, che l’hanno immortalata all’uscita dell’ospedale. È finita sulle copertine di tutti i tabloid del mondo. E ricordate la notizia nello stesso luogo che dopo la morte di suo bambino era morta anche lei? Invece, la popolare blogger su Instagram, Mariana Vyshemirskaja (nata Podgurskaja) è viva, ha partorito e anche sua bambina è vivo, ed è tornata a casa sua, a Makeevka, città nel Distretto di Donetsk della Repubblica Popolare di Donetsk e ha rilasciato delle interviste.
Mariane ha affermato che l’ospedale non era stato colpito da un attacco aereo ma piuttosto da un “esplosione” (che The Associated Press ha descritto come “contraddetto dalle prove” [QUI], cioè con il proprio racconto, senza verifica indipendente: «Non sono stata rapita dai Russi»; «L’ospedale non è stato bombardato, non abbiamo sentito aerei, solo delle esplosioni»; «Le forze armate ucraine hanno occupato parte dell’ospedale e ci hanno piazzato l’artiglieria».
Il rilascio del video integrale dell’Associated Press confermerebbe la versione dei fatti esposta da Marianna durante l’intervista di Giorgio Bianchi, per la quale i reporter si materializzarono immediatamente sul luogo dell’esplosione, anzi, addirittura iniziarono le riprese DURANTE le esplosioni, da una posizione di riparo (sotto il portico di un palazzo) [QUI]. Inoltre, a ulteriore conferma delle dichiarazioni della ragazza, nel video non si odono i rombi dei motori dei cacciabombardieri, durante le due esplosioni (anche Marianna dichiarò di aver sentito due boati). Come fecero i giornalisti, a trovarsi nel posto giusto al momento giusto quando vi furono le esplosioni? Hanno avuto solo fortuna? Stranamente però, sul sito dell’Associated Press si legge un’altra storia rispetto a ciò che racconta il loro stesso video, ossia che i giornalisti “si trovavano in un’altra parte di Mariupol”.
In poco tempo, Mariana è passata dal ruolo di icona della resistenza ucraina, all’essere ritenuta una rinnegata, per aver chiarito le circostanze del “bombardamento” dell’Ospedale di ostetricia di Mariupol, con delle interviste che ha iniziato a rilasciare, negando di essere stata “rapita” dai Russi.
La prima intervista è stata raccolta da Denis Seleznov il 1°aprile 2022, di cui Paolo Selmi il 2 aprile 2022 su SinistraInRete ha fatto un ampio resoconto dal russo, con i link, che riportiamo di seguito. La seconda intervista è stata registrata da Giorgio Bianchi Photojournalist. I chiarimenti sull’accaduto forniti da Marina hanno provocato l’immediata reazione della macchina di propaganda di Kiev, riportata dai giornali nostrani, adoperando il condizionale e così hanno la coscienza “pulita”, mentre intanto la menzogna passa nella mente dei lettori.
«Giorgio Bianchi squarcia il velo delle menzogne di regime intervistando Mariana, la donna simbolo dell’ospedale di Mariupol. Non solo non è prigioniera di nessuno, ma racconta nel dettaglio come l’ospedale non fosse stato colpito da una bomba sganciata dall’aviazione russa, ma bensì da un missile, cioè da chi era asserragliato in città. Bastano le parole di Mariana per ribaltare la narrazione dominante su quei fatti. Giorgio sta facendo il lavoro che i giornalisti asserviti hanno rinunciato da tempo a fare, quello di andare alla fonte delle notizie. I pennivendoli si limitano a fare da grancassa alle narrazioni confezionate dalle agenzie di Kiev insieme alle agenzie di intelligence occidentali. Questa intervista ha un’importanza storica, letteralmente scrive un pezzo di storia. Da guardare assolutamente e far girare» (Laura Ruggeri).
«Prendete il caso dell’ospedale della città ucraina di Mariupol. La stampa occidentale unanime il 9 marzo 2022 descrive un bombardamento aereo e spara in prima pagina la foto di una donna incinta che fugge discendendo una scala piena di detriti, con una faccia insanguinata e impaurita. Si scopre poi che si tratta della blogger e modella Mariana Vishegirskaya. Centinaia di milioni di persone assistono all’orrore, portate a vedere gli orchi di Mosca che – come i soldati immaginari di Saddam Hussein – attaccano il luogo della massima vulnerabilità della vita umana: dove essa viene alla luce, al reparto ostetricia. Tutti credono di sapere cosa è accaduto perché tutti i giornali e tutte le TV raccontano la stessa storia. Pochi giorni dopo sappiamo che Mariana ha partorito.
Poi ancora, riappare in un’intervista rilasciata in Donbass a dei media in lingua russa. E lì, la sorpresa. Nega recisamente che ci sia stato un bombardamento dal cielo. […]
Ne parla anche il quotidiano italiano degli Elkann, la Repubblica [QUI].
Nell’articolo, tutto – fin dal titolo – porta a dipingere la sua fresca testimonianza, così tanto drammaticamente diversa dall’«imprinting» iniziale della narrazione, come il frutto di una prigionia, di una nuova costrizione. Come viene descritta? «Rapita dai russi». «Trasformata in attrice della propaganda, obbligata a fornire una versione che ai russi fa comodo». «Mariana non appare affatto tranquilla mentre racconta». Tutto l’articolo, come tanti articoli fotocopia di centinaia di testate dei paesi NATO, non ha ritenuto di doversi fare altre domande. L’enorme apparato di pubbliche relazioni occidentale ci vuole vendere a tutti i costi la necessità della guerra, perciò non può accettare intoppi e sconfessioni.
Tuttavia, per somma sfiga di questo apparato di venditori di armamenti, la giovane donna è originaria del Donbass, un luogo che le ha fatto conoscere la guerra ormai da anni, lasciandole totale scetticismo verso i paroloni e le manipolazioni della propaganda. Il Donbass è un territorio che il giornalista e fotografo italiano Giorgio Bianchi conosce come le sue tasche. Bianchi documenta coraggiosamente la crisi ucraina da molto tempo cercando notizie, testimonianze, immagini autentiche. Ha fatto una cosa semplice, stavolta per Visione TV: Bianchi ha cercato Mariana e l’ha intervistata. La donna conferma pienamente la radicale smentita delle versioni della prima ora, quelle difese con le unghie e con i denti dai giornaloni del Draghistan e dintorni. Una persona lucida, dalla mente limpida, autenticamente libera, altro che rapita! Se avete un minimo discernimento, sappiate riconoscere la semplicità di certe verità dagli occhi, dalle posture e dalle parole ferme di questa donna. I propagandisti si vergognino.
Noi tutti dobbiamo ringraziare Giorgio Bianchi per aver cercato fra le macerie un prezioso barlume di autenticità. È una piccola grande lezione che dobbiamo saper collegare al quadro generale, sempre più cupo e incarognito contro chi smonta l’industria dei buonissimi contro i cattivissimi.
Non un solo pezzo della guerra raccontata dai grandi media dev’essere preso per oro colato, niente.
Sappiamo che forze potenti vogliono bruciare ogni via per la pace e ci stanno conducendo direttamente a una guerra di più vaste proporzioni, preceduta da un inesauribile maremoto di propaganda e da un ridisegno della società e dell’economia in funzione di una lunga stagione di penuria. Un’ondata di impoverimento drammatico che però ingrasserà i fabbricanti d’armi, le loro grancasse nelle redazioni asservite, nonché legioni di politici che useranno molte parole patriottiche mentre svenderanno la patria.
Non arrendiamoci all’idea dell’inevitabilità della guerra mondiale e fermiamo questa follia» (On Pino Cabras).
Mariana, la donna incinta della foto simbolo di Mariupol, sarebbe ostaggio dei russi
Lo riporta il giornale ucraino online Obozrevatel
di Nadia Boffa
Huffingtonpost.it, 2 aprile 2022
Occupanti russi avrebbero preso in ostaggio Mariana Vyscemyrska, la ragazza diventata famosa per la foto scattata nell’ospedale pediatrico di Mariupol. Lo riporta il giornale ucraino online Obozrevatel. Inizialmente i suoi parenti hanno chiesto di portarla sul territorio controllato dall’Ucraina perché i russi l’avrebbero utilizzata per i loro scopi propagandistici ma ciò non è stato possibile. Lo riferiscono i volontari.
“Una messinscena, non è incinta”. Ma la blogger di Mariupol accusata dalla propaganda russa ha partorito
Marianna Podgurskaya [sic!], influencer, è stata fotografata da Evgeniy Maloletka subito dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol. Diversi account social legati al Cremlino l’hanno accusata di essere stata “pagata dagli ucraini per far apparire più grave l’accaduto
di Nadia Boffa
Huffingtonpost.it, 11 marzo 2022
“È stata utilizzata dall’arma di disinformazione russa, che ha tentato di far credere che la donna, “non una vittima, ma un’influencer”, fosse stata ingaggiata appositamente dagli ucraini per farsi fotografare fuori dall’ospedale pediatrico appena bombardato di Mariupol. Alcuni account social legati alla propaganda russa hanno anche sostenuto che la donna non fosse veramente incinta. Ora invece, Marianna Podgurskaya, che è veramente una influencer, ma che altrettanto veramente vive a Mariupol ed era incinta, ha partorito.
Gli occupanti hanno preso in ostaggio una donna in travaglio a Mariupol: i parenti hanno chiesto di portarla in Ucraina
di Lilia Ragutskaja
Obozrevatel.com, 2 aprile 2022
Gli occupanti russi hanno preso in ostaggio Mariana Vyshemirskaja, una donna in travaglio di Mariupol, la cui foto dall’ospedale di ostetricia di Mariupol bombardato dalla Russia a marzo ha fatto il giro del mondo. I suoi parenti hanno chiesto di portare la ragazza con il neonato nel territorio controllato dall’Ucraina, ma ciò non è stato possibile.
Lo hanno riferito i volontari che hanno cercato di salvare una giovane madre con un bambino. Ora gli occupanti stanno usando Mariana nel tentativo di giustificare il loro crimine. I suoi parenti si sono rivolti a noi con la richiesta di aiutarli a recarsi nel territorio controllato dall’Ucraina, perché i Russi avevano pianificato di usarlo per scopi propagandistici.
Cavolo, questa non ci voleva.
«Vedremo se [Mariana] è un ostaggio oppure no. La sto cercando da giorni per parlarci, magari potrebbe raccontare cose interessanti» (Giorgio Bianchi Photojournalist – Telegram, 3 aprile 2022).
Poi, al giornalisti russo Denis Seleznov è seguito il fotogiornalista italiano Giorgio Bianchi, inviato di Visione TV nel Donbass, che ha annunciato attraverso suo canale Telegram: «Questa sera nello speciale delle 21.30, manderemo una pillola della mia intervista a Mariana, la ragazza dell’ospedale di ostetricia di Mariupol. Domani l’intervista completa, in esclusiva per Visione TV. Vi posso soltanto anticipare che è stata una delle più belle interviste che abbia fatto finora».
Ecco, l’anticipazione dell’intervista esclusiva di Giorgio Bianchi per Visione TV alla ragazza simbolo dell’ospedale di ostetricia di Mariupol. «Prima di salutarci ci ha ringraziato per averle dato la possibilità di replicare alle menzogne raccontate sul suo conto, una su tutte, il fatto di essere stata rapita dai Russi». In questa diretta di ieri sera, Giorgio Bianchi parla anche di altro, della guerra di propaganda in corso, sul modo in cui voci fuori del pensiero unico politicamente corretto vengono trattata dai nostri media (di cui abbiamo riferito nell’articolo precedente [QUI]).
Parla Marianna Vishemirskaja
di Paolo Selmi
SinistraInRete, 2 aprile 2022
Marianne, che l’11 marzo ha partorito, oggi si trova non in Ucraina, ma con marito e figlio nella sua città di origine, Makeevka, DNR. Dai “terroristi”… e ha deciso di parlare. Ieri, per la precisione, sono cominciate a uscire le prime anticipazioni, prima con questo video [QUI] poi con articoli e brani dell’intervista [QUI, QUI e QUI] e oggi il video completo [QUI].
E non si venga a dire che l’intervista non è un documento attendibile. Perché è la stessa “modella” che denuncia la montatura a cui è stata sottoposta venti giorni fa. Andando in seguito a vivere non dai suoi pseudosalvatori, “in the land of the free” Ucraina, ma nel posto dove meno si aspetterebbe di trovarla. L’intervista da lei concessa è sin da subito DICHIARATAMENTE orientata a mettere i punti sulle i, a dire come è veramente andata. Non è improvvisata, certamente, ma eseguita in modo “professionale”: luci, inquadrature, montaggio. Ma mai “professionale” quanto quelle porcherie che han fatto il giro del mondo venti giorni fa. Porcherie vergognose, ignobili, messe IMMEDIATAMENTE e DIRETTAMENTE in circolo dallo stesso “eroe” che oggi chiede carri armati e ottiene residuati sovietici (“U.S. will help transfer Soviet made Tanks to Ukraine” [QUI]) che troveranno nella loro terra d’origine il loro naturale fine corsa, accompagnando al macello altre vittime della follia omicida del regime di Kiev e dei suoi curatori.
Nella fiduciosa attesa quindi che l’ANSA, insieme ai direttori dei TG e delle testate nazionali ne pubblichino ampi stralci, in ottemperanza a quel dovere morale di rettifica che nasce in ognuno di loro, in quanto connaturato a un’impeccabile deontologia professionale, qual’è quella da loro sinora ampiamente dimostrata, ne riporto i punti salienti.
Premettiamo che la signora, anche se nella vita fa la blogger e sta perennemente davanti alle telecamere, nella sua versione nega qualsiasi complicità con chi ha macchinato tutta la messinscena, e gli scarica interamente la responsabilità della stessa. Non è “stata chiamata” per fare un servizio, non si è “truccata”, non ha “cambiato d’abito”. Era lì in un’ala secondaria della ostetricia, il Roddom (ospedale di ostetricia) n°3, non interessato dall’esplosione e unico funzionante, grazie a un generatore, mentre il Roddom principale, il n°1, era stato occupato dai soldati che vi avevano piazzato l’artiglieria. Ma veniamo al video.
0:00 – 1:00 Presentazione, breve autobiografia di come da Makeevka si sia trasferita a Mariupol fino alla fine della quarantena per Covid.
1:00-1:55 Fine quarantena, inizio vita, cercata e ottenuta gravidanza, inizia l’escalation che porta al conflitto, ma le prime impressioni sono che non l’avrebbe toccata e che avrebbe interessato altri ma non lei e la sua famiglia.
1.55-2:40 Gli spari si avvicinano, i primi giorni vede molti civili che riescono a fuggire, poi le autorità [ucraine] chiudono e non fanno più uscire nessuno, li fanno ritornare nelle loro case.
2:40-3:15 Assoluta mancanza di comunicazione da parte delle autorità ai civili, che non capivano cosa stava succedendo, sentivano i colpi di artiglieria ma nessuno gli spiegava se erano vicini o lontani dalla zona dove abitavano e da cui non li avevano fatti evacuare. “Fra le persone c’era panico” (у людей паника была).
3:15-4:35 “Cosa è successo al Roddom?” Il 6 marzo si è dovuta per forza muovere verso l’ospedale, perché sentiva che il bambino stava per nascere. Li han dovuti spostare, contrariamente alla prenotazione fatta a suo tempo, al Roddom n°3. Non c’era altro. Il n°2 non aveva più posti e il n°1, quello che aveva la migliore tecnologia prenatale, quello che rappresentava l’eccellenza, come poi le han detto le altre mamme che nel frattempo erano state da esso spostate, “era arrivato il personale che aveva detto loro di andarsene che dovevano arrivare i soldati e metterci le batterie di artiglieria (4:30)”.
4:35-5:20 Dal 2 marzo nella città non c’era elettricità né acqua e dopo due giorni anche il gas era finito. Ma “i soldati erano più importanti delle donne in gravidanza” (5:00). Al Roddom n° 3 funzionava un generatore che dava elettricità ma solo ai reparti dove c’erano i bambini (5:05-20).
5:20-7:10 “Come facevate a procurarvi il cibo nel Roddom n°3?” I mariti che stazionavano nei sotterranei del Roddom uscivano e si procuravano cibo, anche dalle case popolari vicine, e lo portavano (5:45). “C’erano delle cucine da campo fuori in cortile, ho visto dalle foto…” Si, c’erano e lì fuori, nei pentoloni, si preparavano pasti caldi (6:05) con quello che portavano anche dai palazzi vicini. “Era la gente intorno ad aiutare”. Si, i soldati non ci hanno mai dato nulla (6:15), son venuti una volta sola e ci han detto “dateci da mangiare” (дайте еды 6:20) e all’obiezione, cosa vi dobbiam dare quel che c’è è per le donne incinte, hanno risposto “è da cinque giorni che non mangiamo” (мы 5 дней ничего не ели) e quando gli abbiam chiesto allora dei loro comandanti, ci hanno risposto che non hanno più nessun collegamento ormai e nessuno più li aiuta (6:37) e quindi han preso il mangiare che era destinato a loro. Seguono commenti sui soldati allo sbando e conferma del fatto che entravano a prendere cibo e cose.
7:10-12:30 “Quando c’è stata l’esplosione” (когда произошёл взрыв). L’8 marzo lo avevano passato bene, erano arrivati anche dei volontari a portare dei fiori (l’8 marzo in URSS era festa nazionale e tale è restata anche dopo la sua fine, almeno nel sentimento di tale festa, NdT) ed era stata una giornata totalmente tranquilla (7:30). Il 9 marzo, notte passata tranquillamente e mattina totalmente tranquilla. Non si ricorda se durante il pranzo o subito dopo (7:50), ha sentito due esplosioni (8:25). L’onda d’urto della prima ha rotto le finestre, qualche scheggia le ha raggiunto il volto (8:30), era in stato di shock, ma i sanitari l’han vista subito e l’hanno rassicurata che non aveva niente e che al loro edificio non era successo nulla (8:40). Quando è arrivata la seconda esplosione, erano già lontani dalle finestre, e già stavano cominciando a dire a tutti di scendere nei sotterranei (9:15). Vanno nei sotterranei, dove ci sono anche ragazze che in quel momento si trovavano in strada, cercano di assicurarsi che ci siano tutti e che tutti stiano bene (9:45). Gli hanno quindi raccontato che era stato un attacco aereo, ma loro non hanno sentito nessun aereo e nessun missile arrivare, han sentito solo due esplosioni (10:25). Anche quelli che erano per strada in quel momento non hanno visto nessun aereo (10:27-10:46). Inoltre, conferma che il punto sventrato non è propriamente il Roddom ma il consultorio femminile (женская консультация 11:20). Alla fine era visibile, dice, da noi siam rimasti senza finestre, “mentre lì…” (а там è venuto giù tutto, 11:30). Conferma infine che PER DUE GIORNI non si era sentito uno sparo, un colpo, nulla, era tutto tranquillo (спокойно). Poi due esplosioni a distanza ravvicinata. E basta (11:50). L’intervistatore lo chiede per conferma e lei continua a ribadirlo. Anche dopo le due esplosioni, sono andati nei sotterranei (на подвалах) perché si aspettavano una continuazione (продолжение), ma non c’è stato nulla, hanno aspettato 5-10 minuti ma niente (12:20). Sono quindi arrivati dei soldati dicendo che si può evacuare (12:30).
12:30-16:15 “Il servizio fotografico”. Nel frattempo dicono alla signora che “sta bene così”, che non ha bisogno di essere né pulita né medicata, che non ha niente (12:45), e la fanno uscire. Per ultima (13:00), quando tutti erano già usciti. Chiede di essere portata di sopra, al secondo piano, dove le eran rimasti tutti i documenti (13:10). Tornata in reparto, ci è restata per 15 minuti buoni, e ha avuto modo di guardare tutt’intorno. Si è portata alla finestra (13:35) e ha visto uno in tenuta e casco da militare che faceva foto. Accortosi di lei, le stava facendo una foto e lei le ha gridato di non farlo (13:50). E lui ha detto “va bene” e se ne è andato (13:55). Ha quindi raggiunto il secondo piano dove ha preso le sue cose e, scesa al primo, ha trovato quel reporter che ha cominciato a farle foto (14:25) nonostante lei e i presenti dicessero di non fotografare. “Sa da dove veniva?”, chiede quindi l’intervistatore. “Associated Press” (14:45) hanno detto a lei e al marito, parlavano russo e avevano casco e volto coperto. Le foto le ha viste dopo, quando è riuscita a trovarsi in una situazione tranquilla (15:10) e ha capito cosa era successo. Le hanno detto che era anche quella che si trovava trasportata sulla barella (на кушетке 15:15) con un altro vestito, ma “quella non ero io, era la ragazza che è morta” (это была не я, это была девочка которая погибла). Racconta quindi di quella ragazza, che non era lei, che l’han portata in ospedale già in condizioni disperate, che non è sopravvissuta né lei, né il bambino, famiglia distrutta (15:45). Racconta quindi di quando han portato via la ragazza in barella e il fotografo era già pronto fuori a fotografare e fare il filmato (16:15). Nessun cambio di vestito invece per lei, nessun trucco sul viso.
16:15- 21:50 “Conclusioni”. Ribadisce nessun aereo in vista e poi l’intervistatore le chiede di esprimere la sua opinione su altre vicende legate a Mariupol’, come quella del teatro. Infine le chiede cosa è successo dopo. E dopo è andata in un ospedale minore, dove ha avuto la fortuna di incontrare un medico chirurgo che l’ha aiutata in tutto (18:10). Il giorno dopo “gli stessi ragazzi” (soldati e fotografo), dopo averla rintracciata, sono venuti anche in quell’ospedale a fare altre fotografie e a intervistarla. Lei si è rifiutata di parlare (18:30), poi loro le han chiesto solo di raccontare l’accaduto e lei ha raccontato già in quell’occasione che non c’era nessun aereo e che l’esplosione non aveva riguardato dove erano loro ma fra il reparto di oncologia e il consultorio femminile. Hanno quindi ringraziato, han fatto qualche foto e sono andati via. Lei non ha mai trovato traccia di quell’intervista (20:30). Conclude quindi parlando di come la situazione si fosse poi ulteriormente aggravata, quando i combattimenti si erano fatti più vicini e non poteva neanche guardare fuori dalla finestra quello che stava succedendo (21:50).
21:50-24:26 Le sue paure sono ulteriore guerra e distruzione se i colloqui non vanno a buon fine. L’intervista quindi si conclude con un appello a Zelensky (23:15). Riassumendo: Lei ha promesso che i soldati ci avrebbero difeso, ma gran parte della città non esiste più e anche un’enorme parte di popolazione. Muoiono civili, muoiono soldati da entrambe le parti, la gente perde la speranza di sopravvivere e non sa dove andare. Si fermi, e pensi se l’esercito è davvero in grado di proteggere Lei, la sua famiglia e gli Ucraini. Si fermi e cerchi un compromesso. Perché così non si può andare avanti. E così chiude (24:26).
Ora, non è il luogo questo di questionare sulla completezza e sulla piena veridicità della sua versione, che a me personalmente qualche richiesta di chiarimenti ha lasciato: a partire dalla “ragazza che è morta”, per esempio. Premesso che l’esplosione non ha interessato l’ala di ospedale dove è stata ricoverata, in quali condizioni si trovava prima dell’esplosione? Come è arrivata in ospedale? C’erano già complicazioni? Come si chiamava? In quante signore erano in tutto? Dalle uniche foto che girano ci sono solo due o tre figure, fotografate male peraltro, non in viso direttamente, a parte lei. Il roddom era chiuso ma un reparto continuava a lavorare con un generatore. Quale era il personale medico? Per quanti pazienti? Possibile che fuori più di un’ambulanza non ci fosse in quel momento, nonostante una doppia esplosione? E nessun dottore? O infermiere? E civili, peraltro intorno alla cucina da campo che continuavano a girare il mestolo nella pentola e a parlare? È possibile, sarà possibile, quando tutto sarà finito, fare una commissione d’inchiesta, chiedere a infermieri e medici come veramente stavano e sono andate le cose? A quel poco personale medico, perché dalle foto e dai filmati di gente in camice se ne vede una o due? Quali sono le loro versioni dei fatti?
È però il momento di confermare che a essere sventrato non è stato neppure il roddom, ma una parte di edificio completamente deserta al momento dell’esplosione. Che si è trattato di due esplosioni isolate, senza alcun combattimento, senza alcun attacco. Né prima, né dopo. Che la “stampa” era già sul posto. In un posto dove non c’era né elettricità, né acqua, né gas da giorni. La “stampa”, come già appurato, rappresentata da un fotografo di regime non nuovo a tali lavori. Arrivata prima dell’unica ambulanza che si vede parcheggiata. Che Zelensky ha “casualmente” ricevuto subito e immediatamente ripostato quelle foto, che la sera avevano già fatto il giro del mondo, accusando i Russi di un massacro che non avevano mai commesso, di morti sotto le macerie, eccetera.
Chiedo scusa se oggi non ho ancora fatto nessun aggiornamento dai vari fronti. Ma dedicare le mie poche ore a disposizione per tradurre e mettere a disposizione di noi italiani questo documento, dove parla la principale figurante di un massacro mai avvenuto, era a mio avviso importante.